Da Milano alle Alpi lungo il ramo "sbagliato" del Lago di Como. Per mangiare missoltin e pizzoccheri
di Francesco Moscatelli
I missoltin della Locanda Grifo di Lenno (@Paolo Migliavacca)
Bresaola e polenta ma anche plum cake, tagliolini con bottarga di agone e vini, dai cru di Sassella Sommarovina e San Lorenzo allo sfurzat. Un itinerario per assaggiare la gustosa Lombardia in quota (con tappa obbligatoria in un crotto)
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MILANO-PASSO DEL MALOJA. Sarà che Milano e Vienna litigano da almeno due secoli sulla paternità della schnitzel (pardon, cotoletta), sarà che il missoltin - l’agone essiccato al sole tipico del lago di Como - sembra il cugino d’acqua dolce dell’aringa scandinava, sarà che il miglior plum cake d’Europa non si acquista in qualche grazioso villaggio del Gloucestershire ma nella piazzetta di Argegno. La cucina lombarda è ricca di ricette della gastronomia nordeuropea. Si tratta di indizi da enigmistica culinaria più che di parentele vere e proprie, influenze spesso così remote da essere sconosciute ai loro stessi tramandatori. Ma anche di rivisitazioni, o di errori belli e buoni, diventati con il passare del tempo ortodossia. A portarle al di qua delle Alpi nel corso dei secoli sono stati i monaci, i magistri cumacini - la corporazione di muratori itineranti comaschi che nel Medioevo si spinse a lavorare fino in Scandinavia -, e a partire dal XIX secolo i giovani aristocratici del Grand Tour.
Il riso col pesce persico (@Paolo Migliavacca)
Il modo migliore per scoprirle è concedersi un breve viaggio da Milano al passo del Maloja, preferendo alla trafficata superstrada del ramo manzoniano le strettoie del ramo “sbagliato” del lago, quello comasco. È pressappoco il tracciato dell’antica via Regina, l’itinerario che all’epoca dei Romani collegava il porto fluviale di Cremona alla Retia e al Nord Europa attraverso la Valchiavenna.
Le caselle di partenza di questa incursione nella cucina lombarda “nordica” non possono che essere Milano e la cotoletta, meglio se gustata per cena dopo aver bevuto uno “Sbagliato” al bar Basso di via Plinio. Il cocktail a base di Campari, vermouth rosso e spumante - quintessenza della milanesità - è imparentato con lo spritz veneto, l’aperitivo erede della bevanda creata dalle truppe austroungariche per tagliare i vini italiani considerati troppo alcolici. Per la cotoletta invece, scartata l’onnipresente orecchia di elefante sepolta sotto un tappeto di pomodorini e rucola, conviene virare sulla superclassica e supermilanese trattoria Al Matarel della signora Elide Moretti, dove la cotoletta è rigorosamente di vitello, con l’osso e cotta nel forno abbondantemente rivestita di burro. L’alternativa glam rock è la “cotoletta sbagliata” di maiale dell’Anche: lonza, uova, pane panko, mandorle e arancia (o pistacchi e lime nella versione mini) e cristalli di sale. Il proprietario Matteo Stefani era pronto per sbarcare a Shanghai per una nuova avventura imprenditoriale ma il Covid l’ha costretto a mettere nel cassetto il progetto e a puntare sul delivery. Oggi, dalla sede di via Carmagnola nel quartiere Isola, le spedisce in atmosfera protetta in tutta Europa.
I plum cake della pasticceria di Miro e Joseline Grandi ad Argegno (@Francesco Riedo)
Il tour può proseguire lasciandosi alle spalle la metropoli e imboccando a Cernobbio la strada che costeggia il primo bacino del lago. Ci sono due alternative. La più panoramica è quella “bassa”, che attraversa gli abitati di Moltrasio, Carate Urio e Laglio e che permette di dare una sbirciatina ad alcune delle ville più belle, compresa “L’Oleandra” acquistata nel 2002 da George Clooney. Proprio dal porticciolo che sorge accanto al muro di cinta della residenza dell’attore parte ogni giorno in solitaria il pescatore Rodolfo Carisi, uno degli ultimi rimasti sul Lario.
Rodolfo Carisi sul lago (@Simone Colombo)
Dal 1998 esce tutte le sere per gettare le reti, qualche minuto dopo il passaggio dell’ultimo aliscafo. Poi torna a notte fonda a ritirarle. La sua specialità sono gli agoni, che trasforma personalmente in “missoltin” e vende nel suo negozio-laboratorio di Argegno. Nella stessa località c’è la pasticceria della famiglia Grandi. “Durante il Giro di Lombardia - scrive Cecco Bellosi nel suo bel libro Con i piedi nell’acqua - l’ammiraglia de Il Giorno doveva accostare al secondo passaggio da Argegno. Lì Gianni Brera, in una delle sue tappe forzate, riempiva la macchina di plum cake del Nicola, a suo insindacabile giudizio i migliori in assoluto. E Brera non poteva mai essere contraddetto nei suoi esagerati giudizi”. Oggi il locale è gestito da Miro e Piero, figli di Nicola, ma la ricetta della torta lievitata è rimasta la stessa. “Mio padre aveva lavorato nei grandi alberghi frequentati dagli inglesi e il plum cake ha imparato a farlo lì - racconta Miro -. All’inizio lo faceva liscio, poi ci ha aggiunto le uvette e i canditi e ha avuto così tanto successo che venivano apposta da Milano in battello per comprarlo. Mi ricordo che nel 1978 partì con tutta la brigata di Villa d’Este per andare a cucinare il suo plum cake allo scià di Persia. Fu l’ultima festa che diede prima dell’arrivo di Khomeini”.
