Sulla vetta del Lagazuoi furono sepolti in dieci
Impossibile portare a valle i corpi, il recupero avvenne solo a fine della guerra: due lapidi li ricordano

CORTINA. Fino a che altezza ci sono stati dei combattimenti nelle Dolomiti e, conseguentemente, anche dei caduti? Non ha importanza se italiani o di altre nazionalità, e dove sono stati sepolti? Due domande che solo raramente hanno avuto risposta, anche perchè com’è successo sulla cima del Lagazuoi, dai documenti noti, i caduti furono una decina, tutti austriaci. In quei giorni pieni di combattimenti, la vetta della montagna era saldamente in mano agli austriaci, mentre gli italiani avevano occupato quella che è conosciuta come “Cengia Martini” (dal comandante del reparto che l’occupò), che taglia trasversalmente il Lagazuoi a circa metà strada, non era nemmeno pensabile portare a valle i caduti per dare loro degna sepoltura. Il fronte italiano, partendo da Passo Falzarego correva lungo le pendici Sud del Piccolo Lagazuoi, comprendente oltre la Cengia Martini, Punta Berrino e attraverso Focella Travenanzes raggiungeva il Castelletto.
Poichè da quelle cime si controllavano la Val Cordevole e la Val Badia, i combattimenti furono aspri e videro impegnati, da una parte il 5° Gruppo Alpini dei battaglioni della Val Chisone, del Belluno, del Pieve di Cadore, del Monte Antelao, del Monte Pelmo, del Monte Albergian e la Compagnia dei Volontari Alpini di Feltre, mentre dall’altra erano posizionati gli Standschutzen, i Kaiserjager e Landesturm. Nacque così quello che probabilmente è stato il cimitero più alto nelle Dolomiti.

La cima del Lagazuoi, infatti, si trova a quota 2848 metri e per seppellire i loro caduti gli austriaci dovettero scavare nella roccia. Il numero dei soldati sepolti non è mai stato conosciuto nemmeno da chi si è occupato del recupero delle salme dei caduti alla fine del conflitto e di chi anche in anni recenti, come lo scrittore Paolo Giacomel, ha raccolto tutte le testimonianze possibili sui cimiteri di guerra e sulle loro storie. Nemmeno la “Croce Nera” austriaca, l’associazione impegnata nel mantenimento dei cimiteri militari e nel ricordo di tutti i caduti, ha potuto raccogliere notizie precise.
Qualche elemento però il tempo lo ha lasciato, come la lapide che in prossimità della cima del Lagazuoi Nord, nel gruppo del Fanis a quota 2770 metri, ricorda il tenente Edmund Schubert dell’Imperiale Regio II Reggimento, caduto in combattimento il 12 febbraio 1917.
La piccola lapide scolpita e posizionata dai compagni del caduto, oltre ai dati relativi al soldato sepolto, riporta anche il motto del Reggimento: «Sulle alture rocciose dove volteggia l’aquila Vittoria o morte è la nostra risposta».
La scritta è in lingua tedesca: «12 febbruar 1917 Edmund Schubert K.K.Frh i.d.Res. Ksc Rgt. N° II Treu dem Wahlspruch seinen Resiment: “Auf Felsenhohen wo der Adler Kreist Sieg oder Tod unsere Losung heist. Deine Kameraden». Sempre nella zona del Lagazuoi, ma questa volta sul Castelletto, un’altra lapide, ma questa volta italiana, riporta una poesia di Giuseppe Ungaretti scolpita nel 1916 che ancora prima degli austriaci aveva stigmatizzato la complessità e il dolore per aver causato la morte ad altri esseri umani seppure dell’altra parte.
«Tutti avevano la faccia del Cristo – nella livida aureola dell’elmetto- tutti portavano l’insegna del supplizio - nella Croce della baionetta - e nelle tasche il pane dell’ultima cena e nella gola il pianto dell’ultimo addio». Una poesia epitaffio che ben dovrebbero avere davanti agli occhi tutti coloro che in questi mesi hanno iniziato a ripercorrere gli itinerari delle trincee con l’unico scopo di fare una gita, camminando su luoghi talmente belli che lasciano senza fiato, ma che sono stati percorsi un secolo fa da degli uomini – fratelli - che altro scopo non avevano se non quello di uccidersi a comando ed a loro il fiato è venuto a mancare nel corso di un combattimento o per una valanga.
Vittore Doro
I commenti dei lettori