Spiritualità e imprenditoria, la Vena d’oro di Ponte nelle Alpi è rinata con Nuovi Orizzonti
L’ex colonia ospita persone in crisi personale tra laboratori, spazi per cene, noleggio abiti nuziali. Il supervisore Nicola Guarinoni: «Ci aiuta la Provvidenza ma ci autososteniamo con gli eventi»
Marcella Corrà
Stanno per partire nuovi e importanti lavori nel complesso della Vena d’oro di Lastreghe, a Ponte nelle Alpi, fino agli anni ’90 colonia dell’Enel per i figli dei dipendenti e ora braccio operativo in Veneto dell’organizzazione internazionale Nuovi Orizzonti, una associazione che si occupa di persone che soffrono di disagio sociale, che si sentono emarginate, disperate, o che patiscono varie forme di dipendenza.
Nuovi Orizzonti è attiva a Ponte dal 2011, dopo aver ricevuto in comodato gratuito dai proprietari il complesso di edifici. I primi due anni, racconta il supervisore Nicola Guarinoni, sono serviti ad una piccola équipe dell’associazione per i lavori di recupero e di ristrutturazione di una parte degli edifici, per consentire dal 2013 di accogliere i primi ospiti. «Era tutto abbandonato da anni, nel parco c’erano montagne di rifiuti. Il primo edificio ristrutturato è quello che ospita attualmente una quindicina di persone, poi si è messo mano allo stabile al piano terra dove un tempo c’era il bar. Con un contributo del Gal abbiamo rifatto il tetto, ma l’interno non è ancora completato».
Cosa ci farete, quando avrete i fondi per completare la ristrutturazione?
«Al piano terra potrebbe starci un luogo di aggregazione per i giovani, come appunto un bar. Ha anche una terrazza che si affaccia sul parco. Sopra potrebbero trovare posto i nostri uffici: ora lavoriamo in una stanza piccola. E poi il resto può essere usato per l’accoglienza».
In cosa consistono i lavori che stanno per partire?
«Stiamo per mettere il riscaldamento nel grande salone che finora abbiamo usato solo d’estate per cene, matrimoni o altri eventi. Nel tempo abbiamo realizzato dodici camere con bagno che si trovano sopra il salone e che ospitano famiglie e gruppi che vogliono passare del tempo con noi. Anche qui serve il riscaldamento».
Quanti ospiti avete in questo momento?
«Sono 21 tra uomini e donne. Le donne, 5, vivono in appartamento a Lastreghe, vengono qui al mattino e tornano a casa la sera. Gli uomini sono 16. Poi ci siamo noi operatori, siamo in cinque. Questa non è una comunità terapeutica, ne abbiamo nella nostra organizzazione ma in altre città. Questo prima di tutto è un centro di accoglienza e di ascolto».
Chi si rivolge a voi?
«Questo è un piccolo villaggio dove chi si sente solo, disperato, trova accoglienza e amore. Nuovi Orizzonti è partita nel 1991 con i ragazzi di strada, con chi aveva problemi di alcol e di tossicodipendenza. Con gli anni poi si è rivolto a noi anche a chi patisce il male di vivere, che è molto diffuso e colpisce persone cosiddette normali, che sentono un vuoto, una angoscia. A tutti viene proposto un percorso, spiritherapy, per la conoscenza di sé e la guarigione del cuore. È una terapia seguita da 40mila persone in ottanta Paesi nel mondo. Grazie ad internet riusciamo a raggiungere molte più persone».
Come è organizzata la giornata dei vostri ospiti?
«Si comincia alle 8, dopo la sveglia, la colazione, il riordino della propria stanza. Iniziamo con la messa che viene celebrata da sacerdoti locali. Dalle 9 alle 13 ci sono i vari progetti di lavoro nei laboratori di artigianato oppure nella cura della cittadella, come il parco, gli animali, la legna. Le attività continuano nel pomeriggio, fino alle 17. Poi c’è il rosario e momenti di svago, di riflessione, di sport. Il giovedì è una serata aperta anche agli esterni».
Quanto dura un percorso di questo tipo?
«È come un anno scolastico, da settembre a maggio. Poi se la persona ritiene di aver ancora bisogno di sostegno può restare per un altro anno. Oppure può anche decidere di diventare volontario di Nuovi Orizzonti».
C’è una retta da pagare?
«No, chi può dà un contributo».
Come vi mantenete?
«Prima di tutto ci affidiamo alla Provvidenza, è un continuo moltiplicarsi di pani e di pesci. Certo la generosità di tante persone non basta. Ci autososteniamo con raccolte fondi, con la vendita dei prodotti dei laboratori, in fiere, mercati e nello spazio espositivo di piazza Duomo. In uno degli edifici ha sede il Charity shop spose per il noleggio e la vendita di abiti da sposa e accessori, ora anche con un settore per gli abiti da cerimonia. E poi ci sono le cene, le feste, i matrimoni, gli eventi. Grazie ad un finanziamento di Cariverona abbiamo potuto realizzare delle cucine industriali in grado di rispondere a esigenze sempre maggiori. Ci muoviamo un passo alla volta, senza fare pubblicità ma con il passaparola».
C’è poi tutta l’attività dei centri estivi.
«Sì, noi accogliamo gruppi parrocchiali e non, in due grandi stanzoni che si trovano sopra il Charity shop, che arrivano a Ponte nelle Alpi da tutta Italia. Fanno una settimana di esperienza del nostro modo di vivere».
Siete intervenuti anche a favore degli ucraini in fuga dalla guerra.
«Abbiamo accolto venti persone, donne, bambini e anziani nell’ospedaletto dell’ex colonia, con una disponibilità di sei mesi per mancanza di riscaldamento. Molti si sono integrati, hanno trovato lavoro, altri sono tornati in patria».
Nicola Guarinoni, veronese, è entrato in Nuovi Orizzonti venti anni fa, quando aveva trent’anni, dopo le sofferenze della tossicodipendenza. L’inizio della sua attività è a Medjugorje dove viene costruita la prima Cittadella Cielo. Lì conosce la moglie, Valeria De Bernardis, che lavora accanto a lui a Ponte, occupandosi dell’èquipe Armonia, il settore che cura i lavori di artigianato e di cui è responsabile Lucia De Prà.
Come è cambiato in questi venti anni il mondo delle dipendenze?
«È il target delle persone accolte che è cambiato. Prima venivano persone con problemi di alcol e di droga, di vita sulla strada o in carcere. E sapevi quali strumenti utilizzare per aiutarli. Ora ti parlano di violenze subite, di abbandoni, di tradimenti. Non c’è solo la droga, che viene vista come la possibilità di quietare l’ansia e il dolore. Partiamo da lì, togliamo l’anestetico, vediamo come si reagisce. È un mondo complesso e variegato. Mi è capitato di aver proposto degli incontri nelle scuole per parlare con i giovani. Molti presidi mi rispondono: qui non ci sono problemi. Invece ce ne sono tantissimi, c’è tanto dolore, tanta disperazione. C’è bisogno di aiuto, di sostegno, di guarigione».
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