Elena Bordoli, chef della Locanda Grifo di Lenno (@Paolo Migliavacca)
Torniamo ai missoltin. La prima descrizione di questa ricetta risale a Plinio il Giovane, ma la versione arrivata ai giorni nostri è stata affinata a partire dal Settecento con l’arrivo dei primi viaggiatori scandinavi. Nei ristoranti li servono grigliati accompagnati da una fetta di polenta abbrustolita, a volte conditi con un filo di aceto balsamico. Dopo i missoltin è d’obbligo gustarsi un piatto di riso con il persico. I locali più turistici propongono un risotto ma la versione autentica è quella con il riso in cagnone (bollito in acqua salata) accompagnato dai filetti di pesce dorati e conditi con burro fuso e salvia. Un ottimo indirizzo per assaggiarli è la locanda “Il Grifo” a Campo di Lenno, aperta dal 1912 e appena rilevata dalla quarta generazione, le sorelle Elena e Alice Bordoli. “Vogliamo mantenere la tradizione con un tocco di freschezza” spiega Elena, che è anche la chef del ristorante, presentando una delle ricette di cui va più orgogliosa: tagliolini all’uovo fatti in casa con bottarga di agone, stracciatella e profumo di limone.
I tagliolini all’uovo fatti in casa con bottarga di agone, stracciatella e profumo di limone della Locanda Grifo di Lenno (@Paolo Migliavacca)
Poco distante c’è il promontorio di Villa Balbianello. La residenza a strapiombo sul lago merita una visita sia per la bellezza degli edifici e del parco, sia per scoprire l’ultima residenza di Guido Monzino, l’esploratore che guidò le spedizioni italiane sull’Everest e al Polo Nord.
I giardini della Villa del Balbianello (@Laura Pagani)
Per affrontare il capitolo vini bisogna guidare ancora per una cinquantina di chilometri e superare il Pian di Spagna, la piccola pianura fra il lago di Como e le prime cime delle Alpi. A Mese, alle porte di Chiavenna, c’è la cantina di Mamete Prevostini, da vent’anni uno dei nomi più interessanti del panorama enologico lombardo. Mamete ha ristrutturato il “Crotasc” di famiglia, la tipica osteria dove i contadini si riposavano all’ombra dei castagni nelle giornate estive bevendo un bicchiere e gustando qualche fetta di bresaola o di violino di capra (l’insaccato locale prodotto con le spalle e le cosce della capra), e ha affiancato alla ristorazione la produzione di vino. Anche la sua azienda, trenta vendemmie sulle spalle e una produzione di 180 mila bottiglie all’anno, è “sbagliata”. Le vigne crescono intorno a Postalesio, in Valtellina, mentre la cantina storica è sotto il Crotasc, ai piedi della Val Bodengo, uno dei paradisi italiani degli appassionati di canyoning. “Qui la temperatura è costante grazie al Sorel, il vento freddo che scende attraverso gli ammassi di rocce - spiega Prevostini, stappando una bottiglia di Opera, il suo bianco-manifesto a base di Pinot Bianco, Chardonnay e Incrocio Manzoni -. La nostra zona è famosa per i Nebbioli ma se storicamente avessimo preso un altro indirizzo oggi qui si farebbero soprattutto bianchi. Forse più che in Alto Adige”. Anche le vigne provengono dal Nord Europa. “La Valtellina fino all’età napoleonica apparteneva alla Svizzera, era il loro orto - prosegue il vignaiolo -. Si pensa che a introdurre il Nebbiolo siano stati frati e preti del Canton Vallese, anche perché lì sono state trovate delle piante molto simili da un punto di vista ampelografico”. Fra i rossi, ognuno con una sfumatura diversa dovuta soprattutto alle differenze altimetriche, spiccano i cru di Sassella Sommarovina e San Lorenzo e lo sfurzat fatto con le uve lasciate cento giorni ad appassire.
La cantina di Mamete Prevostini (@Francesco Riedo)
Proseguendo verso il confine, magari dopo essersi fermati a comprare la bresaola allamacelleria Del Curto o dopo aver fatto una deviazione nella vicina Valle Spluga per acquistare un pezzo di Magnuca o di Matusc alla latteria Carden, il posto in cui fermarsi è il Crotto Belvedere a Prosto di Piuro, affacciato sulle acque verdi del fiume Mera. Il piatto “sbagliato” di quest’ultima tappa sono i pizzoccheri bianchi chiavennaschi. Condividono con l’omonima pietanza valtellinese il condimento a base di formaggio, patate, burro, salvia e aglio, mentre differiscono nell’impasto: i pizzoccheri di Teglio sono tagliatelle di farina di grano saraceno, quelli di Chiavenna sono gnocchetti preparati con farina, latte, panino secco e noce moscata. Al di là del corso d’acqua passa la strada che per secoli, prima dell’apertura del traforo del Gottardo, ha collegato l’Italia all’Europa attraverso il Septimerpass. Oggi il Passo del Settimo è utilizzato dai cicloturisti mentre le auto passano dal passo del Maloja. L’Engadina, con i suoi paesaggi di mucche, laghi e nuvole dipinti da Giovanni Segantini, dista solo pochi minuti.