Elettricità pulita, idrogeno verde, sequestro della CO2. Se sfruttassimo al meglio gli strumenti che la tecnologia offre contro il cambiamento climatico, saremmo a metà dell’opera. Potremmo ottenere, infatti, circa il 60% di quel taglio delle emissioni di gas serra che serve per stabilizzare le condizioni atmosferiche del pianeta entro il 2050. Lo spiega un rapporto di McKinsey, intitolato “Innovating to net zero: an executive’s guide to climate technology”; una guida pratica, redatta dalla società internazionale di consulenza manageriale e strategica, per raggiungere l’obiettivo dello “zero netto”.
Guardando alla quota residua dell’abbattimento delle varie sostanze responsabili del riscaldamento globale, lo studio mostra che un 25-30% potrebbe essere coperto da tecnologie sperimentate, ma non ancora rodate; mentre da altre in fase di ricerca e sviluppo dipenderebbe un 10-15%. Ecco perché l’innovazione applicata al clima rappresenta una sfida prioritaria e, insieme, un mercato dall’enorme potenziale: per McKinsey, è in grado di attrarre investimenti da 1,5 a 2 trilioni di dollari l’anno entro il 2025. E cinque sono i macro-settori su cui intervenire.
Il primo riguarda l’elettrificazione di trasporti, edifici e industria, a cui dovrebbero essere destinati da 700 miliardi a un trilione di dollari nei prossimi quattro anni e che permetterebbe di eliminare 5 gigatonnellate di CO2 equivalente entro il 2050. Che cosa bisogna fare? Le apparecchiature e i processi che vengono alimentati con idrocarburi vanno convertiti all’elettricità, ricavata da fonti rinnovabili.

Le aziende automobilistiche, per esempio, lavorano sia alla produzione di anodi ad alto contenuto di silicio per le batterie dei veicoli elettrici (superando i problemi legati a quelle al litio) sia a soluzioni per accorciare i tempi di ricarica o allungare la vita delle batterie stesse. Nelle abitazioni e negli uffici è necessario puntare sull’efficienza energetica, magari preferendo le pompe di calore alle caldaie. I forni elettrici si dovrebbero diffondere a livello industriale, migliorandone le prestazioni.
Il secondo passo è una nuova rivoluzione verde in agricoltura: investimenti da 400 a 600 miliardi di dollari entro il 2025, per eliminare 10 GtCO2e entro il 2050. Coltivazioni e allevamenti generano una parte consistente delle emissioni di metano, un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica. Di qui l’urgenza di cambiare le tecniche, ma anche i consumi alimentari.
S’inizia incentivando la costruzione di macchinari agricoli a basso impatto ambientale – talvolta fermi al prototipo – per arrivare a sostituire in maniera preponderante le proteine animali con quelle vegetali o con carne creata in laboratorio. Inoltre, esistono metodi per modificare la digestione dei ruminanti o per trattare letame e liquami in modo da ridurre il rilascio di metano e, nel secondo caso, produrre biogas.
La speranza contro la paura

Il terzo intervento da portare a termine è la riconfigurazione delle reti elettriche in senso sostenibile (investimenti da 200 a 250 miliardi di dollari entro il 2025, per eliminare 5 GtCO2e entro il 2050). Queste ultime sono spesso vecchie e inefficienti, incapaci di reggere la domanda crescente di elettricità. Bisogna, quindi, aumentare la capacità installata di energia rinnovabile da 3 a 18 gigawatt a settimana, incrementare la capacità di stoccaggio per gestire l’intermittenza della produzione solare ed eolica, aggiornare i sistemi di distribuzione.
Il quarto tema affrontato dalla guida McKinsey è quello dell’idrogeno: dovrebbe richiamare investimenti da 100 a 150 miliardi di dollari entro il 2025, per eliminare 2,5 GtCO2e entro il 2050. Elemento ad alta densità energetica, l’idrogeno abbatterebbe il 30% delle emissioni e soddisferebbe il 15-20% della domanda di energia. A patto che per ottenerlo si segua un procedimento di elettrolisi basato su fonti pulite e non sul gas naturale. Dopo lo slancio dei primi anni Duemila, però, l’innovazione tecnologica s’è fermata e sta ripartendo ora: l’Hydrogen Council calcola che 131 grandi progetti sono stati annunciati tra febbraio e luglio 2021, su un totale di oltre 350.
Infine, il quinto settore: le tecniche di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, indispensabili per attività che non si possono decarbonizzare e per rimuovere CO2 dall’atmosfera. Gli investimenti previsti variano da 10 a 50 miliardi di dollari entro il 2025, con un taglio di 3 GtCO2e entro il 2050. Al momento l’impiego è minimo, i costi sono alti (da 50 a 100 dollari per tonnellata di CO2) e l’attrezzatura è particolarmente energivora. Le prossime sfide? Rendere conveniente il prelievo diretto del gas serra dall’aria, innanzitutto, e applicare questi mezzi agli impianti a biomassa.
In generale, la “tecnologia climatica” non ha avuto sufficiente diffusione perché troppo onerosa in confronto a quella più inquinante. Un ostacolo significativo, ma non permanente. Supportando la richiesta, introducendo agevolazioni fiscali e consentendo di ampliare la produzione si riuscirà a fare economia di scala. Nel corso dell’ultimo decennio, i governi di diversi Paesi hanno mandato segnali incoraggianti in tal senso e il costo di alcuni progetti di energia rinnovabile è sceso quasi del 90%.