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Sos Legambiente: caldo e siccità la neve artificiale non è la soluzione

Temperature più alte di 3° e meno precipitazioni «I cannoni sottrarranno sempre più acqua ai nostri torrenti»

Francesco Dal Mas
Aggiornato alle 3 minuti di lettura
Un cannone per l’innevamento artificiale 

Fine stagione anticipato per gli impianti della Scoter, a San Vito di Cadore. Troppo caldo o, se vogliamo, poco freddo per fare neve. Domenica prossima, dunque, ci sarà lo stop ai piedi dell’Antelao. L’annuncio è stato fatto nelle stesse ore in cui Legambiente lanciava il rapporto “Nevediversa” sul grande caldo che ogni anno continua a far chiudere (definitivamente) gli impianti, anche per l’impossibilità – se non addirittura – l’improponibilità della neve programma.

Il 2022 è entrato nella storia della climatologia italiana ed europea come un anno tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni, in particolare, in Italia si è rivelato il più caldo e siccitoso nella serie climatica nazionale. Ma sapete di quanto sono aumentate le temperature nei nostri Comuni da 50 anni a questa parte? Da un minimo di 1,8 gradi a un massimo di 2,8 (3 sull’altopiano di Asiago). L’incremento a Falcade e al passo San Pellegrino è stato di 2,3 gradi, ad Arabba addirittura di 2,8. Scendiamo più a valle, vicino al lago.

Ed ecco Alleghe che sospira di sollievo col suo 1,9. Ma basta risalire in alto, a Selva di Cadore per trovare un caldo 2,8. E non è che la più bassa Val di Zoldo possa sorridere: conta anch’essa un 2,4. Cortina? Beh, la “regina delle Dolomiti” non si sottrae ai cambiamenti climatici e sconta un incremento di 2,4 gradi. Proviamo di nuovo a salire per verificare se oltre i 2 mila metri le temperature sono più fresche. Nient’affatto. È una delusione. 2,8 gradi di aumento sul Lagazuoi, a cominciare dal passo Falzarego e dal passo Giau. Le 5 Torri possono vantare 4 decimi di meno caldo, ovvero 2,4. Si diceva di Selva di Cadore. Bene, anche a Colle Santa Lucia l’incremento è stato analogo, di 2,8, come lassù, sul Giau.

Dall’altra parte delle Dolomiti, in val d’Ansiei, ecco il monte Agudo, sopra Auronzo, ben esposto al sole. Eppure qui ci si è fermati a 1,9 gradi. E agli oltre 2 mila metri di Misurina? Anziché fare più freddo, fa più caldo: di 2,4 gradi. O meglio, Misurina, come si sa, è la Siberia delle Dolomiti; evidentemente l’escursione termica è più alta. 2,2 gradi in più nella ski area del Comelico.

Torniamo da quest’altra parte della provincia, a Croce D’Aune, sopra Pedavena. Siamo “più bassi” di quota e, infatti, ecco i 2,5 gradi in più. Le Dolomiti bellunesi non segnano, però, il record: di 3 gradi. Ce l’ha il monte Verna, a Roana, Altopiano di Asiago.

In giro per le Alpi, la mancanza di neve, le temperature elevate e la maggior frequenza di eventi estremi hanno scombussolato la montagna, lasciando nella più totale precarietà i gestori degli impianti e con essi l’intera filiera dello sci. «Per fortuna non sulle Dolomiti», tiene subito a precisare Marco Grigoletto, presidente degli impiantisti dell’Anef, «dove, nonostante un aumento dei prezzi skipass del 10%, i passaggi sulle piste stanno registrando un incremento del 13%».

E per fortuna, quindi, i cannoni si sono limitati a sparare per una settimana, poco più. Infatti, più fa caldo e meno sono efficienti gli impianti di innevamento. Ed ecco l’allarme di Legambiente. «Per i prossimi anni si prevede che nelle Alpi la domanda di acqua per l’innevamento aumenterà notevolmente, dal 50% al 110%. Questi maggiori fabbisogni idrici dovranno essere conteggiati insieme a usi idrici di altri settori, come l’idroelettrico, l’agricoltura, gli usi domestici in generale, il turismo. Con un clima ancora più caldo, nei prossimi anni andremo incontro a usi plurimi dell’acqua sempre più problematici».

L’Italia, sottolineano da Legambiente, «è il paese alpino dove è più diffusa la neve artificiale: la percentuale di piste innevate artificialmente è del 90%. La sottrazione di risorse idriche per l’innevamento artificiale comporta una diminuzione della portata dei corsi d’acqua nelle stagioni in cui la risorsa viene prelevata». Così sostiene Legambiente. Grigoletto ribatte. «L’acqua che noi pompiamo dai bacini la restituiamo tutta con lo scioglimento delle piste». Gli operatori hanno chiesto alla Regione altri 10 invasi.

Ma Legambiente replica: «Gli invasi perdono molta acqua per evaporazione: la media, ad essere prudenti, comporta non meno di 10.000 mc/anno per ogni ettaro di superficie degli specchi d’acqua, ma questa quantità è maggiore per gli invasi di minori dimensioni. Si può dedurre, quindi, che, a causa dell’evaporazione durante lo stoccaggio in bacini e ad altre perdite, solo il 40-60% dell’acqua prelevata può essere utilizzata nella produzione di neve». Controreplica l’Anef con Grigoletto: «I bacini non servono solo a noi (parzialmente, peraltro) ma per i consumi civili».

Legambiente ribatte evidenziando le conseguenze su flora, fauna, suoli e ciclo idrologico, ma anche sul paesaggio. Non solo. «La neve così prodotta differisce per struttura fisica dalla neve naturale, è più pesante e comporta un maggiore carico sul terreno. Ha un alto contenuto di acqua liquida, circa il 15-20% rispetto al 7-10% della neve naturale, e di conseguenza ha un peso maggiore e meno capacità di isolamento termico fra suolo e atmosfera rispetto alla neve asciutta. Questi fattori causano il congelamento del suolo, impedendo il passaggio di ossigeno e possono provocare l’asfissia del sottostante manto vegetale, il quale può essere soggetto col tempo a morte e putrefazione. Nei luoghi ad innevamento meccanico è stato riscontrato un ritardo dell’inizio dell’attività vegetativa, fino a 20-25 giorni rispetto alla media».

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