
Un "così alto grado di mortalità", spiega il capo del progetto, Åshild Ønvik Pedersen non può che essere dovuto agli esiti del global warming, due volte più rapido nell'Artico rispetto al resto del pianeta. "Il cambiamento climatico causa piogge molto più frequenti. L'acqua caduta in abbondanza forma poi uno strato di ghiaccio sulla tundra che provoca la carenza di cibo", chiarisce Pedersen.
Così i licheni, principale fonte di alimentazione per le renne che lo scoprono grattando il ghiaccio con gli zoccoli, diventa irragiungibile. Ad aggravare la situazione è l'alternanza tra gelo e disgelo, che può causare la formazione di diversi strati di ghiaccio fino a formare una barriera impenetrabile.
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Una morìa del genere non era mai stata registrata negli ultimi 40 anni, da quando cioè si è cominciato il censimento sistematico della popolazione di renne. Ma di pari passo al riscaldamento globale si è assistito anche un aumento della popolazione: le renne delle Svalbard, raddoppiate dagli anni '80 a oggi fino a raggiungere i 22mila capi, si trovano a dover competere per la sopravvivenza affrontando la fame.