Tra Elisa Colle e la canapa un amore a prima vista
Origini lentiaiesi, è tornata a “casa” dopo aver vissuto per 46 anni a Torino «Danneggiati dalla guerra alla cannabis, i prodotti sono certificati a mie spese»
Francesca Valente
Custodire un territorio non significa soltanto aver cura dell’ambiente, ma anche proteggere e valorizzare le sue produzioni tipiche, tra cui la canapa. Elisa Colle ha basato proprio su questa coltivazione la sua sfida imprenditoriale, quando nel 2015, all’età di 46 anni, ha fondato l’omonima azienda agricola.
Nativa torinese ma di origini lentiaiesi, con il papà di Molin Novo, ha deciso di trasferirsi nel Bellunese nel 1995, tre mesi dopo essersi laureata in Economia e commercio, anche perché nelle estati che trascorreva qui dagli zii, tra una sagra e una festa di paese, aveva conosciuto Roberto Dalle Mulle, quello che, di lì a qualche anno, sarebbe diventato suo marito e il padre dei loro tre figli Pietro, Agnese e Federico.
Insomma, avete una mezza attività di famiglia...
«Di fatto sì. Da giovane ho sempre aiutato gli zii nelle attività agricole come la fienagione, la pulizia delle stalle e l’assistenza ai parti delle vacche. Da quando ho creato la mia attività, poi, mio marito Roberto, che lavora in Luxottica, mi ha sempre aiutata. L’unico dei nostri tre figli che vive ancora qui, anche perché legatissimo a Stabie, è Pietro, che ha 18 anni e sta studiando per diventare perito meccanico. È il più giovane e appassionato di piante, ci dà una mano spesso e volentieri e a volte mi accompagna anche a mostre o conferenze. Anche Federico, che fa il pasticcere, si è ingegnato per dare il suo contributo, ad esempio realizzando per due anni di fila l’impasto del panettone con la farina di canapa, una produzione limitata che è andata a ruba a ridosso degli ultimi due natali. Agnese invece sta ancora studiando lingue a Torino».
La sua è un’azienda “naturale e sostenibile”.
«La nostra è una coltivazione attenta alla biodiversità, senza l’uso di pesticidi di sintesi e con pochissime concimazioni, che peraltro sono le stesse previste dal regime biologico. Nonostante questo, non siamo certificati, perché in certe fasi è solo un passaggio di carte, oltre che un grande dispendio economico. I nostri semi certificati di canapa sativa vengono trasformati soltanto nel Bellunese, perché, se è vero che la canapa assorbe più anidride carbonica di un bosco, non avrebbe senso mandarla in giro sui camion per farla lavorare. Vogliamo essere un’azienda affidabile, che sappia garantire non solo per i propri prodotti, ma anche per quello di partner di filiera: io, ad esempio, vendo anche l’olio di un produttore napoletano perché le mie quantità sono troppo poche per far fronte a tutte le richieste. Questo per dire che dobbiamo essere noi i primi a essere credibili, duri e puri come i nostri territori ma con le menti aperte».
Avete avuto difficoltà a immettere la canapa sul mercato bellunese?
«Abbiamo fatto un gran lavoro dal 2016 al 2018 per far capire che è un prodotto innocuo e che rispetta standard molto rigidi, fissati per legge. Avevamo clienti fissi, tra cui signore affezionatissime alle nostre focacce per accompagnare il tè e i giochi di carte del pomeriggio. Poi, con il cambio di governo è stata fatta una campagna feroce contro la cannabis, confondendo spesso i temi e molte persone hanno ricominciato a guardare ai derivati con diffidenza. Stiamo ancora cercando di riguadagnare il terreno perduto facendo un gran lavoro di informazione e comunicazione. Nel frattempo è stato emanato un altro decreto attuativo che impone il rispetto di limiti ancora più rigidi per oli e farine, che ho dovuto mandare ad analizzare all’università Federico II per accertarne il rientro nei parametri. Tutto a mie spese, ovviamente».
Cosa ne pensa della legalizzazione della cannabis?
«Sono a favore, ma non a livello personale, visto che io lavoro sui semi e non sulle infiorescenze, quanto più a livello industriale ma anche culturale. La nostra è una società che diventa isterica quando si parla di cannabis, perciò credo che questo passaggio possa portare un po’ di educazione su questa pianta e sui suoi innumerevoli usi. Non intendo dire che ognuno deve poter fare quello che vuole ma anzi, che, legalizzandola, ci saranno maggiori tutele anche per i consumatori».
Quanto è importante mangiare bellunese?
«Quel che viene prodotto nella nostra provincia è sicuro, perché cresce in un territorio perlopiù incontaminato. Non c’è quindi un’alta concentrazione di particelle tossiche che potrebbero renderlo un ambiente incubatore di virus, ad esempio. Però dobbiamo essere bravi a promuovere la nostra biodiversità. Il nostro è uno dei territori più belli e selvaggi d’Italia e dobbiamo preservarlo, ma anche farlo conoscere, rendendolo il nostro principale biglietto da visita anche per garantire ai nostri prodotti di circolare di più al di fuori dei nostri confini. —
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