Giorni di via vai e di socialità attorno alla calchera riaccesa a Taibon
In Valle di San Lucano finita la “cota”, ora si attende il raffreddamento. Sibillon: «Alunni e persone di tutte le età hanno seguito le operazioni»
Gianni Santomaso
«C’è chi è venuto e si è fermato a lungo a vedere, a parlare e a raccontare; chi è venuto un giorno ed è ritornato un altro; chi è venuto un giorno, è tornato a casa verso sera, si è seduto sul divano per guardare la televisione e poi ha detto: “Eh no, torno dentro alla calchera”».
Per Paolo Sibillon, coordinatore del gruppo formato da una cinquantina di persone che ha voluto ravvivare la tradizione della produzione della calce a Taibon, il senso di quello che è stato fatto in Valle di San Lucano da venerdì della scorsa settimana a mercoledì di questa, è racchiuso in semplici, ma significativi aneddoti. L’accensione della calchera dei Marin, settantasette anni dopo l’ultima volta, ha destato infatti una forte curiosità. Accesa venerdì mattina, si è spenta alle 4.25 di mercoledì mattina quando il combustibile era terminato. Ora si passerà alla fase finale.
«Il ciclo di 72 ore dal momento del raggiungimento della temperatura di 800 gradi», spiega Sibillon, «ormai era stato completato. Tutto è andato molto bene, adesso ci manca solo un’operazione: il recupero della calce. Dobbiamo però attendere che la fornace si raffreddi. Una parte, poi, rimarrà lì alla calchera e verrà data ai restauratori che ne hanno fatto domanda; il resto sarà depositato presso l’ex ecocentro di Taibon a disposizione di chi vorrà prenderla».
Il risultato della “còta” in Valle di San Lucano va però ben al di là del prodotto fisico. In primis c’è il tema della trasmissione di un sapere ancestrale che altrimenti rischia di perdersi, subito dietro c’è quello della socialità.
«Per noi è stato motivo di grande soddisfazione e orgoglio», dice Sibillon, «vedere i lavori svolti dalle nostre scuole in occasione di questo evento: la mostra di disegni, il plastico della calchera, i filmati. Chissà che alcuni di questi alunni fra qualche anno non decidano di cimentarsi in un’altra “còta”».
L’interesse nei confronti della tecnica di produzione della calce è però stato intergenerazionale. «Sono arrivate persone di tutte le età», dice Sibillon, «e tante, tutti i giorni. Molti sono ritornati. Io credo che la riproposizione di un’attività storica che mancava in paese da così tanti anni abbia colpito molto e abbia generato il desiderio di capirne di più circa una pratica che ha caratterizzato la vita dei nostri antenati: l’impegno che ci mettevano, la pianificazione dell’attività, il coordinamento fra più famiglie».
Coordinamento che è stato necessario anche fra tutti coloro che hanno contribuito al risultato finale della “còta” 2023.
«Abbiamo fatto turni da sei ore coperti da tre persone», dice Sibillon, «in tutto sono state coinvolte circa cinquanta persone. La comunità di Taibon ha dimostrato un’altra volta il peso che al suo interno ha il mondo del volontariato, ma è stato bello poter contare anche sull’apporto di amici di Agordo. Pronti per la prossima “cota”? Devo dire che dal gruppo non è arrivato un no, quindi, magari, fra due-tre anni se ne può riparlare».
I commenti dei lettori