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Riscaldamento globale: il permafrost si scioglie e libera gas serra

Secondo uno studio del Cnr pubblicato su Nature Communications, il terreno ghiacciato nelle zone artiche potrebbe scaricare in atmosfera carbonio in quantità pari a quasi due secoli di emissioni, sotto forma di CO2 e metano, principali responsabili del “global warming”

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ROMA - I climatologi lo chiamano “il gigante dormiente”, è sepolto pochi centimetri sotto il suolo delle regioni artiche ed è pronto a “risvegliarsi”. È il permafrost, lo strato di terreno ghiacciato che si sta per sciogliere a causa del riscaldamento globale. Il carbonio contenuto al suo interno potrebbe, nei prossimi decenni, riversarsi in atmosfera sotto forma di composti come anidride carbonica e metano: i gas serra più impattanti. E, come in un circolo vizioso, accentuare ancora di più gli effetti del global warming.
  Questo scenario è tutt'altro che remoto ed è simile a ciò che è accaduto migliaia di anni fa, alla fine dell'ultimo periodo glaciale. Quando il clima cambiò alla fine della glaciazione cosiddetta di Würm, si ebbe infatti un picco di gas serra che contribuì ad aumentare la temperatura di quattro gradi centigradi. Lo studio di un team internazionale di ricercatori guidati dall'Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna, e pubblicato su Nature Communications, ha analizzato, grazie ai carotaggi, il suolo di quelle epoche depositato alla foce del fiume siberiano Lena, nel mar Glaciale artico.
 Nel 2014, a bordo della nave Oden, gli scienziati hanno raccolto campioni di terreno sedimentato al largo della Siberia. La presenza di carbonio nelle bolle intrappolate nel suolo marino ha confermato che il picco di CO2 e di metano, tra 14.000 e 7.000 anni fa, fu la conseguenza dello scioglimento del permafrost: “Si tratta del carbonio solido presente nelle biomasse del suolo, materiale organico dalle antiche foreste, vegetazione e animali, sedimentato nel corso della storia – spiega Tommaso Tesi, ricercatore dell' Ismar-Cnr di Bologna e primo autore dello studio – che da materiale inerte, congelato, torna disponibile per i batteri . Questi ultimi, “mangiando”, lo trasformano in anidride carbonica e metano. Migliaia di anni fa questo processo fece aumentare la temperatura del pianeta molto rapidamente”. E sta per accadere di nuovo.
 
All'epoca la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera passò da 190 a 270 ppm (parti per milione), e innescò l'aumento di temperatura. Ora siamo a oltre 400 ppm come media planetaria e il processo descritto dagli studiosi non può che aggravare la situazione.
 
Una nuova sirena d'allarme. “Questo studio evidenzia l'importanza di apprendere da quello che è successo nel passato del pianeta per affrontare il futuro” sottolinea Tesi. Il permafrost attuale (presente soprattutto nelle zone artiche tra Siberia e Canada) contiene più del doppio della concentrazione di carbonio che era presente in atmosfera prima della Rivoluzione industriale: “Parliamo di una quantità enorme – conclude il ricercatore Cnr – pari a 1400-1700 miliardi di tonnellate di carbonio, che potrebbero riversarsi in atmosfera nel corso dei prossimi due secoli sotto forma di CO2 o metano”.

Ogni anno le emissioni dell'uomo ammontano a circa 8,9 miliardi di tonnellate di carbonio (fonte Ipcc). Calcolatrice alla mano, la riserva del permafrost rappresenta da 160 a 190 anni di emissioni. Una quantità che potrebbe vanificare qualsiasi sforzo per ridurre l'inquinamento da parte dei paesi più industrializzati.