Nonnismo alla “Salsa” sul caporal maggiore: tre condanne definitive
Gli alpini Caredda, Garritano e Siniscalco si sono visti rigettare i ricorsi contro gli otto mesi e dieci giorni più il risarcimento danni
G.s.
La caserma Salsa a Belluno
Nonnismo alla caserma Salsa: condanna definitiva per tre alpini. Otto mesi e dieci giorni Otto mesi e 10 giorni al sergente Francesco Caredda, al caporal maggiore capo Salvatore Garritano e al caporal maggiore Fabio Siniscalco del 7º Reggimento alpini, per violenza contro un inferiore, previsto dal Codice Penale militare in tempo di pace, che ha assorbito quello di lesioni. Assoluzione, invece, per la minaccia o l’ingiuria a un inferiore, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, più 2 mila euro di risarcimento al caporal maggiore Salvatore Di Rubbo. Sospensione condizionale.
La Corte d’Appello di Venezia aveva confermato la sentenza di primo grado e la Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati, condannandoli anche al pagamento delle spese processuali e di rappresentanza per un totale di 5.100 euro. Non si può andare oltre la suprema corte. Il difensore aveva articolato il ricorso in quattro motivi: reati militari, commessi in ambiente militare e, quindi, difetto di giurisdizione; un errore su una data di uno degli episodi incriminati, nella quale imputati e parte offesa erano in luoghi diversi; mancata audizione del tenente colonnello Mauro Da Corte, che avrebbe potuto scagionare tutti e tre, dicendo che avevano svolto delle attività diverse e non nello stesso luogo e il fatto che il capitano Karim Akalay Bensellam non sarebbe attendibile, perché ostile agli imputati, avendo utilizzato il suo computer per redigere o far redigere a Di Rubbo la relazione.
La Cassazione ha dichiarato infondati i ricorsi. La violenza privata è stata giustamente ritenuta di competenza del giudice ordinario; sulla data gli imputati hanno approfittato del cattivo ricordo della persona offesa e dei testimoni, cercando di confondere le evidenze e, comunque, non sono state ostacolate le strategie difensive; la testimonianza di Da Corte sarebbe stata irrilevante e non è stata allegata la deposizione di Bensellam.
Caredda, Garritano e Sinscalco erano accusati in concorso di violenza privata e lesioni. Il 5 maggio 2015, dopo aver portato via dalla camera di Di Rubbo il televisore, Garritano ha bloccato l’uscita, allargando le braccia. Siniscalco ha colpito il sottoposto con gomitate al volto e l’ha trattenuto, in maniera che non si avvicinasse all’auto dello stesso Garritano, nella quale Caredda aveva caricato l’elettrodomestico. Ancora Caredda ha stretto alla testa Di Rubbo, cercando di farlo cadere e trascinandolo lontano. Così gli hanno causato ecchimosi al volto.
E poi c’erano i reati militari di violenza e minaccia o ingiuria. In un’esercitazione, hanno insultato il collega, oltre a lanciargli addosso spazzatura. In un’attività, Caredda l’ha più volte colpito con un chiodo alla spalla, mentre Siniscalco e Garritano lo trattenevano.
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