«Le Regole? Un’impresa immobiliare», Zardini chiede di essere cancellato
L’enologo amareggiato dopo la demolizione del deposito attrezzi: «Nessuno ha mosso un dito per salvare il vigneto»
Stefano Vietina
«Lascio le Regole d’Ampezzo perché hanno tradito il loro compito storico e si sono trasformate in una semplice impresa immobiliare».
Fabrizio Zardini, enologo, non ha preso la decisione a cuor leggero, anche perché, sottolinea, «sono ampezzano doc e la mia famiglia risale al 1500. Ma un segnale andava lanciato a tutta la comunità». Così ha preso carta e penna e ha scritto una lettera che ha per oggetto la richiesta di cancellazione dal Catasto delle Regole d’Ampezzo. Le ragioni? Sono dettagliate e prendono le mosse dalla recente vicenda che ha visto la demolizione del deposito attrezzi della vigna di Cortina presso la Cava Piccola di La Vera «e anche quanto», precisa Zardini, «è intercorso nel dialogo, in parte de visu e in parte per corrispondenza, con l’amministrazione regoliera, che mi ha fatto riflettere molto sul contenuto in valori dell’Istituto, su ciò che rappresenta oggi e rappresentava in passato nella storia del paese».
Vigna 1350
Come si sa, il 30 gennaio scorso è stato demolito il ricovero attrezzi di Vigna 1350, indispensabile per la coltivazione del vigneto, per custodire al riparo macchine e attrezzi, per procurare, grazie alla pioggia raccolta dal suon tetto, l’acqua necessaria all’irrigazione delle viti. «Con questo», sottolinea Zardini, «termina il percorso durato 12 anni in cui io e Francesco Anaclerio abbiamo sperimentato prima le tecniche colturali per la viticoltura di montagna, scelto le varietà adatte al clima, al terreno e alle stagioni di questi luoghi, iniziatori pionieri di una viticoltura che oggi, grazie alla nostra esperienza, si è ripetuta a quote superiori ai 1.200 metri in altre zone alpine. Grazie a tutto ciò abbiamo quindi realizzato un vigneto produttivo affittato dal valdobbiadenese Gianluca Bisol, in assoluto il più alto d’Europa, spingendosi con i filari più elevati fino a 1.378 metri sul livello del mare, e anche l’unica coltura agricola ufficiale nell’ambito dell’Istituzione agro silvo pastorale delle Regole d’Ampezzo».
Nate per gestire il territorio
Fabrizio Zardini richiama le ragioni della nascita delle Regole, sorte «dall’esigenza di un popolo di gestire le risorse di un territorio che le condizioni climatiche rendono frugale, con spirito di solidarietà, fratellanza e mutuo soccorso». La spina dorsale di un tessuto sociale, lo strumento per la crescita culturale ed economica di una comunità. «Per secoli queste regole sociali sono state il collante di una comunità forte, capace di rendere “vita” la semplice sopravvivenza, collaborando tutti a realizzare i progetti del singolo volti a creare benefici e frutti utili per la collettività in generale equilibrio con l’ambiente del territorio». Tutto è però cambiato: «Purtroppo oggi le Regole d’Ampezzo sono diventate un’agorà in cui si svolgono dispute tra parti avverse, tra singoli competitori per la difesa di privilegi e di interessi economici, per l’esercizio di un potere. Spesso sono il trampolino di lancio per la carriera politica nella pubblica amministrazione verso cui pertanto non si pongono come interlocutore paritario, ma come interdipendente soccombente. L’attività propriamente agro, silvo pastorale è ridotta al minimo e comunque non viene incentivata nella sua capacità di mantenere vivo l’interesse per l’ambiente, il territorio e i valori connessi».
Unico obiettivo il profitto
In pratica, secondo Zardini, «le Regole sono diventate oggi quasi un’impresa immobiliare dove l’unico obiettivo è quello di incrementare il profitto aziendale tramite le cessioni di spazi con scopo di lucro. In queste condizioni io non mi riconosco come appartenente a una comunità che forse come tale nemmeno esiste più, non ritrovo i valori secolari in cui ho sempre creduto e continuo a credere. Pertanto, chiedo di essere ufficialmente escluso dall’appartenenza alla consorteria regoliera».
Secondo Zardini «le Regole potevano bloccare il decreto del Comune o chiedere deroghe, come per altri casoni di supporto ad attività silvo pastorali. Invece non hanno mosso un dito per salvare un vigneto che ha recuperato un terreno agricolo reso sterile dal precedente uso come discarica, trasformandolo in un rigoglioso fazzoletto verde e in un luogo ameno diventato meta delle passeggiate di molti residenti e ospiti di Cortina. Il nome di Cortina e del suo vigneto ha raggiunto, attraverso i media, ogni angolo del mondo».
In forse il futuro delle viti: «Stiamo parlando con Bisol: il primo problema da risolvere è quello dell’acqua. Vediamo cosa si potrà fare. Di certo un ricovero per gli attrezzi è necessario».
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