BELLUNO. Non godono della notorietà del personale sanitario e nessuno li chiama “eroi”, ma i 350 lavoratori che in questi mesi hanno garantito ogni giorno, 24 ore su 24, la pulizia dei reparti condividono con medici e infermieri gli stessi timori e la stessa abnegazione al lavoro. Operano nell’anonimato, ma la loro attività è fondamentale per garantire ambienti igienizzati, sia negli ospedali che nelle ambulanze.
Da febbraio i dipendenti delle società Markas e Copma non si sono fermati un attimo, anche loro in prima linea. Qualcuno si è preso il Coronavirus, qualcuno è ancora “salvo”, qualche altro si è già vaccinato, ma in tutti resta l’amarezza per non essere considerati importanti in questa emergenza sanitaria.
«La paura più grande per chi lavora in reparti Covid è quello di sbagliare un passaggio nella svestizione, andando a contagiare altre persone», racconta Anna che lavora al San Martino.
«L’operazione di svestizione è la più difficile e rischiosa, per questo dobbiamo essere in due e deve esserci un infermiere che ci igienizza. Ogni passaggio deve essere svolto con precisione: prima ci disinfettano i guanti, in modo da poterci togliere la visiera che viene igienizzata. Poi ci strappiamo il camice idrorepellente: man mano che lo allontaniamo dal nostro corpo, viene spruzzato il disinfettante sulla nostra divisa. Con il camice si sfilano anche i guanti che coprono un altro paio di guanti. Passiamo poi a togliere i calzari e i copriscarpe».
A questo punto dalla zona sporca si può passare a quella pulita: «Qui ci igienizziamo i guanti, prima di togliere occhiali, mascherina, cuffia e per ultimi i guanti. Ci viene subito data un’altra mascherina nuova e tutti i nostri abiti vengono igienizzati. Tutto il materiale che abbiamo tolto viene disinfettato e riposto in contenitori gialli che poi vengono sigillati e inseriti nei sacchi neri dei rifiuti speciali».
Anna è stata in vari reparti Covid: da Malattie infettive a Pneumologia, fino alla Rianimazione. Chi pulisce è attento agli stati d’animo e tra una stanza e l’altra capita che scappi qualche parola con questi pazienti così soli. «Ho visto che i degenti giovani si abbattono facilmente, quelli più anziani sono molto più legati alla vita».
Anche chi opera in ambiente no-Covid ha una responsabilità, come racconta Laura Manfroi, delegata della Fiscascat Cisl da 16 anni. «Per quanto mi riguarda la paura è passata. Mi sento tranquilla, anche perché abbiamo tutti i nostri dispositivi di protezione. Certo l’attenzione deve essere massima», dice Manfroi. «Io vivo da sola e finchè non ho il tampone non vedo i miei familiari. Purtroppo soffro di allergie e quindi il vaccino non lo potrò fare, ma credo che pian piano questo virus ci lascerà in pace e allora potremo tornare a vivere».
Anche Laura incontra «tanti pazienti soli che attendono invano i loro cari. Questo mi stringe il cuore, allora cerco di dire una parola di conforto. L’immagine più dura è stata quella di un paziente che veniva trasferito in Rianimazione e aveva la maschera di ossigeno: pensavo di svenire». —
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