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Ecco le cinque bottiglie da abbinare ai piatti di un menù "difficile"

Ecco le cinque bottiglie da abbinare ai piatti di un menù "difficile"
I vini di questa settimana devono tener conto della presenza di ingredienti solitamente ostici da accoppiare
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I piatti che compongono il menù di questa settimana, ci offrono l'occasione per parlare di alcuni ingredienti problematici, quelli che spesso rischiano di metterci a dura prova quando siamo chiamati a creare il cosiddetto “perfect pairing”. Strano a dirsi, tra i principali alimenti che si divertono ad impensierire anche il sommelier esperto, figurano alcuni ortaggi. Amici del nostro organismo, osannati da dietologi e nutrizionisti, eppure talvolta invadenti, quasi dispettosi e pronti a trarci in inganno.

Il primo “caso” è rappresentato dall'apparentemente innocuo antipasto a base di crocchette di spinaci. Buone, vero? Ma guai a sottovalutare il ferroso ortaggio che, se accompagnato ad un vino ad esempio tannico, si vendica regalando al palato una sgradevole sensazione “allappante”. In questi casi, meglio optare per un bianco di medio corpo e buona morbidezza come la Malvasia “Secca del Capo” prodotta a Salina dalle Cantine Colosi, affinata in acciaio e con la giusta concentrazione aromatica per esaltare al meglio il piatto.

Superato il primo scoglio, è vietato rilassarsi perché ad attenderci al varco ci sono i fusilli lunghi con Gorgonzola e finocchio. Golosi, certo, ma altrettanto insidiosi. Proprio il finocchio, infatti, è protagonista di una delle leggende nate intorno al vino. L'espressione “farsi infinocchiare” risalente al Medioevo, fa riferimento alla malsana abitudine dell'oste che, per mascherare vini di pessima fattura, o addirittura rovinati, metteva in tavola spicchi di finocchio confidando sulla spiccata aromaticità dell'ortaggio, ideale per coprire eventuali “magagne”. Tornando al nostro primo piatto, l'intensità di un altro ingrediente come il Gorgonzola dolce ci spinge a scegliere un vino corposo e schietto come il Lacryma Christi riserva del Vesuvio “Don Vincenzo” di Casa Setaro. Piedirosso 70%, Aglianico 30%, un dinamico figlio del vulcano affinato in botti di rovere francese per 24 mesi. 14% vol e nessun timore di reggere il confronto con gli accostamenti più insidiosi.

A concederci una tregua è il secondo piatto, il placido pollo con pomodoro, uvetta e pinoli. Possiamo temporaneamente abbassare la guardia, dal momento che la carne avicola è piuttosto neutra, anche se la ricetta la vivacizza con la nota acidula del pomodoro, la delicata grassezza dei pinoli e l'inconfondibile dolcezza dell'uva passa. Per bilanciare la tendenza agrodolce del piatto scegliamo una stappata felice come quella suggerita dal Pinot Nero prodotto nell'Oltrepò Pavese da Bertè & Cordini. Profumato e di medio corpo, affina in acciaio ed è un vero passepartout che regala un sorso gradevole, ma non troppo impegnativo.

Giunti al contorno, eccoci alle prese con il sedano alla molisana che ci costringe a tornare a concentrarci sulle caratteristiche dell'ortaggio, di intensità pari al finocchio. Le ingombranti note vegetali vengono tenute e bada dalla cottura e dagli altri ingredienti del piatto; per non rischiare di far passare il vino in secondo piano, meglio affidarsi al Verdicchio dei Castelli di Jesi dell'azienda Velenosi. Grande sferzata di freschezza in bocca, bella concentrazione di frutti al naso: perfetto, il carattere vince sempre.

Giunti al dessert, non sarà il bonet piemontese ad impensierirci. È finalmente arrivato il momento di rilassarci, gustando questa prelibatezza a base di cacao, rum e amaretti, accompagnandola con un calice di “Rerum”, Recioto della Valpolicella Classico dell'azienda veronese Sartori. Ideale per una coccola a fine pasto, grazie alla dolcezza perfettamente calibrata e alla beva incredibilmente morbida.