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“Il posto della guerra”: quello che l’Ucraina ci insegna sulla libertà

Vittorio Emanuele Parsi giovedì a palazzo Bembo con l’ultimo libro per un incontro organizzato da Confindustria Belluno Dolomiti. «L’autodeterminazione è un valore non negoziabile»

Stefano Vietina Stefano Vietina
Aggiornato alle 4 minuti di lettura
Vittorio Emanuele Parsi, l'analista sarà a Belluno giovedì 16 marzo 

«L’Ucraina è la vittima prima dell’aggressione russa, un’aggressione che ha fallito finora tutti i suoi principali obiettivi per la strenua, valorosa, appassionata resistenza che le ucraine e gli ucraini le hanno opposto. Con il loro esempio hanno ricordato ai cittadini e alle cittadine di un’Europa attonita che le cose per cui vale la pena vivere sono anche quelle per difendere le quali vale la pena morire. E che la libertà individuale e la possibilità di autodeterminare il proprio futuro come popolo sono valori – questi sì – non negoziabili». Ad un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, Vittorio Emanuele Parsi, autore del libro “Il posto della guerra e il costo della libertà”, analizza l’evolvere del conflitto.

L’incontro a Belluno

Sarà lui, direttore dell’Alta scuola di Economia e Relazioni internazionali dell’Università Cattolica e docente di Relazioni internazionali, il protagonista dell’incontro promosso da Confindustria Belluno Dolomiti per discutere dei riflessi e delle prospettive che la guerra in Ucraina ha anche sulle imprese. L’appuntamento è per giovedì alle 18 a Palazzo Bembo in via Loreto.

Da cosa nasce il libro? «Da una reazione al pressapochismo del dibattito pubblico italiano sulla guerra, alla disinformazione, ai ragionamenti spesso contorti che ne derivano», risponde Parsi.

Secondo la propaganda, la Russia avrebbe piegato la resistenza in pochi giorni. Ad oltre un anno di distanza dall’invasione, l’offensiva non è andata in profondità.

«L’evidenza», dice Parsi, «è che gli ucraini continuano a resistere, che offrono una dimostrazione estrema dell’importanza delle scelte individuali, del loro valore, dell’attaccamento alla libertà. L’offensiva russa in corso è massiccia, può mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’Ucraina. Ma la consapevolezza di questo rischio cresce anche nell’opinione pubblica del nostro Paese e si allinea, secondo gli ultimi dati di Eurobarometro, a quella degli altri Paesi europei. Perché se le cose si spiegano, poi si capiscono».

Nessun accerchiamento

C’è chi sostiene che la mossa di Putin sia stata provocata dalla Nato, da una sorta di accerchiamento della Russia con installazioni militari nei paesi confinanti. Parsi smonta la tesi. «Le installazioni permanenti della Nato sono una cosa avvenuta adesso. La Nato non si è allargata, sono i paesi che erano sotto il giogo sovietico che, per proteggersi, sono entrati nella Nato; ed hanno fatto bene».

Nessuna provocazione? «Né provocazione, né minaccia. Piuttosto è stata l’ossessione putiniana che ha scatenato la guerra per rafforzare il suo potere interno. Putin sa benissimo che il problema della Russia non è l’accerchiamento esterno, ma la fuga all’interno. Scappano lituani, estoni e giovani russi. Allora si evocano inesistenti minacce e si crea un nemico esterno per ricompattarsi».

In questo solco ricade la continua evocazione della minaccia nazista. «Zelenski», precisa Parsi, «ha ricevuto il 70% dei voti degli ucraini; è sempre stato vicino ai russi; voleva implementare gli accordi di Minsk. I neonazisti in Ucraina hanno il 2% dei seggi in parlamento. I veri nazisti piuttosto sono in Russia».

Il posto della guerra

Dopo quasi ottant’anni, e a trenta dalle guerre balcaniche, i mortai sono tornati a sparare nel Vecchio Continente. L’aggressione che Vladimir Putin ha scatenato contro l’Ucraina il 24 febbraio 2022 ha rotto decenni di pace e ha fatto sì che l’Europa tornasse ad essere “il posto della guerra”.

