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Fondo Vajont, è corsa contro il tempo per evitare il trasferimento all’Aquila

A fine anno scade la proroga e la legge è chiara. Il sindaco Padrin: «Auspichiamo che restino a Belluno per sempre»

Irene Aliprandi
2 minuti di lettura
Gli atti del processo Vajont esposti ad una mostra organizzata dall’Archivio di Stato di Belluno 

Entro fine anno gli atti del processo Vajont dovranno tornare all’Aquila. Trasferiti all’Archivio di Stato di Belluno dopo il terremoto che devastò l’archivio del capoluogo abruzzese nel 2010, i faldoni sono rimasti in città per tutti questi anni in virtù di una serie di proroghe ottenute nell’ambito di un corposo lavoro di restauro, digitalizzazione e valorizzazione culminato, pochi giorni fa, con l’iscrizione al registro Unesco “Memoria del mondo”.

Ora però non ci sono più molti spazi di manovra e il rischio è che gli atti debbano tornare nella sede che la legge individua per la loro conservazione, cioè il capoluogo dove si è concluso l’iter giudiziario. Nel tempo si sono susseguiti gli appelli per far sì che i documenti possano restare a Belluno e l’ultimo, in ordine di tempo, è quello del senatore leghista friulano Marco Dreosto che ha chiesto un colloquio urgente con il presidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa, anche per ottenere che agli atti vengano aggiunti quelli della commissione d’inchiesta Rubinacci.

«Gli atti processuali del Vajont», ricorda il sindaco di Longarone, Roberto Padrin, «contano oltre 250 faldoni, che in questi anni sono stati digitalizzati con un finanziamento della Fondazione Vajont e di altri enti, con l’obiettivo di metterli in rete a disposizione di tutti. Inoltre una parte del materiale risultava danneggiato ed è stato fatto restaurare. Questa complessiva operazione di valorizzazione, che ha portato anche al riconoscimento Unesco, ha comportato un impegno economico non indifferente. La norma però impone che i fondi processuali rimangano nella città dove si è celebrato il processo».

A scadenze regolari l’Archivio di Stato dell’Aquila ha chiesto la restituzione degli atti e finora le proroghe sono state ottenute senza problemi, ma la nuova scadenza di fine anno preoccupa. «Cambiare la legge è impensabile», aggiunge Padrin, «servirebbe un decreto del ministero della Cultura. Noi siamo convinti che Belluno sia la giusta sede per la loro conservazione per due motivi: per il percorso fatto in questi anni e perché l’evento si è verificato in provincia di Belluno. Siamo di fronte a un’operazione delicata: dobbiamo rispettare la legge ma anche auspicare che gli atti restino qui. Per riuscirci serve un’azione politica per un percorso a livello governativo e sarebbe bellissimo ottenere il risultato entro il 9 ottobre».

Il presidente dell’associazione “Vajont futuro della memoria”, Renato Migotti, è sulla stessa linea: «Sarebbe assolutamente importante poter conservare a Belluno gli originali degli atti processuali, anche per il riconoscimento Unesco che ne sancisce il valore universale e inequivocabile. Purtroppo la legge dice il contrario e io ritengo che sia difficile contravvenire a tale disposizione». La ricerca di alternative è fittissima in questo periodo. «Considerata la scadenza ormai vicina, si potrebbe chiedere una proroga di due anni», prosegue Migotti, «per prendere tempo in cerca di soluzioni o della possibilità di ottenere proroghe più lunghe, di 5 o 10 anni sempre con l’obiettivo di trovare la strada per tenerli qui per sempre. Ci scontriamo con una legge che è generale ma questa è una situazione particolare. I nostri politici a Roma e i nostri amministratori locali devono darsi da fare per trovare una deroga alla legge in virtù della specificità del Vajont. Le copie digitali non sono equiparabili all’originale nella comprensione del testo».

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