Le fotografie sarebbero sufficienti a far comprendere le difficoltà incontrate dai membri della spedizione Mosaic al Polo Nord. Tuttavia la testimonianza di Giulia Castellani, ricercatrice italiana dell’Alfred Wegener Institute in Germania, studiosa del ghiaccio marino e dell’ecosistema artico, che ha preso parte alla spedizione, riesce a trasmettere in maniera molto forte il senso di fatica e la dedizione degli scienziati in un contesto ambientale estremo. Attualmente Giulia Castellani è a capo del progetto “EcoLight” nell’ambito del quale si studiano le diverse strutture del ghiaccio, e della neve sopra depositata, per capire come influenzano la trasmissione della luce attraverso il ghiaccio e come infine i livelli di luce sotto il ghiaccio condizionano la crescita delle alghe e del phytoplankton e, di conseguenza, il movimento dello zooplankton alla superficie, nel contesto dei cambiamenti climatici.
Mosaic: la più grande spedizione polare
La recente spedizione Mosaic, documentata in ogni fase dalla fotografa Esther Horvath, membro della International League of Conservation e in servizio presso l’Istituto Alfred Wegener per la ricerca marina e polare con sede a Bremerhaven in Germania. Un ricco volume fotografico, edito da Prestel Publishng con il titolo Into the Arctic Ice The Largest Polar Expedition of All Time, ripercorre l’intera missione durata un anno, che ha visto partecipare 600 ricercatori provenienti da 19 nazioni. Obiettivo: avere un quadro il più possibile preciso delle condizioni attuali dell’atmosfera, del terreno e dell’oceano artico al Polo Nord. Leggi l'articolo
(foto: Esther Horvath/Into the Arctic Ice The Largest Polar Expedition of All Time)
Come avete affrontato le temperature proibitive fino a 40 gradi sotto zero e gli altri problemi ambientali e logistici per poter svolgere le vostre ricerche?
"Il freddo è stato sicuramente la sfida più ardua per il lavoro sul campo, più del buio costante dell’inverno Artico. A temperature così basse, tutto congela istantaneamente, incluso il nostro fiato, che forma una maschera di ghiaccio sui nostri volti. Qualunque attrezzatura utilizzata in acqua, quindi a temperatura di -1.8°C, congela non appena viene estratta ed entra in contatto con le temperature atmosferiche al di sotto dei -30°C. Questo vale ad esempio per le reti utilizzate per pescare lo zooplankton, gli organismi che raggiungono la grandezza di un gamberetto. Ciò ha reso il lavoro molto difficile: tutto deve accadere in fretta per non far congelare il pescato, ogni azione e movimento risulta però più lento e difficile del normale a causa del freddo. Abbiamo montato una tenda, riscaldata all’interno, vicino al buco nel ghiaccio usato per pescare, in modo tale da portare il pescato di zooplankton al riparo ed evitare che congelasse, prima di poterlo riporre nei contenitori adatti e trasportarlo nei laboratori".

A livello soggettivo che percezione ha avuto di questa esperienza?
"Dover trascorrere un’intera giornata all’aperto è stata per me la sfida più grande. Certo con l’attrezzatura adeguata e il giusto numero di scaldini negli stivali e nei guanti si riesce a combattere il freddo, ma non è facile muoversi con tutti quei vestiti addosso. Io indossavo uno strato di merino, un altro strato termico, una maglia di lana, un tuta isolante termica e infine il tutone rosso FXR. Passamontagna e cappello con pelo, guanti in merino e sopra guantoni da sci. Non conto le paia di calze. In condizioni davvero estreme con temperature percepite a causa del wind chill, di -50°C, indossavo un parka sopra a tutto. Quando facevamo i carotaggi dovevamo fare lavori di precisione con le mani, come scrivere, piuttosto che avvitare viti, per cui non potevamo indossare i guantoni. Per certe analisi del ghiaccio, bisognava indossare dei guanti di latex, i quali non possono essere indossati sopra i guantoni da sci. Il freddo estremo causa anche altri problemi ovviamente: é piú facile che le motoslitte non funzionino adeguatamente, le gru della nave anche, e se non si beve il vin brulè in due minuti si tramuta in un sorbetto. Questo per dire che anche mangiare o bere diventa una sfida. L’unico sostentamento durante la giornata è il caffelatte mantenuto caldo nei termos, qualche pezzetto di cioccolato e una manciata di noci, tutto il resto congela".

Qual è stato il suo ruolo nella spedizione?
"Sia durante la leg 2 in inverno che durante la leg 4 in estate, ho fatto parte del team sull’ecosistema. Mi sono occupata dei carotaggi sul ghiaccio per studiare i microorganismi che vivono nel ghiaccio come batteri e alghe. Inoltre, ero responsabile per le reti da pesca per lo zooplankton. Lo zooplankton é quell’insieme di organismi che si ciba delle alghe presenti nell’acqua e nel ghiaccio. Comprende organismi di diverse grandezze che vivono a profondità differenti, quindi abbiamo utilizzato reti a maglia di misura diversa a seconda della grandezza degli organismi che volevamo pescare e anche a seconda della profondità. A parte la logistica di rilascio delle reti in acqua, gran parte del lavoro con lo zooplankton ha luogo nei laboratori a bordo della nave. Da ultimo mi sono occupata della pesca dei pesci con palamito, per cui due volte a settimana mi recavo sul ghiaccio, facevo un buco e rilasciavo il palamito per poi ritirarlo il giorno dopo. Durante l’estate, invece, ho lavorato sulle misurazioni dello spettro di luce sotto il ghiaccio per capire come lo spessore e la struttura di ghiaccio e neve influenzano la trasmissione di luce".

L’analisi del ghiaccio dell’Artico può essere utile per monitorare l’andamento del cambiamento climatico?
"Certamente. L’Artico è la regione che sta rispondendo più rapidamente ai cambiamenti climatici, quindi è di cruciale importanza studiare la regione Artica per decifrare i cambiamenti e predire quello che può accadere in altre regioni in un futuro comunque vicino. L’equilibrio climatico del nostro Pianeta si basa sulla differenza di temperatura tra i poli e l’equatore, quindi un cambiamento drastico nell’Artico, come quello che stiamo osservando, porterà conseguenze sul clima e anche sulle condizioni metereologiche dell’intero Pianeta, inclusa l’Europa. Inoltre, capire come l’ecosistema marino polare si adatta ai cambiamenti in corso, in particolare all’aumento di temperatura non solo atmosferica ma anche oceanica, e all’aumento nelle concentrazioni di anidride carbonica, può essere utile per prevedere cambiamenti negli ecosistemi di altre regioni. Infine, molte popolazioni vivono nell’Artico e basano il loro sostentamento sulla pesca e in generale sull’ecosistema, dunque dobbiamo capire il prima possibile le conseguenze dei cambiamenti per poter reagire prontamente e supportare le popolazioni che nell’Artico e dell’Artico ci vivono".