Da anni, diverse organizzazioni internazionali promettono di piantare "mille miliardi di alberi" in giro per il mondo, nel tentativo di ridurre le emissioni inquinanti e combattere così il problema dei cambiamenti climatici. Di recente, questo impegno è comparso nella dichiarazione finale del G20 di Roma, tenutosi il 30 e 31 ottobre 2021. Tra le altre cose, i leader presenti all'incontro si sono impegnati a piantare mille miliardi di alberi entro il 2030, con l'obiettivo di "combattere la degradazione dei terreni e creare nuovi depositi di carbonio". Il numero - definito una "aspirazione" più che un vero e proprio obiettivo numerico - dovrebbe essere raggiunto a livello globale, con la partecipazione del settore privato e della società civile. Potrebbero quindi contribuire a questo traguardo anche gli alberi piantati da società private, quelli messi a dimora nell'ambito di progetti europei come il Green deal o il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano, e le iniziative attivate dai singoli governi.
Ad oggi, per quanto riguarda gli impegni del G20, sembra però che non ci siano stati annunciati sviluppi significativi. Il 15 luglio, ospite alla Climate action week di Londra, il presidente della Cop26 Alok Sharma ha comunque incoraggiato i leader a tener fede agli impegni presi a novembre, compresi quelli sugli alberi e sulla deforestazione.
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Al di là delle promesse del G20, le conseguenze e i risultati effettivi dei progetti di riforestazione sono più sfumati di come si potrebbe pensare, per diversi motivi. Inoltre, monitorare l'andamento delle operazioni, e quindi l'effettivo raggiungimento del traguardo da "mille miliardi di alberi", è un compito complesso, a causa anche dei tanti partner coinvolti a livello globale, dalle istituzioni alle comunità locali.
Le promesse sono tante
Oggi sono attivi diversi progetti internazionali che puntano a piantare mille miliardi di alberi nel prossimo futuro. Uno tra i più longevi è la One trillion tree campaign (in italiano, la "campagna per mille miliardi di alberi") attualmente gestita dalla fondazione Plant for the planet, con base in Germania e diretta dal ventiquattrenne Felix Finkbeiner. La campagna è nata sedici anni fa, nel 2006, quando le Nazioni Unite lanciarono la Billion tree campaign (in italiano, la "campagna per un miliardo di alberi") sulla scia del lavoro svolto da Wangari Maathai, un'ambientalista del Kenya che nel 2004 vinse il Premio Nobel per la Pace proprio per il suo impegno nella riforestazione delle aree rurali del continente africano.
La Billion tree campaign raggiunse presto il suo obiettivo e in circa un anno riuscì a piantare un miliardo di alberi. Le attività però non si fermarono e le Nazioni Unite continuarono a sostenere gli sforzi per la riforestazione fino al 2011, quando la gestione del programma fu affidata alla fondazione Plant for the planet di Finkbeiner. Pochi anni dopo, il progetto cambiò nome da Billion tree campaign all'attuale One trillion tree campaign, sottolineando così la crescita delle sue potenzialità e ambizioni.
Nel 2020 il Forum economico mondiale di Davos ha poi lanciato un'iniziativa globale per "far crescere, ripristinare e preservare mille miliardi di alberi in tutto il mondo", con l'obiettivo di "risanare la biodiversità e contribuire alla lotta al cambiamento climatico". Il progetto, chiamato 1t (dall'inglese one trillion, in italiano "mille miliardi"), è attualmente attivo negli Stati Uniti, in Amazzonia, India, Cina e nella regione africana del Sahel.
Un'altra iniziativa che punta a piantare miliardi di nuovi alberi e salvaguardare le foreste è Trillion trees, lanciata nel 2016 e sostenuta da BirdLife international, dalla Wildlife conservation society e dal World wildlife fund (Wwf), tre tra le principali organizzazioni ambientaliste a livello mondiale.
L'Unione europea si è impegnata invece a piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030 come parte del suo Green deal, il piano che punta a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro i prossimi otto anni.
Ci sono poi molte aziende, come il motore di ricerca Ecosia o la startup italiana Treedom, nate negli ultimi decenni con l'intento di piantare nuovi alberi, pur senza specificare un obiettivo quantitativo.
Nonostante la presenza di numerose organizzazioni che operano per un traguardo simile, monitorare l'avanzamento effettivo delle operazioni non è un compito semplice.
