
Cnr: "L'Artico si riscalda più del resto del Pianeta"

La base del Cnr, Dirigibile Italia, alle isole Svalbard, è l'avamposto dei climatologi italiani oltre il Circolo polare artico, a 1.000 chilometri dal Polo Nord. Qui, nel Kongsfjorden, i ricercatori da sette anni misurano il riscaldamento dell'oceano artico e la stagionalità del ghiaccio marino. Il trend è quanto meno preoccupante: “Dai risultati è molto chiara la progressiva ‘atlantificazione’ del fiordo con un incremento della temperatura dell'acqua intermedia di 4.3 °C ogni dieci anni – spiega Leonardo Langone dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr)”. Sul fondo, il tasso di aumento della temperatura è minore ma sempre rilevante (1.6 °C/decade).
L'aumento della temperatura dell'aria, misurata dalla Amundsen-Nobile climate change tower è invece di 3 gradi centigradi ogni decade. Tutti segnali che il riscaldamento, qui, è molto più rapido che nel resto della Terra, con effetti a lungo termine anche sulle specie che abitano l'ecosistema marino: “Nei fiordi entra più acqua atlantica, con ripercussioni sulla diminuzione del ghiaccio marino (in alcuni anni, addirittura, i fiordi durante l’inverno non si ghiacciano più), sul tipo di alghe e, quindi, sulla catena trofica e, più in generale, sull’intero ecosistema dei fiordi”, prosegue Langone. “Tutte le stagioni registrano un cambiamento ma è l'inverno che sta registrando il riscaldamento più rapido”. ·EFFETTO A CATENA
Non è solo lo scioglimento il problema, ma quello che accade dopo. I ghiacci dei poli terrestri sono come degli scudi o degli specchi, essendo bianchi riflettono verso lo spazio la maggior parte delle radiazioni solari, quindi anche il calore. A causa dell'innalzamento delle temperature provocato dalle attività umane si sciolgono e lasciano posto alla superficie dell'oceano o del suolo, molto più scure. Queste ultime assorbono dunque più calore, contribuendo ad innalzare ulteriormente la temperatura che scioglie ancora di più i ghiacci. Un circolo vizioso difficile da contrastare senza un intervento rapido ed efficace sulle emissioni di gas serra. Ancora più difficile se per esempio colossi dell'inquinamento, come gli Usa, allentano gli standard per i gas di scarico delle auto.
·L'INQUINAMENTO ARRIVA DA LONTANO
Con un pallone aerostatico gli esperti del Cnr hanno inoltre misurato la presenza di inquinanti nell'atmosfera anche degli strati più alti, scoprendo che alcuni tipi di particolato hanno viaggiato migliaia di chilometri, da zone del pianeta molto più inquinate, ma i cui effetti, ancora una volta, si fanno sentire anche ai poli. “Abbiamo riscontrato che alcuni tipi di particelle calano salendo di quota mentre per altre particelle da combustione la concentrazione aumenta con l'aumentare della quota - osserva Mauro Mazzola, del Cnr-Isac - potrebbe essere un segno che non sono prodotte qui, localmente, ma arrivano da latitudini più basse, quindi da zone più antropizzate e trasportate qui dalle correnti d'aria”.
·PERMAFROST, IL GIGANTE DORMIENTE
Tra i climatologi viene chiamato così: “il gigante dormiente”, il permafrost è quello strato di terreno ghiacciato tipico della Siberia, composto da biomasse vegetali, resti di antiche foreste. Custodisce al suo interno enormi quantità di gas serra come metano e anidride carbonica. Congelati come in una capsula del tempo, che però ora si sta aprendo proprio a causa dell'aumento delle temperature. Uno studio condotto dal Cnr assieme all’Università di Stoccolma, pubblicato su Nature Communication, stima che alla fine del 2100, il rilascio dei gas serra da parte del permafrost potrebbe raggiungere un quarto di tutte le emissioni legate all’uso dei combustibili fossili: “Un 25% in più 'gratuito' – sottolineano i ricercatori – senza soddisfare un vero fabbisogno energetico”. Un surplus non ancora conteggiato però nelle stime per il taglio alle emissioni che potrebbero dunque essere insufficienti. Una bomba a orologeria pronto a scoppiare, una crepa sempre più profonda nel vaso di Pandora del clima terrestre? Ancora si tratta di stime che non hanno il crisma della certezza, le ricerche devono continuare: “Le grandi incertezze intrinseche sono legate ai limiti della nostra conoscenza del sistema artico - spiega Tommaso Tesi dell’Ismar-Cnr - proprio per questo i modelli previsionali dell’ultimo report IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ndr) non lo hanno ancora incluso tra i vari feedback climatici”.