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"Plastica nemica? Nel platino il segreto per riusarla"

Massimiliano Delferro, chimico italiano, studia le nuove tecniche di trasformazione dei materiali plastici negli Argonne National Laboratories di Chicago. "Grande invenzione, ora studiamo come scomporla"

3 minuti di lettura
Il chimico Massimiliano Delferro in laboratorio (Image courtesy of Argonne National Laboratory/Mark L. Lopez)
Il chimico Massimiliano Delferro in laboratorio (Image courtesy of Argonne National Laboratory/Mark L. Lopez) 
Ogni sei mesi un pacco in arrivo da Parma viene recapitato in un appartamento di Downtown Chicago. Quella confezione racchiude due delle passioni di Massimiliano Delferro: un tocco di parmigiano reggiano, conservato sotto vuoto in un film di polietilene. "Mia madre", spiega il chimico italiano che da dieci anni vive in Illinois, "mi spedisce il parmigiano due volte l'anno. E se arriva qui con lo stesso gusto di quando è partito dalla mia città è merito di quel film di plastica che lo avvolge". Perché Delferro, come molti chimici, è un entusiasta della plastica. "Molti la demonizzano, ma è un materiale straordinario, che ha cambiato in meglio le nostre vite, dagli apparati biomedicali al packaging alimentare". Eppure il ricercatore, laureato a Parma nel 2005 e ora leader di un gruppo di scienziati agli Argonne National Laboratories di Chicago (il cui primo direttore è stato Enrico Fermi), oggi ha un obiettivo: riuscire a scomporre i polimeri (come il polietilene con cui la mamma impacchetta il parmigiano) per farne qualcosa di utile. Ed è sulla buona strada: pochi giorni fa ha firmato, insieme a ricercatori di altri laboratori e università americane, uno studio che può rivoluzionare il recupero e il riciclo delle polioefine: polietilene, polistirolo, polipropilene, insomma alcune delle plastiche più diffuse. La notizia ha fatto il giro del mondo con un titolo accattivante: come estrarre un tesoro dalla spazzatura. 

IL QUIZ  Plastica, quanto ne sai?

Appunto Delferro, come avete fatto a trasformare la plastica in un tesoro?
"Abbiamo trovato un sistema per rompere in modo controllato e selettivo le lunghe catene che compongono questi polimeri, così da avere prodotti che posso essere usati come lubrificanti per motori, e cere che possono essere successivamente trasformate in detersivi o cosmetici. Dipende da quello che serve al mercato in quel momento".
(Image courtesy of Argonne National Laboratory/Mark L. Lopez)
(Image courtesy of Argonne National Laboratory/Mark L. Lopez) 

Qual è la differenza con altri sistemi, la pirolisi per esempio, che ricavano carburanti dalle plastiche?
"Con la pirolisi si arriva a temperature molto alte, 500 gradi centigradi, mentre noi ci teniamo al di sotto dei 300. Ma soprattutto la pirolisi produce una rottura casuale dei legami carbonio-carbonio. Il risultato è la produzione di un insieme di  sottoprodotti che possono essere utilizati come gasolio, cherosene o altro. E che comunque, una volta reimmessi nel ciclo produttivo, finiscono per contribuire alla crescita dei gas serra. Noi abbiamo cercato di creare un processo che fosse davvero di economia circolare".

L'olio per motori non è che sia poco inquinante…
"I lubrificanti non bruciano e producono CO2 quando si utilizzano. E oggi esistono tecniche per rettificarli e riutilizzarli numerose volte".
(Image courtesy of Argonne National Laboratory/Mark L. Lopez)
(Image courtesy of Argonne National Laboratory/Mark L. Lopez) 

Qual è il processo che avete ideato?
"Abbiamo cercato un materiale, un catalizzatore, che facilitasse la rottura controllata dei legami chimici tra atomi di carbonio, in modo da poter scegliere noi la lunghezza della catena finale. L’abbiamo trovato nel platino, che indebolisce il legame e permette a un atomo di idrogeno di infilarsi tra due di carbonio".

Ma è una reazione conveniente dal punto di vista economico ed energetico?
"Al momento no, perché il platino è un metallo prezioso ed estremamente raro. Ma questo è il primo passo. I prossimi consisteranno nel trovare alternative più economiche, per esempio nel nichel. E nel capire come quello che ha funzionato in laboratorio, su pochi grammi di plastica, possa essere replicato su scala industriale".

Da chimico, come vive l’emergenza plastica?
"Ripeto, la plastica, anzi le plastiche sono state una grandissima invenzione. Per 70 anni si è studiato come sintetizzarne di nuove, con caratteristiche sempre diverse per far fronte alle nuove esigenze delle aziende e dei consumatori. Ora, solo da pochi anni, ci stiamo il problema opposto: come scomporle in modo da riutilizzarle e salvare l’ambiente. E' ancora presto per pensare di avere la soluzione definitiva".

Ma la troverete?
"Non ce ne sarà una sola. Immagino uno spettro di soluzioni che trasformeranno il recupero della plastica in una opportunità, anche economica. A cominciare dalla nostra proposta: un giorno quando si cambierà l’olio della macchina, il 50% potrebbe essere stato estratto dalla plastica usate per confezionare alimenti".

Da lei a Chicago sono le 7,30 del mattino. Ha appena bevuto un espresso e si appresta a viaggiare in macchina per 30 chilometri fino agli Argonne National Laboratories. Uscendo di casa dove butterà la plastica che avvolgeva la cialda del caffè?
"Qui abbiamo un unico bidone in cuoi gettare tutti i materiali riciclabili: carta, vetro, alluminio e plastica. Così la separazione diventa molto difficile e costosa. Ma per gli Stati Uniti è un problema recente: prima della guerra dei dazi, la plastica americana veniva spedita in Cina. Ora non è più possibile e gli Usa devono trovare una soluzione. Non è un caso se il nostro progetto è finanziato dal Dipartimento dell’Energia".