«Come è potuto accadere uno scempio simile proprio nella “civile Europa?”», si chiede Parsi nel suo libro. «Nel luogo che ha rappresentato un pilastro di quell’ordine liberale che ha trasformato il sistema internazionale stringendo attorno a sé una famiglia di democrazie affratellate e tessendo una fitta trama di istituzioni e trattati garanti della cooperazione e della pace? E se la pace è stata infranta proprio dove le condizioni per mantenerla erano le migliori possibili, che speranza resta per evitare che la forza ricominci a essere la sola “regola del mondo? ”».

Aggredito

La tesi del professore della Cattolica è che l’invasione russa dell’Ucraina non sia solo una dichiarazione di ostilità mortale nei confronti di quel Paese, ma rappresenti anche un’esplicita aggressione all’Occidente democratico e ai principi e alle regole su cui si fonda.

«Ripensare la guerra», dice, «e il suo posto nella cultura politica europea contemporanea, dopo l’Ucraina è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti a un disegno spezzato senza nessuna strategia per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali. Perché se c’è una cosa che la fiera resistenza del popolo ucraino ci ha insegnato è che non bisogna arrendersi mai, che la difesa della propria libertà ha un costo, ma è il presupposto per perseguire ogni sogno, ogni speranza, ogni scopo, che le cose per cui vale la pena vivere sono le stesse per cui vale la pena morire».

A rischio i valori della democrazia

Insomma, la “scellerata guerra” scatenata dal Cremlino ci riguarda tutti. «Non è solo una dichiarazione di ostilità mortale nei confronti dell’indipendenza nazionale ucraina, ma costituisce anche un attacco diretto al cuore dell’ordine internazionale: alle sue regole, alle sue istituzioni e ai princìpi sui quali si fondano», prosegue Parsi. «Questi princìpi sono i cardini di un ordine nel quale la legge del più forte cede il passo alla forza della legge, proprio come accade nelle nostre democrazie. Perché l’ordine internazionale costruito a partire dal secondo dopoguerra ha assunto come propri i medesimi valori, le stesse procedure, le tipiche modalità di lavoro che caratterizzano le democrazie. È questo che lo ha reso – e lo rende – così diverso dagli assetti che lo hanno preceduto e che lo fa definire un ordine “liberale”, che prevede il rifiuto della guerra come pratica ordinaria per perseguire i propri obiettivi politici e tollera il ricorso alle armi nel solo caso della legittima difesa, individuale e collettiva».

Ed ancora: «Avere riportato la guerra in Europa è una responsabilità gravissima, non certo perché le vite degli europei valgano di più di quelle dei non europei, ma perché proprio dall’Europa sono partite le due guerre mondiali che hanno devastato il pianeta e proprio in Europa abbiamo tratto le conseguenze di questa tragica realtà, provando – fin qui con successo – a cambiarla, cercando di costruire “un mondo nuovo”, facendo diventare, appunto, il “posto della pace” quello che era stato per secoli il “posto della guerra”.

Democrazie in affanno?

«È stato attraverso la testarda edificazione di una famiglia di democrazie che quei popoli europei, che per secoli non si erano fatti altro che guerre, si sono scoperti affratellati», dice ancora Vittorio Emanuele Parsi. Ma le democrazie appaiono in affanno: i dati delle elezioni mostrano disaffezione nel sistema. «La democrazia tutela la libertà individuale più di ogni regime autoritario. Certo sono democrazie imperfette e lontane dal modello ideale, ma è proprio della democrazia rappresentativa consentire anche di non andare a votare. Ovvero si può fare altro rispetto alla politica, se no si corre il rischio di tornare al sabato fascista, all’obbligo della politica. Quindi fa parte della libertà anche il diritto di non votare, che si può combattere solo cercando di migliorare l’offerta politica».

«Io credo sia importante sottolineare la natura irriducibilmente diversa dei regimi democratici rispetto a quelli autoritari per evitare di cadere in quella pericolosa omologazione che porta a mettere sullo stesso piano le ragioni dell’aggressore e dell’aggredito, quel ragionamento intellettualmente pigro ed eticamente cinico che confonde l’equilibrio di giudizio con l’equivalenza delle ragioni».

Ed i nostri politici? Come si stanno comportando sulla questione Ucraina? «Meloni sulla guerra è coerente, i suoi partner sono molto più ballerini. Conte ha scelto di fare il portabandiera assoluto del pacifismo, ma alla fine quella che conta è la posizione del Governo». 

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