Ripartono le trivelle nell'Artico. All'Eni la prima autorizzazione
di ELENA DUSI
Quattro pozzi a scopo esclusivamente esplorativo verranno aperti nel mare di Beaufort. I lavori inizieranno a dicembre. Il presidente Trump aveva sempre annunciato di voler capovolgere la politica del suo predecessore Obama. Ma un'associazione ambientalista ha già denunciato l'azienda italiana
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L'isola artificiale Spy Island da cui l'Eni condurrà l'esplorazione
Il presidente americano Donald Trump l’aveva promesso: le esplorazioni petrolifere nell’Artico sarebbero riprese. Oggi il suo primo permesso è andato all’Eni. La filiale americana dell’azienda (l’Eni Us Operating Co. Inc.) ha ottenuto il via libera dal Boem (Bureau of Ocean Energy Management) per la trivellazione di quattro pozzi in Alaska, nel mare di Beaufort, ma solo a scopo di esplorazione. I lavori dovrebbero iniziare a dicembre di quest’anno, per andare avanti fino al 2019, esclusivamente in inverno quando in zona ci sono meno balene e orsi polari.
Poco prima di lasciare la Casa Bianca, l’anno scorso, il presidente Barack Obama aveva vietato l’estrazione di idrocarburi in buona parte dell’Artico, ma non nelle concessioni dell’Eni, che nella zona ha già il pozzo Nikaitchuq attivo dal 2011. Fra le sue prime iniziative, già ad aprile, Trump si era invece mosso per dare nuovo impulso alle trivellazioni artiche, subito denunciato da varie organizzazione ambientaliste e di nativi. L’Eni, nel frattempo, a marzo aveva presentato la sua richiesta di trivellare nel mare di Beaufort.
Cercare idrocarburi a latitudini così estreme è molto impegnativo. Il Polo Nord è una zona delicata dal punto di vista ambientale, lavorare d'inverno vuol dire affrontare la lunga notta artica e rimediare a eventuali incidenti o perdite di greggio sarebbe arduo. Ne sa qualcosa la Royal Dutch Shell, che nel 2015 si è ritirata dalla zona dopo disavventure di ogni tipo, inclusa una falla in una nave e i risultati deludenti delle prime prospezioni. Spy Island d'estate
L’Eni lavorerà molto vicino alla costa, usando l’isola artificiale Spy Island costruita nel 2008 per sfruttare Nikaitchuq. Ma la concessione dei permessi da parte di Washington ha già riacceso la battaglia dell’Artico. L’organizzazione no profit americana Center for Biological Diversity ha già fatto ricorso al tribunale. “Una perdita di greggio lì farebbe danni incredibili e sarebbe impossibile da ripulire” ha scritto in un comunicato l’avvocato dell’associazione, Kristen Monsell, denunciando il fatto che le concessioni dell'azienda italiana - mai sfruttate per dieci anni - sarebbero scadute a fine 2017. E che le autorità di Washington avrebbero impiegato solo 30 giorni a valutare la richiesta dell'Eni. "Approvare il piano all'11esima ora rende un progetto pericoloso ancora più pericoloso" ha scritto Monsell.
L'Eni, da parte sua, conta sull'esperienza su una piattaforma off-shore in Norvegia (Goliat) a una latitudine altrettanto estrema (oltre 70° nord). Spy Island è un'isola artificiale di meno di mezzo chilometro quadro, molto vicina alla costa (le trivellazioni stesse non dovrebbero superare i dieci chilometri di distanza dalla riva), dove l'acqua è profonda un paio di metri, ed è unita alla terraferma da un oleodotto già in funzione da anni. Questo dovrebbe limitare le difficoltà logistiche. Ma più di tutto ad aiutare il cane a sei zampe, contribuirà probabilmente il rapporto d'amicizia con la nuova amministrazione Usa. "Sappiamo che ci sono vaste riserve di petrolio e gas sotto al mare di Beaufort" ha commentato il direttore di Boem, Walter Cruickshank. "E non vediamo l'ora di lavorare insieme a Eni per sfruttare questo potenziale di energia".