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A Belluno in calo le commesse: 30 aziende si affidano alla cassa integrazione

Dalla refrigerazione alla manifattura, imprese in difficoltà Bona (Fiom): «Alcune linee procedono col contagocce»

Francesco Dal Mas
2 minuti di lettura

Anche la refrigerazione, la manifattura più performante in provincia, sta registrando un progressivo rallentamento. Con le ditte del settore che continuano a ricorrere alla cassa integrazione. L’ultima ad approdarne è la Eliwell, 200 collaboratori in Alpago, che dal 1980 sviluppa e produce sistemi di controllo, soluzioni e servizi per unità di refrigerazione sia commerciale che industriale. Nessuna crisi, si badi, ma un calo di commesse che la recessione in Germania sta aggravando di settimana in settimana.

Ed ecco che analoghi ricorsi stanno impegnando altre realtà del settore. Poi ci sono le aziende dalla cigo (la cassa integrazione ordinaria) ormai storica. La Sest di Mel e di Limana, ad esempio. A Mel i lavoratori si fermano a casa due giorni alla settimana più una decina di loro fanno cassa settimanale a rotazione. Nello stabilimento di Limana, per il momento ci si limita ai due giorni.

La Orange 1 Holding di Arsiè si è trovata nelle condizioni di dover lasciare in ferie i lavoratori per tutto il mese di agosto. Fabbrica motori elettrici. La carenza di commesse ha imposto due giorni di cassa in questo mese di settembre.

Prima delle ferie Confindustria Belluno confermava che erano 24 le industrie proiettate verso la necessità dell’integrazione dell’orario perché con ordini scarsi. Adesso saranno una trentina. «Pare nulla di grave», ammette Stefano Bona, della Fiom Cgil. «Stiamo facendo numerose assemblee di fabbrica e i titolari dell’azienda rassicurano che i cali sono in qualche misura compatibili, ma in talune situazioni i nostri lavoratori ci dicono che le linee di montaggio procedono col contagocce».

L’edilizia, frenata dalle difficoltà del Superbonus, ha peraltro effetti negativi sulle industrie dell’indotto. Grossi nomi come quelli di Hydro e Pandolfo sono stati costretti a contrarre la produzione di alluminio, fino al punto di ricorrere anch’essi alla cigo. E poi la Olius, l’Hpo, il Gruppo Videndum, la Meccanostampi, altre industrie più piccole. La Epta Costan per il momento non ha la necessità di praticarla, ma nella seconda parte dell’autunno, in presenza dell’eventuale calo di mercato, potrebbe non rinunciarvi. E la Clivet? No, la performante industria di Feltre, pur in presenza di un progressivo ridimensionamento delle commesse di prodotti domestici, non ha necessità di integrazioni.

Sempre per lo stop al Superbonus, alla Cisl si osserva che le imprese artigiane cominciano a chiedere la cassa: «Per la verità», mette le mani avanti la presidente di Confartigianato Claudia Scarzanella, «non abbiamo ancora sentore di questa problematica, perché, se è vero che l’edilizia residenziale segna per alcuni aspetti il passo, le imprese sono fortemente impegnate nelle opere direttamente o indirettamente attinenti le Olimpiadi, tanto che continua a porsi il tema della carenza di personale».

Oggi, intanto, si terrà in Regione un vertice decisivo sulla Safilo con i vertici di questa industria, Thèlios, Innovateck e i sindacati, per chiarire gli ultimi passaggi della cessione.

In questi giorni i sindacalisti Cgil stanno organizzando assemblee di fabbrica in vista della protesta del 7 ottobre, primo obiettivo l’aumento dei salari. Oggi all’Epta e alla Sest, alla Edim Bosch, alla Clivet, martedì alla Forgialluminio. «Il salario dovrebbe quanto meno recuperare la perdita dell’inflazione, quindi una percentuale non inferiore al 10-12 per cento», anticipa Bona. «I metalmeccanici hanno ricevuto in giugno in incremento del 6,5, ma gli altri nulla».

Recenti dati pubblicati sostengono che le retribuzioni dei lavoratori bellunesi sono i più alti della media regionale. Ma Bona non è d’accordo. E rilancia. «Con il contratto nazionale vigente che andrà al rinnovo il prossimo anno, i metalmeccanici, se l'inflazione manterrà l’attuale andamento, avranno avuto 300 euro di aumento sui minimi tabellari, del tutto insufficienti a recuperare il loro potere di acquisto eroso dall’inflazione. Quindi, a partire da un salario minimo garantito per tutti i lavoratori, il rinnovo dei contratti nazionali di categoria e quelli aziendali deve rivendicare salari in aumento ben oltre quello ottenuto da quelli scaduti o in scadenza».

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