Per i gourmet di tutto il mondo, quelli che rispettano le regole della stagionalità e non piegano per forza la natura ai voleri e ai desideri dell’uomo, gli ultimi giorni di agosto sono segnati da un rito atteso da quasi cento giorni: si può tornare a mangiare le ostriche. In molti staranno pensando: ma come nel ristorante in cui sono stato me le hanno sempre proposte? Diciamo che quasi tutto il mondo continua a mangiarle perché spesso le ostriche sono state al centro di interventi di modifica genetica che hanno azzerato il periodo di fecondazione e fertilità.

Così si è messo da parte quel vecchio motto francese secondo cui le ostriche vanno mangiate solo nei mesi con la «r», ma se vogliamo tornare a un corretto rapporto con il pianeta, forse è il momento di cominciare a ricordarsene. Intendiamoci, mangiarle a giugno, luglio e agosto non è reato. È una scelta. Anche se molti la fanno in modo inconsapevole. Perché l’ostrica in quel periodo è meno buona oppure ha subito qualche trattamento per essere buona. E se quel trattamento è ormonale potrebbe non fare troppo bene neanche a chi la mangia. Partendo dalla Bretagna, dove negli anni scorsi una clamorosa moria andò a colpire proprio gli allevamenti delle ostriche geneticamente modificate, cresce il movimento di chi vuole tornare alle origini e servire le ostriche solo nei mesi con la «r». Uno di questi combattenti per il ritorno alle tradizione delle ostriche e dei frutti di mare è a Torino e questa battaglia la vive da tempo.

Si chiama Michael Le Coeur e il suo non è un nome d’arte. Ma un marchio di nascita. Michael non è uno chef anche se nel suo locale si cucina. Ma la sua storia vale quanto quella di chi è diventato famoso mettendosi ai fornelli. Michael è biondo, dalla fisicità importante che con quella voce che sembra sempre un po’ prenderti in giro gli fa ricordare in modi e movenze Gerard Depardieu di cui è un appassionato cultore dei vini. È nato in Bretagna più o meno mezzo secolo fa. Una terra dove o fai il marinaio, o il pescatore perché al richiamo di quell’oceano è difficile resistere. Da bambino Michael invece apriva ostriche, una passione passata attraverso gli studi e i primi lavori. Un passione diventata professione perché quando nasci in Bretagna fare l’«écailler» non è un mestiere a caso, ma una vocazione, una strada per raccontare la propria terra dal profumo dell’oceano a quello delle ostriche. Michael ha grandi maestri, ma impara soprattutto dai pescatori, da chi conosce bene il prodotto. Studia le ostriche, si innamora dell’imperfezione che caratterizza quelle che si trovano fuori dagli allevamenti, i veri regali dell’oceano.

Ostriche enormi come le «pied de cheval» e tutto il repertorio che ama selezionare. Dai pescatori capisce la differenza tra i periodi dell’anno e la necessità di tornare a rispettare le regole dell’oceano. E da chi conosce i ritmi delle maree si fa insegnare tutto anche sugli altri abitatori dell’universo dei crostacei: dai granchi alle aragoste; dalle lumache di mare alle capesante. Il lavoro porta Michael in tutte le città dove il consumo di ostriche raggiunge livelli da record come Parigi o Montecarlo o Nizza. In una di queste tappe lavorative il cuore dell’uomo che apre le ostriche si lascia aprire da una giovane italiana, anzi torinese. La vita di Michael così si divide tra il lavoro in Francia e l’Italia, anzi Torino. Fino a quando complice una famiglia che cresce e un suocero titolare di una delle più belle gastronomie della città decide di portare in Italia una nuova visione del mondo delle ostriche. Il suocero gli cede la gastronomia che, in corso Racconigi, continua a chiamarsi per tutti «Simini» ma quello stesso locale diventa la casa di chi ama i frutti di mare anzi i frutti del mare ovvero la «Brasserie de la mer».

L’avventura comincia nel 2007. Tempi non facili per chi cerca ostriche di qualità. Così sovente Michael riesce a dirottare fornitori destinati a Nizza, li incontra nella notte in autostrada, tutto per poter vendere un prodotto che spieghi il vero sapore dell’oceano. I consumi decollano, e la crescita non si è mai fermata, e così la gestione dei fornitori diventa più facile. Anzi in città cominciano a copiare il prodotto. A quel punto Michael decide che il suo mercato è pronto per lo choc. E chiude il suo ristorante da fine aprile a fine agosto: niente ostriche nei mesi senza “r”. Una scelta radicale, estrema. Ma che paga e tiene anche in pandemia quando, nel rispetto delle chiusure ovviamente, dal locale di corso Racconigi escono ogni giorno decine di piatti da asporto. Non solo ostriche ma aragoste, granchi e tutti i frutti del mare. Tre mesi di chiusura ogni anno sembrano un’enormità ma sono il prezzo che paga chi decide di combattere una battaglia che è anche per l’ambiente.

Qualcuno va da Michael anche per la pasta con il granchio e soprattutto per i dolci francesi come la «tarte tatin», l’«ile flottante» o la «crepe suzette» ma lui sta focalizzando sempre di più l’attenzione sui frutti di mare, sui prodotti che raccontano l’oceano e vuole portarli in tutto il Piemonte, perché come dice lui: «I piemontesi capiscono la qualità». Giovedì riapre dopo un’estate passata a studiare le «fruits de mer» di tutto il mondo. Alla ricerca di prodotti che raccontano storie: dall’Alaska agli altri Oceani. Michael non è uno chef ma alla fine selezionare prodotti e aprirli con quel gesto magico è come cucinare. Si regala sempre un’emozione.