In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Ispra: 24.500 bellunesi in aree alluvionabili. A rischio 439 beni culturali e 17 industrie

L’assessore Bottacin e l’ingegner D’Alpaos tracciano la strada per la sicurezza idrogeologica: «Investire sulle manutenzioni»

Francesco Dal Mas
2 minuti di lettura

Sono ben 24.500 i bellunesi a rischio alluvione. Avete presente le Paludi in Alpago? È una delle aree più a rischio alluvione della provincia. A Belluno, durante Vaia, una quindicina di persone furono allontanate in piena notte dalle loro case di Borgo Piave, perché minacciate dalla piena del Piave.

+Nella stessa circostanza ha rischiato di finire sott’acqua un tratto dell’Alemagna, a Castellavazzo. A Sedico ricordano purtroppo con preoccupazione le esondazioni del Cordevole. E il lago di Alleghe nel 1966? Da quella data in avanti, le terre alte sono state segnate da frequenti tracimazioni di fiumi, torrenti, laghi.

Il Bellunese, insomma, non è solo vittima di frane. L’Istituto Ispra ha condotto nel 2021 l’ultimo “Rapporto sui territori italiani più alluvionabili, considerando le persone che potrebbero essere coinvolte, i beni culturali a rischio di finire sott’acqua, e le industrie. La provincia di Belluno ha ben 3610 chilometri quadrati di territorio a rischio, individuato in tre categorie: basso, medio e alto.

Il territorio con probabilità di esondazione più frequente - da Paludi a Borgo Piave, per finire in Comelico, da San Pietro di Cadore a Campolongo e Santo Stefano - è limitato in soli 124 chilometri quadrati e riguarda non più di 6.163 persone. Non sono tante, ma neppure poche.

Sui territori interessati sono intervenuti i cantieri post Vaia, quindi la sicurezza esiste rispetto alle analisi del rischio fatte allora. Con l’imperversare di eventi estremi, bisogna capire – dicono gli esperti – che cosa potrebbe accadere. Altri 7.466 bellunesi vivono in aree dove il pericolo di esondazione è medio. Circa 10 mila persone risiedono in territori potenzialmente alluvionabili, ma con frequenza assai ridotta. Il che significa che 24.500 bellunesi potrebbero avere di che temere per l’insicurezza idraulica dei paesi che abitano, considerando le piogge sempre più rare, ma sempre più violente. Usiamo il condizionale perché, in verità, dopo Vaia si sono alzati argini, alleggeriti versanti franosi che potevano cadere nei corsi d’acqua, sghiaiato torrenti e fiumi.

Gianpaolo Bottacin, assessore regionale all’ambiente e alla Protezione Civile, fa notare, intanto, che Belluno è più al sicuro di altre province venete. «In Veneto lo 0,1% della popolazione è esposta a rischio elevato frana contro un valore nazionale dello 0,7%. Se calato su Belluno il dato vale l’1,3% della popolazione. Rispetto al rischio allagamento in Veneto l’8,7% della popolazione è esposta a rischio elevato contro un dato nazionale del 4,1%. Il dato relativo alla provincia di Belluno è del 3%».

Ma constatare questo dato soddisfa fino a un certo punto. Ecco, infatti, l’assessore affermare che l’obiettivo della Regione è stato ed è quello di ridurre il rischio.

«Sono stati investiti in Veneto 1,5 miliardi di euro per interventi di difesa del suolo con 320 milioni di euro investiti in opere di manutenzione. Il nostro piano di adattamento ai cambiamenti climatici prevede investimenti nella difesa del suolo pari a 3,5 miliardi di euro complessivi. Ciò significa che se abbiamo già realizzato opere per 1,5 miliardi, dobbiamo ancora realizzare molte altre opere. A cominciare dal Bellunese».

I tecnici e gli esperti della Regione stanno già aggiornando le analisi del post Vaia sulle opere ancora in cantiere, per pianificarle in considerazione dei nuovi eventi. Lo ammette l’ingegner Luigi D’Alpaos: «Il Veneto, a differenza di altre Regioni, non si è limitato a progettare le opere, in particolare i bacini di laminazione, là dove è piovuto di più, ma anche sulla base della quantità di precipitazione avvenuta e su quella delle conseguenze che ha provocato».

In altre parole, secondo D’Alpaos, in provincia di Belluno e altrove nel Veneto in anticipo si sono cominciati a studiare gli adattamenti al cambiamento climatico e a concretizzare la prevenzione.

«Nel 2018 e nel 2020 abbiamo registrato picchi di precipitazioni superiori a quelli del 2010 e non si sono avuti gli stessi danni, dimostrando che le opere realizzate sono efficaci», conclude Bottacin. «Purtroppo la burocrazia e le costanti contestazioni a opere salvavita non aiutano».

Il rapporto dell’Ispra tiene conto del fatto anche dei possibili danni materiali, almeno in alcuni settori strategici. La provincia ha 2.905 beni culturali. Ben 439 sono in condizioni di finire a bagnomaria; 128 corrono in tal senso un pericolo “molto alto”. Sono 17 le industrie, tra le più significative, anch’esse a rischio; di cui due hanno lavorazioni pericolose. Quindi è necessario un supplemento di attenzione, di prudenza.

I commenti dei lettori