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Mps, braccio di ferro tra Bankitalia e governo. Orcel è freddo e il Tesoro frena sulla cessione

Via Nazionale torna a sondare Unicredit: l’esecutivo è pronto a congelare il matrimonio dell’istituto senese, ma valuta la vendita di alcune quote

manuel follis
Aggiornato alle 3 minuti di lettura

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(afp)

MILANO. Per il matrimonio del Monte dei Paschi di Siena potrebbe servire più tempo del previsto. Anzi, dipendesse dal governo la cessione del controllo dell’istituto di credito non dovrebbe proprio avvenire o andrebbe collocata ben più in là di quanto atteso dal mercato. Il paradosso è che invece per Banca d’Italia Mps necessita di un Cavaliere bianco in tempi rapidi e non a caso negli ultimi giorni è tornato d’attualità il pressing di Palazzo Koch su Unicredit, anche se a quanto risulta l’ad Andrea Orcel è ancora molto freddo sul dossier. Un braccio di ferro a distanza tra Via Nazionale e governo che al momento sembra abbia un chiaro vincitore e cioè l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.

Alla base della decisione che ha ormai preso piede nei ministeri chiave c’è un principio abbastanza banale: meglio non sposarsi che scegliersi un consorte di malavoglia. Tanto più che, fuor di metafora, da qualche tempo a questa parte la banca senese ha iniziato a registrare performance confortanti e lo confermano le previsioni per il 2023 di Mps, al netto della tassa sugli extraprofitti che ovviamente non è piaciuta nemmeno a Siena. In ogni caso, non c’è più alcuna fretta di trovare un nuovo azionista di riferimento per la banca guidata da Luigi Lovaglio. Tutto perfetto salvo un particolare e cioè che Palazzo Chigi ha preso degli impegni formali con Bruxelles per un’uscita di scena entro il 2024. Impegni che per qualcuno sono vincolanti, ma che invece molti altri esponenti del governo a microfoni spenti derubricano come «falso problema». L’idea è che non sarà così difficile ottenere un’ulteriore proroga all’interno delle fitte interlocuzioni tra esecutivo e Ue che ormai spaziano a 360 gradi dall’accoglienza dei migranti al Pnrr.

Lo scenario diventa quello di una Mps che balla da sola, padrona della sua sorte. Scenario che però evidentemente non piace molto a Bankitalia dove invece vedrebbero di buon occhio una fusione all’interno di Unicredit. Dal punto di vista formale, la banca guidata da Orcel ha tutte le carte in regola per digerire l’istituto senese e in più l’ad è di quelli che ha una marcia in più quando si tratta di lavorare su operazioni di m&a. Peccato che al momento il ceo non ne voglia sapere di un matrimonio con Siena, a meno che quest’ultima non venga servita su un piatto d'argento con tanto di cospicua dote, ipotesi inverosimile alla luce dei risultati dell’istituto. In più, Orcel ha capito da che parte sta tirando il vento e ha colto perfettamente i segnali provenienti dal governo e l’intenzione per il momento di non cedere il controllo di Mps. Senza contare che se mai dovesse scegliere una preda, non è un mistero che Unicredit preferirebbe puntare sul Banco Bpm, pur con tutte le difficoltà che è ormai noto comporterebbe una simile operazione.

L’altra possibile pretendente di Mps è proprio Banco Bpm, che però ha almeno due problemi. Il primo è che gli azionisti dell’istituto hanno fatto capire chiaramente che non gradirebbero l’operazione Mps, che comporta molte incognite sul futuro, tanta fatica nella gestione del deal e un incasso sostenzialmente nullo.

Al di là del guadagno cash dei soci, anche chi vedrebbe di buon occhio un eventuale fusione con Mps è preoccupato della capacità della banca di assorbire l’istituto senese.

Insomma trovare un Cavaliere bianco per il Monte Paschi non è affare semplice. E anche per questo il governo avrebbe optato per togliere il piede dall’acceleratore e aspettare gli eventi. Questo, per quanto riguarda un nuovo azionista di riferimento. Discorso diverso invece per quanto riguarda l’alleggerimento della quota di controllo e quindi la presa sulla banca senese. Mps è controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che detiene una quota del 64,2%. Nulla vieta al ministero guidato da Giancarlo Giorgetti di mettere in vendita parte della quota, in una o più tranche, pur mantenendo il controllo dell’istituto.

C’è quindi un 13% potenzialmente cedibile che alle attuali quotazioni di mercato potrebbe valere intorno a 400 milioni. Ove mai Palazzo Chigi e Mef decidessero di limare la quota di controllo nella banca senese, la sfida sarà rappresentata da modalità e timing, visto che quando gli investitori subodorano l’immissione di titoli sul mercato, il valore delle azioni ne risente.

D’altro canto c’è chi fa notare che i recenti risultati di Mps uniti al fatto che il titolo tratti a sconto potrebbero rendere la cessione di azioni non così complessa. «Siamo ben oltre il punto di svolta della nostra strategia per essere banca commerciale più chiara e semplice», aveva commentato Lovaglio a inizio agosto in occasione dei risultati semestrali di Mps. Il gruppo si trova, aveva proseguito, «su una corsia preferenziale e abbiamo ottenuto risultati molto buoni, grazie a oltre 600 milioni di utili nel semestre siamo sulla strada per superare un miliardo entro la fine dell’anno».

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