I risultati sono incerti
Plant for the Planet e 1t non indicano sui rispettivi siti ufficiali il numero di alberi piantati dall'inizio delle loro attività. Intervistata dal New York Times, la direttrice esecutiva di 1t, Nicole Schwad, ha detto che l'obiettivo principale dell'organizzazione è "salvaguardare, ripristinare e far crescere" mille miliardi di alberi, ma ridurre gli sforzi portati avanti da tutte le organizzazioni e gli individui che collaborano al progetto al semplice raggiungimento di un target numerico sarebbe "estremamente complesso e fuorviante". "La cifra di "mille miliardi" è un'aspirazione", ha detto Schwad al New York Times.
Il numero di "mille miliardi", in effetti, deriva da un'incomprensione di fondo. Questo è stato calcolato da un studio del 2019, curato da ricercatori del Politecnico di Zurigo, secondo cui sulla terra sarebbe disponibile una superficie di 0,9 miliardi di ettari, che potrebbe ipoteticamente ospitare circa mille miliardi di alberi. "Si tratta di uno studio teorico, potenziale", ha spiegato a Green&Blue Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale all'Università Statale di Milano. "Il numero è stato preso alla lettera, e riproposto senza capirne la vera natura".
A differenza di Plant for the planet e 1t, altre compagnie hanno all'attivo un contatore, aggiornato in tempo reale, che mostra il numero di alberi piantato. Al 12 agosto, Ecosia ne contava quasi 156 milioni e Treedom più di tre milioni. In realtà, è possibile che alcuni contatori considerino la stessa pianta più di una volta: i numeri possono essere almeno in parte sovrapponibili tra le varie organizzazioni. Per esempio, Ecosia raccoglie i ricavi delle ricerche effettuate su internet degli utenti e li distribuisce poi a vari partner, incaricati di piantare effettivamente gli alberi. Gli sforzi sono quindi molto frammentati ed è difficile avere un'idea precisa del numero di piante messe a dimora. Secondo Vacchiano, fornire dati "gonfiati o esagerati" può essere un problema, perché in questo modo "si rischia di dare l'impressione che piantare alberi possa essere l'unica soluzione alla crisi climatica".
Inoltre, molte organizzazioni non monitorano lo stato di salute degli alberi dopo averli piantati, un'operazione fondamentale soprattutto quando si mettono a dimora piccole piante, che hanno bisogno di attenzioni particolari. È quindi possibile che alcuni degli alberi piantati non crescano come ci si aspetterebbe, rendendo vani gli sforzi fatti. "Per fare in modo che le piante crescano, è necessario assisterle, almeno nei primi cinque anni, e quindi è importante dedicare risorse economiche anche a queste operazioni", ha detto a Green & Blue Vacchiano, sottolineando come proprio la mancanza di manutenzione sia stato il motivo principale che in passato ha portato al fallimento di numerosi progetti di riforestazione.
Non ci sono solo benefici
Negli ultimi anni diversi studi hanno mostrato come, in alcuni casi, le piante messe a dimora con programmi simili a quelli che abbiamo citato - come il mango, il caffè o il cacao - siano più adatte a scopi commerciali che ambientali, e non necessariamente rispettano la biodiversità dei territori nelle quali vengono inserite.
In alcune situazioni limite, poi, le iniziative di riforestazione hanno raggiunto il risultato opposto. È il caso per esempio del programma Sembrando vida (in italiano, "Seminando vita"), lanciato nel 2019 dal governo del presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador. Il progetto retribuiva i contadini che piantavano nuovi alberi, di fatto incoraggiando molti - almeno secondo alcuni studi e inchieste giornalistiche - a distruggere la vegetazione già esistente per crearne di nuova e trarne vantaggi economici.
Di certo, avere un maggior numero di alberi, supportando anche gli sforzi di riforestazione e la salvaguardia degli ecosistemi, può portare benefici all'ambiente, riducendo tra le altre cose le emissioni inquinanti nette. Allo stesso tempo però, come evidenziato tra gli altri dalla Technology Review del Massachusetts Institute of Technology (Mit), è importante non sovrastimare il reale effetto che questi sforzi possono avere. Anche Plant for the planet ricorda sul proprio sito che "da soli, gli alberi non sono in grado di risolvere la crisi climatica", ma per farlo è necessario risolvere le cause primarie del fenomeno, come l'uso dei combustibili fossili e il livello eccessivo delle emissioni globali di carbonio. "Se non riduciamo prima le emissioni, piantare alberi di per sé non risolverà la situazione", ha detto Vacchiano, anche perché se fenomeni come la siccità o le inondazioni dovessero continuare ad aggravarsi, le piante messe a dimora farebbero fatica a sopravvivere in un ambiente diventato ostile.