Festa in baita e contagi, sindaco investigatore dà i nomi degli invitati: oggi tampone per tutti
Focolaio a Vodo: tra i partecipanti c’era anche il figlio del primo cittadino. L’Ulss: con noi erano stati omertosi, così si affossa anche il turismo
pda
VODO DI CADORE. Quanto accaduto tra il 24 e 25 aprile in una baita di Vodo di Cadore ha suscitato rammarico e preoccupazione non solo nel Dipartimento di Prevenzione ma anche nello stesso sindaco del posto, Domenico Belfi che dopo aver letto sulla stampa del focolaio scattato nel suo territorio ha preso subito in mano il telefono per invitare i partecipanti a dire chi c’era a quella festa. E con grande meraviglia ha scoperto che uno di questi era suo figlio: subito lo ha invitato in modo energico a stilare l’elenco dei partecipanti corredato anche dei loro numeri di telefono. Elenco che ha poi girato all’Ulss che li ha convocati per oggi al drive-in tamponi di Tai.
L’allarme dell’Ulss
«Sono in corso ulteriori indagini epidemiologiche per questa festa nella casera con la presenza, tra la ventina di partecipanti, di quattro giovani risultati positivi al Covid il 30 aprile scorso», scrive in una nota il Dipartimento di Prevenzione che sottolinea con rammarico come «la prima indagine del 30 aprile non ha messo in evidenza significativi contatti extra familiari dei casi intervistati perché questi non hanno confessato di essere stati a quella festa. Questa cosa è emersa soltanto oggi (ieri per chi legge, ndr) e pertanto tutti sono stati messi in quarantena».
«Quello del non rivelare i nomi delle persone con cui si è entrati in contatto è un fenomeno che abbiamo denunciato qualche giorno fa e che vediamo diventare sempre più ampio, anche se nascondere certe situazioni diventa difficile in un momento in cui si registrano 25 casi al giorno», precisa il direttore della Prevenzione, Sandro Cinquetti. «Ci auguriamo che le positività siano poche. Purtroppo comportamenti di questo genere creano un danno molto grosso anche a livello turistico. Queste persone non si rendono conto che se si crea un focolaio in una zona, in un periodo come questo, si mette a rischio la stagione turistica dell’area. Ogni sviluppo epidemico è partito dalle terre alte, per cui bisogna fare in modo che non ripartano più altri cluster da quelle zone. E questo si può ottenere non solo con la vaccinazione, ma anche con il fatto che molti ormai hanno avuto la malattia. Ma servono comportamenti responsabili».
Il sindaco investigatore
Ma se non ci fosse stato il sindaco di Vodo, Domenico Belfi, i protagonisti di questo focolaio non sarebbero mai emersi e quindi il virus avrebbe potuto girare senza problemi tra la popolazione con i risvolti negativi sul territorio intero. «Io non sapevo nulla di questa festa», ci racconta il primo cittadino, «lo ho appreso questa mattina, (ieri per chi legge, ndr) leggendo il giornale. A quel punto incuriosito sono andato in municipio per controllare il report dell’Ulss dove non ho trovato nulla di anomalo: c’erano i soliti tre positivi, ma tra le persone in quarantena ho visto un signore che conosco. L’ho chiamato e lui mi ha detto che suo figlio era positivo ed era andato alla festa nella casera. Allora gli ho chiesto di dire a suo figlio di chiamare l’Ulss e di dire i nomi di tutte le persone che erano con lui quei giorni». Ma nel frattempo Belfi riceve la telefonata anche di suo figlio che gli dice di aver saputo che alcuni degli amici con cui è andato alla baita sono risultati positivi. Dopo avergli fatto la ramanzina, «perchè doveva dirmi di questa stori», dice Belfi, «gli ho detto di stilare tutto l’elenco delle persone che ha visto in quella festa anche quelle che sono soltanto passate per un saluto e di mettere a lato di ogni nome anche il numero di telefono». Il ragazzo lo ha fatto immediatamente e in pochi minuti il sindaco ha quindi comunicato la lista al dipartimento di Prevenzione che così ha potuto risalire a tutti i presenti e far scattare subito le misure conseguenti. «Io mi sono messo in modo autonomo in quarantena in attesa di sapere l’esito del tampone di mio figlio». Ma il primo cittadino è arrabbiato: «Posso anche capire i giovani e la loro voglia di socialità, ma questo non li autorizza a fare quanto hanno fatto. Invito tutti però ad assumersi le loro responsabilità e a riferire tutto quello che sanno all’Ulss. Per fortuna mi sono subito attivato altrimenti tutto questo non sarebbe uscito per le remore di qualcuno». —
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