BERLINO. L'orso polare e il narvalo sono tra le specie piú minacciate dallo scioglimento dei ghiacci artici: in due modi diversi, la frammentazione in tante lastre galleggianti e in movimento delle ampie distese ghiacciate di un tempo che erano il loro habitat naturale creano al plantigrado simbolo del Polo Nord e al raro, singolare cetaceo con la spada a spirale sul naso gravissimi problemi nella caccia al loro nutrimento. Lo afferma un ampio studio del Journal of Experimental Biology, ripreso da The Guardian che dirama l'allarme.
Addio ghiacci, com'è verde il Polo Nord

Il problema è simile per le due specie cosí diverse. Entrambe le loro tecniche di caccia per nutrirsi, ben diverse tra loro, sono rese molto piú difficili dalla trasformazione di vaste e spesse lastre di ghiaccio stabili dell'Artico in lastre piccole e sottili, che alla deriva nelle acque intralciano in modo pericoloso i due carnivori. L'orso polare, spiega lo studio, è biologicamente strutturato per vivere al gelo consumando il meno energia fisica possibile.
Da sempre, ha cacciato la sua preda preferita, le foche che con il loro grasso gli procurano calorie sufficiente, aspettando di incontrarle, o scavando buchi nel ghiaccio per attirarle alla superficie e in trappola. Adesso gli è spesso necessario nuotare tre o quattro giorni per raggiungere le sue prede, foche da sole o branchi di foche. Il manto di ghiaccio artico dal 1979 a oggi si è ristretto in media del 13% ogni decennio.

Ciò significa che l'orso deve spendere da tre a quattro volte piú energia per procurarsi il cibo. Di qui alla fine del ventunesimo secolo, se l'umanità non prenderà misure radicali contro lo scioglimento dell'Artico, ammonisce citato dal quotidiano britannico il professor Terry Williams del dipartimento di Ecologia dell'Università di Santa Cruz, California, ci si dovrà rassegnare alla riduzione della popolazione di orsi bianchi, già minacciata, di un numero tra un terzo e due terzi del totale. Se non disporrà piú di foche a sufficienza, un orso polare dovrà sforzarsi di riuscire a nutrisi con un caribú e mezzo, 54 pesci artici, 74 oche polari o 216 loro uova e 3 milioni di mirtilli per assicurarsi una quantità equivalente di calorie.


Il narvalo deve cacciare con la precisione con cui un subacqueo o sommozzatore calcola il tempo d´immersione in base alla capacità delle bombole di cui dispone. Il cetaceo immagazzina una quantità limitata di ossigeno in muscoli e sangue, quindi per lui ogni caccia in profondità è una corsa contro il tempo: pochi secondi di troppo per trovare un tratto di mare non ghiacciato e consentirgli di riemergere e respirare possono condannarlo a una dolorosa morte.

Non è finita, sottolinea il rapporto: come in una reazione a catena il cambiamento di clima minaccia non solo orsi polari e narvali, bensí altre specie artiche, dalla balena Beluga, alla volpe artica, al bue muschiato. "Il genere umano deve strizzare l'ingegno e mostrarsi creativo per affrontare questo problema”, dice ancora Tery Williams, "perché un mondo senza piú orsi polari e narvali sarebbe piú triste".

Aggiunge il professor Klaus Dodds, docente a Royal Holloway, un college universitario londinese, "da tempo immemorabile questi grandi mammiferi, predatori come l'orso polare e il narvalo o meno, hanno adattato la loro natura, il loro DNA all'ambiente ghiacciato artico. Ora questi rapidi mutamenti sono per loro una lotta disperata". Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacci per la fauna artica possono essere drammatiche e incalcolabili. E secondo Steve Albon del James Hutton Institute, le conseguenze del riscaldamento del clima sull'aumento enorme di uso di energia necessario a questi mammiferi predatori saranno un significativo calo del loro numero di esemplari viventi, prima che noi che ne accorgeremo".