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Caso Safilo, lo storico patron Tabacchi: «Si spegne una mia creatura. Colpa di quella donna, ha distrutto tutto»

L’intervista: «Ho mollato nel 2010, avevo 10mila dipendenti. Un tempo eravamo una famiglia, conoscevo tutti gli operai»

Francesco Dal Mas
3 minuti di lettura
Vittorio Tabacchi, lo storico patron della Safilo 

«Come chiudono Longarone? Non so niente. Davvero?». Vittorio Tabacchi, lo storico patron della Safilo, trattiene il respiro. Si avverte, seppur al telefono, che è catturato dall’emozione. «L’ho fondata io quell’azienda. È come se si spegnesse una mia creatura».

Tabacchi è nato a Belluno il 26 ottobre 1939.

L’intervista

Quando ha iniziato a metter mano alla Safilo?

«Ho cominciato all’inizio nel 1959, poi ho fatto il militare. Rientrato, mi sono subito inserito in azienda. Ricordo che a Calalzo avevo 300/350 collaboratori. E, quando, ho mollato, era il 2010, ne avevo 10 mila, nel gruppo».

Le piangerà il cuore vedere che cosa è accaduto al suo patrimonio, anzi al suo tesoro.

«Di più, di più. E il periodo della “distruzione” è incominciato quando sono arrivate le donne al vertice».

La Delgado?

«Lasciamo perdere, voglio dimenticare. So che in due, tre anni è stato distrutto quanto avevo costruito nei decenni precedenti. Comunque mai mi sarei immaginato un tracollo così tremendo».

Un tracollo di Longarone, tra l’altro, in una congiuntura del tutto favorevole all’occhialeria, con la crescita a due cifre, sia nel 2022 che quest’anno, a quanto pare.

«Eh sì, perché mi pare che il settore stia andando davvero bene. Me lo dicono anche i colleghi amici. Sono più che soddisfatti e attendono l’ormai prossimo Mido con ansia: per una conferma delle previsioni… Ma voglio dimenticare».

La rimozione è impossibile, se permette, per uno come lei. Qual era lo spirito con cui ha plasmato per oltre cinquant’anni la sua creatura? Le aveva dato perfino un’anima.

«Eh certo. Un’anima sì, soprattutto al gruppo dirigente, ai capireparto. Ogni sei mesi io convocavo tutti e facevo i miei discorsi e il refrain di ogni discorso era “dovete lavorare, ma non venire alla mattina per poi tirare sera, dovete pensare che siamo un gruppo di amici che dobbiamo raggiungere insieme un obiettivo che ci siamo posti”. Ogni volta ci ponevamo degli obiettivi e quindi dicevo che dovevamo arrivare lì».

Quindi faceva il “motivatore” ante litteram?

«Proprio così. Lavoravamo veramente con uno spirito amichevole, di famiglia. A parte il fatto che li conoscevo tutti (il papà, la mamma, la nonna..). E si badi, Longarone per me è sempre stata un po’ la “mia” fabbrica perché quella l’ho proprio costruita io.

Lei lo capisce, vero? Casualmente ho incontrato casualmente il progettista, è di Belluno. Abbiamo ricordato insieme il periodo dell’ingegner Boschetti… No, nessuna nostalgia…».

Ma tanta rabbia?

«Cade quest’anno il 60° anniversario del Vajont. Io avevo più di mille dipendenti lì a Longarone. Un dramma nella tragedia. Mi vien da dire: almeno un po’ di rispetto».

Secondo lei, questi 472 lavoratori riusciranno a trovare una ricollocazione nel territorio. L’occhialeria ha bisogno di nuove figure professionali… Ma 550 tra operai e impiegati, compresi quelli della Diab, non sarà facile ricollocarli.

«Appunto. Il Cadore, Longarone e il resto della provincia hanno bisogno di lavoratori. Credo che ci siano problemi per risolvere una parte del problema. Certamente non domani mattina. Bisognerà allargare lo sguardo».

Per quale ragione?

«Ci sono alcuni che venivano, almeno ai miei tempi, dalla Valbelluna, altri dalla valle del Piave, addirittura c’erano due pullman che salivano da Vittorio Veneto. E quindi non credo che ci saranno difficoltà a piazzare queste persone. Ci sono tante occhialerie in espansione. Ma la mia, lo convengo, è più una speranza che una certezza».

Quando ha completato l’investimento a Longarone?

«Nel 2000 circa ho trasferito tutte le produzioni da Calalzo a Longarone, quando lo stabilimento è stato ampliato. Ho costruito a Longarone più di 20 mila mq di fabbrica».

Lei ci va al Mido?

«Sì, certo».

Spinto da quali motivazioni?

«Sono ancora presidente della Fondazione, quella che ho fatto, la Cdv (Commissione difesa vista), quindi sono ancora nel giro delle occhialerie. Fuorché una (la Safilo, ndr), quella l’ho cancellata. Non voglio dire il nome perché mi vergogno».

Addirittura? Ma è da tanto tempo che non ha contatti con la nuova governance?

«Io sono stato presidente onorario fino al 2013 e quindi dal 2013 in poi non so più niente. Loro non mi hanno mai cercato e io mi sono guardato bene dal cercarli. Questo è un dramma che veramente mi disturba e rattrista. Tanto più pensando ad una situazione di mercato positiva».

Safilo dice che il 2022 è andato molto bene per il Gruppo, però a Longarone si chiude.

«Non capisco, non capisco, comunque sono tanti anni che non capisco. Da quando quella signora (Delgado, ndr) ha liquidato tutti i miei dirigenti, che avevo creato, per mettere dentro altra gente che veniva magari da fabbriche di dentifricio e spazzolini da denti».

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