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Valanga artificiale, finti sepolti: il Soccorso alpino si esercita a passo Cibiana

Complessa simulazione con venti addetti, Alex Pivirotto di Pieve ha coordinato e guidato l’intera operazione

francesco dal mas
1 minuto di lettura
L'esercitazione del Soccorso Alpino con il toboga 

Il Soccorso alpino bellunese è già all’opera con i corsi anti-valanghe. «Li facciamo sezione per sezione», spiega il delegato Alex Barattin, «coinvolgendo alla fine gran parte dei 480 volontari del nostro gruppo».

Ci sono state le nevicate, arrivano gli scialpinisti, non sono mancate le prime slavine, le prime valanghe. Ecco, dunque, tante delle 19 sezioni già in campo.

Si avvalgono chi degli esperti dell’Arpav, chi di guide alpine, chi di istruttori del Cai. Oggi, ad esempio, hanno animato un’esercitazione a Falcade i volontari della valle del Biois, con Mauro Valt dell’Arpa. E una ventina di giovani (e non solo) soccorritori del gruppo di Pieve di Cadore hanno raggiunto la pista di fondo di Passo Cibiana per cimentarsi in un addestramento che loro stessi comunque si augurano che «non debba ma servire».

Varie le fasi di approfondimento, con l’esperienza sul campo. Mauro Puppulin, delegato comunale, storico preparatore della pista, col gatto delle nevi ha lanciato tre slavine. All’interno di una di esse ha nascosto un manichino, attrezzato di artva, lo strumento che ogni scialpinista deve portarsi appresso, per cercare di avere la vita salva in caso di emergenza.

Alex Pivirotto, componente del Cnsas, tecnico del soccorso al Suem di Pieve, guida alpina, istruttore, ha accompagnato i volontari in campo, dettagliando ogni informazione: dalla chiamata di soccorso alla metodologia di intervento. Della delegazione faceva parte anche il capogruppo Giuliano Baracco.

«L’attività formativa si sviluppa in tre fasi. La prima si sofferma sull’illustrazione di come si fa (e non si fa) scialpinismo, in modo da capire i comportamenti corretti o no di chi si va a soccorrere».

La seconda fase è quella dell’esperienza diretta del soccorso: dalla ricerca di chi finisce sotto una valanga all’uso della barella, al trasporto del malcapitato. La terza fase è quella del recupero dell’eventuale vittima.

Insegnamenti tecnici, dunque, ma anche sanitari (al limite) e psicologici.

Ammette Puppulin che, per conto del Comune di Cibiana, ha assistito alle operazioni: «È perfino commovente vedere questi ragazzi con quanta dedizione, con quale passione, ma anche con quanta e quale professionalità si dedicano ad un’attività così umanitaria e al tempo stesso così a rischio per loro medesimi».

« Le esercitazioni invernali o estive fanno parte del dna del soccorritore», ammette Barattin, «e valgono per il soccorso organizzato, ma anche per l’autosoccorso. Si ripassano le manovre base, ma si partecipa, appunto, a simulazioni sempre più “realistiche” e ci si addestra all’uso di apparecchiature che di anno in anno si perfezionano. Perché», conclude il delegato, «non si finisce mai di imparare: nel campo del lavoro come nel resto della vita di tutti i giorni».

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