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Groenlandia, la vittoria degli inuit contro le miniere di "terre rare". Ma la battaglia non è finita

La campagna elettorale degli inuit contro le miniere di "terre rare" in Groenlandia (foto: Christian Klindt Soelbeck / Afp)
La campagna elettorale degli inuit contro le miniere di "terre rare" in Groenlandia (foto: Christian Klindt Soelbeck / Afp) (afp)
La fusione rapida dei ghiacci espone giacimenti intatti che possono essere raggiunti con sforzi (sia economici che estrattivi) relativamente bassi. E anche se le elezioni recenti sono state vinte dal partito che si oppone alla miniera di Kvanefjeld, gli interessi internazionali rischiano di scavalcare le popolazioni locali e i vantaggi che potrebbero ottenere dalla loro terra madre
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All'interno di ogni turbina eolica, di ogni computer e telefono e altre apparecchiature ad alta tecnologia, ci sono materiali chiamati "terre rare”. Questi materiali, nonostante non siano preziosi in piccole quantità come l’oro e l’argento, lo sono in grandi quantità, visto appunto il largo utilizzo che ne viene fatto al giorno d’oggi e la crescita esponenziale della domanda negli ultimi anni. A tale proposito, paradossalmente, potrebbe venire in aiuto al problema la scomparsa dei ghiacciai millenari della Groenlandia. La fusione di questi ultimi, infatti, espone giacimenti intatti di questi materiali che possono, perciò, essere raggiunti con sforzi (sia economici che estrattivi) relativamente bassi.


Il problema non è semplice da affrontare e rivela come il cambiamento climatico e i suoi effetti siano già primi attori di stravolgimenti socio-economici, geopolitici e  ambientali. La Groenlandia, infatti, risente sempre più degli effetti del riscaldamento globale, perdendo ogni anno circa 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio, con questo valore che va crescendo di anno in anno. La scomparsa del ghiaccio favorisce l’esposizione di aree che sono state sommerse dal ghiaccio per migliaia di anni, esponendo le potenziali risorse o favorendo l’apertura di miniere dove, altrimenti, sarebbe impossibile.

A questo, poi, va aggiunto che la Groenlandia - cosa non nota a molti - conserva un folto e ricco patrimonio geologico. Secondo alcune stime, al di sotto della vasta calotta glaciale della Groenlandia potrebbero trovarsi abbastanza terre rare per soddisfare almeno un quarto della domanda globale in futuro.

Già a partire dal 2012, la Cina - che controlla oltre il 90% delle riserve di terre rare - aveva avvertito che le sue forniture stavano diminuendo, interessandosi alla Groenlandia. Durante lo stesso periodo, l’Unione Europea aveva mostrato molto interesse, confermando una potenziale “corsa all’oro” nell’isola ghiacciata. A tale riguardo, il cambiamento climatico, per una volta, potrebbe favorire le popolazioni locali che spesso, ricordiamolo, pagano il prezzo più alto nonostante siano le meno responsabili, poiché emettono quantità trascurabili di anidride carbonica nell’atmosfera. Attualmente, l’economia della Groenlandia, che dipende dalla Danimarca e della quale è ufficialmente un distretto con governo autonomo, si basa sulla pesca e, in maniera minore, sul turismo - anche questi entrambi legati sempre più in tempi recenti agli effetti del cambiamento climatico.

Ma la domanda chiave, a proposito delle terre rare, è se le attività associate ad estrazione e trasporto dei minerali potranno beneficiare le popolazioni locali oltre che essere svolte senza danneggiare l’incontaminato ambiente artico. Visti gli interessi internazionali a mettere le mani sui giacimenti della Groenlandia, appare lontana l’idea che le popolazioni locali riusciranno in qualche modo ad usufruire dell’opportunità offerta loro dalla fusione dei ghiacci e dalla geologia della loro terra madre. A questo va poi aggiunto che le popolazioni indigene non hanno le competenze tecniche e professionali necessarie per svolgere le mansioni necessarie, a causa anche della condizione socio-economica e degli scarsi investimenti da parte del governo per la loro crescita professionale.
(afp)

I problemi sono diversi anche da un punto di vista ambientale. L'acqua di scarico delle miniere, per esempio, se non smaltita correttamente potrebbe avere impatti molto gravi sull’ambiente, anche a causa dell’uso di sostanze chimiche tossiche utilizzate durante il processo di estrazione. Anche il trasporto dei prodotti da e verso i siti minerari potrebbe sollevare problemi. Inoltre, altrettanto problematico è che alcune delle terre rare si trovino in depositi che sono ricchi di uranio, il che potrebbe portare alla dispersione della polvere del materiale radioattivo.

Le elezioni concluse pochi giorni fa in Groenlandia sono testimoni tangibili degli effetti del clima e delle preoccupazioni per l’ambiente di un popolo che fa della propria terra e della sua conservazione un vanto. Il partito che si opponeva alla costruzione della miniera di Kvanefjeld (il sito stimato il secondo più grande deposito al mondo di terre rare e il sesto più grande deposito di uranio), ha infatti vinto le elezioni, ribaltando i risultati precedenti e spodestando il partito che appoggiava la compagnia Greenland Minerals, una società australiana a larga partecipazione cinese dietro al progetto minerario. E’ oramai chiaro che la questione climatica in Groenlandia (ma non solo) ha diverse sfaccettature ed effetti sulla società moderna oggi, e non tra cento anni, attraverso un’eco che si propagherà sempre più nei settori economici, ambientali oltre che sociali e politici.