Un un mondo fatto di agende europee e non, di tassi di crescita a doppio zero del mercato del bio e di inserimenti in panieri Istat, di trasparenza e controlli e di sfide climatiche, proprio nel momento in cui crediamo di aver sondato le pieghe più profonde dell’essere green, si rende opportuno riconsiderare il nostro rapporto con la Natura per non perdere il vero senso di tutto ciò. Ecco perché lavorare in un regime biologico, mangiare e bere prodotti bio, è solo il punto di partenza per ricomprendere il valore dell’uomo e il suo rapporto con ciò che lo circonda. Nata a fine anni ’80 ho visto la Langa cambiare: i vigneti diventare sempre più belli e stalle e altre coltivazioni sparire.
Negli occhi e nel cuore porto impressi i volti dei vecchi contadini conosciuti da bambina. Le loro rughe, le mani callose che regalavano carezze... e, raramente, un uovo, le loro dita veloci nel raccogliere le nocciole in ginocchio e i grappoli d’uva. Gli occhi fissi al cielo. Le rogazioni. Il non sgheiré (il non sprecare). Ho visto i nonni materni allevare vitelli di razza piemontese con professionalità altissima mossa dall’amore per il proprio lavoro e per gli animali: li ho visti preparare pastoni con i cereali coltivati nei campi davanti a casa, chiamare i vitelli per nome, carezzarli e spazzolarli con sguardo affettuoso anche il giorno in cui li avrebbero condotti al mercato. Nascere in una famiglia di viticoltori curiosi e aperti al dialogo, crescere in una cantina che è anche casa per clienti, colleghi e amici artisti, ci ha ulteriormente spalancati al mondo. E negli anni e negli incontri più disparati è emerso, con crescente evidenza, un modo di fare agricoltura bello, generoso, completo. I tratti di questo amore puro per la terra li ho ritrovati in persone tra loro diversissime per formazione e provenienza eppure tutte mosse dal desiderio di capire, dalla capacità di osservare, dal loro implicarsi con la Realtà che li circondava e, non da ultimo, dalla gioia di condividere.
Esistono leggi ancestrali tra uomo e Natura: rapporti scanditi dalla gioia di ricevere un raccolto generoso e dalla consapevolezza di dover rigenerare potenzialità e risorse, con cura che arriva fino al dettaglio; dalla coscienza di poter perdere tutto e dalla certezza che, come la Natura trova sempre l’energia di ripartire, così anche l’uomo deve trovare la forza di non perdersi d’animo e ricominciare. Ne deriva che il vero rispetto della Natura non è né idolatria della stessa, né riduzione a pratiche agronomiche, ma osservazione, cura e senso del Bene comune. Conoscere per crescere, quindi, nella prospettiva di un autentico benessere e di un nuovo rispetto dell’Uomo, anche ripensando al sistema educativo, al valore che questi conferisce ai lavori manuali e al passaggio di conoscenze tra generazioni. Senza tutto ciò, scopriremo dolorosamente la potenza devastatrice dei nuovi integralismi agronomici.
Ecco perché non è secondario chiederci: cosa muove il cuore di chi ha prodotto ciò che mangeremo oggi?