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Stromboli, 1 Agosto 2019. Fabrizio Villa/Getty Images
Stromboli, 1 Agosto 2019. Fabrizio Villa/Getty Images 

Livelli dei mari ed eruzioni vulcaniche: c'è un collegamento

Le masse oceaniche e quelle terrestri sono intimamente legate: una variazione delle prime, dovuta all'innalzamento o all'abbassamento delle acque, causa movimenti delle seconde, che determinano l'attività eruttiva

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I vulcani sono una forza della natura e da sempre hanno modificato il clima. La gigantesca eruzione del Pinatubo nel 1992 fece calare le temperature globali di 0,5 gradi. Quella del Monte Tambora nel 1815 cambiò le stagioni e portò fame e disagi: l'anno successivo venne ricordato come quello senza estate. Potessimo pilotarli, ci sarebbe sicuramente qualcuno che li riterrebbe una possibile cura per il riscaldamento globale. I fenomeni naturali però non sono mai lineari. Secondo alcuni vulcanologi infatti il rapido incremento del livello del mare a cui stiamo assistendo, già 21 centimetri dal 1880, potrebbe influenzare le eruzioni facendole aumentare.

I processi che collegano clima ed eruzioni sono stati ancora poco studiati. Una nuova ricerca dell'Università di Oxford è però arrivata a una interessante conclusione. Analizzando quello che è successo negli ultimi 360 mila anni nell'isola di Santorini, hanno scoperto che quando il livello del mare è sceso di 40 metri, c'è stata una maggiore attività vulcanica, che si è poi fermata quando si è alzato nuovamente. Il motivo è abbastanza semplice: un livello più basso del mare toglie peso alla crosta terrestre, si creano più fratture e attraverso queste il magma risale ed esce.

È la prima volta che grazie a questo studio viene evidenziata una relazione precisa tra mare e vulcani. E, secondo gli studiosi, non possiamo sperare che, visto che a causa dello scioglimento dei ghiacci e della dilatazione provocata dalle alte temperature l'acqua sta crescendo, questo significherà che i vulcani staranno più fermi. Vulcani con riserve di magma più profonde, o che provocano grandi frane sui fianchi, si comportano diversamente.

La relazione stabilita su Santorini può però fornire informazioni importanti per capire il futuro che ci aspetta. Nel mondo, dove ce ne sono circa 1.500 attivi, il 57% dei vulcani sono sulle isole o sulle coste, dunque potenzialmente molto soggetti al cambiamento dei livelli del mare. L'effetto dipende dalla geometria e dalle proprietà meccaniche della crosta che ospita la camera magmatica.

La ricerca dunque propone di incoraggiare lo studio di tutti i sistemi vulcanici nell'ambito della crisi climatica che ci aspetta. La rimozione del ghiaccio dovuta allo scioglimento per esempio, decomprime e permette uno scioglimento anche del mantello terrestre, facendo aumentare l'attività. È successo in Islanda, ma anche in California.

Quando il mare si alza inoltre, la placca tettonica si muove come un'altalena, premendo da un parte e rilasciando la pressione dall'altra, il che si traduce con un aumento di produzione del magma. Non sono processi veloci, ma nel passato si sono verificati in America Centrale, Filippine e Giappone.

I ricercatori ritengono che la situazione di relativa stabilità in cui ci troviamo nell'Olocene, la nostra era attuale, non possa farci trarre la conclusione che tutto sarà sempre così come oggi lo vediamo. Questo infatti potrebbe essere un errore che non ci permette di prevedere correttamente le eruzioni in futuro. E studiare la storia di ogni sistema vulcanico, e in particolare di quelli che sono soggetti a variazioni del mare, permetterebbe di studiare meglio il comportamento in un periodo di cambiamenti radicali.