E dunque, sempre piazza Maggiore. Dal V-day alle sardine. Ma piazze con caratteristiche così diverse da risultare, più che opposte, imparagonabili, collocate su coordinate totalmente altre. Galassie distanti, non semplici pianeti diversi. L’8 settembre 2007, al primo V-Day di Beppe Grillo – di fatto l’evento seminale del futuro Movimento cinque stelle – il comico iniziò, sembrerà strano, con un discorso politico. «La politica siamo noi, dobbiamo farla noi. Noi, tutti noi, i cittadini». E però tutto il discorso di quella piazza, la sua tonalità emotiva, era inesorabilmente segnato dal vaffa, da un sarcasmo, quasi un ghigno di cui all’inizio in tanti non capimmo la portata tossica. Grillo iniziò a leggere la sfilza di parlamentari condannati, cioè esordì con una lista di proscrizione, additando la gente: «Mauro Giovanni Forza Italia, diffamazione aggravata. Nania Domenico, An, lesioni volontarie personali. Petroiello Aldo, Udc (Grillo lesse così, sbagliando, il nome di Patriciello), finanziamento illecito. Previti Cesare». E la folla: buuu, ululati fortissimi, grida di «ladro!». E Grillo: «Poveretto, Cesare Previti, ha corrotto un giudice per conto dello Psiconano, c’ha rimesso lui e lo Psiconano è ancora lì. Visco Vincenzo, abuso edilizio, una cosina così». Già nel modo in cui si presentò, dentro un canotto rosso con le strisce nere, offriva l’immagine indelebile di una piazza totalmente verticistica: un uomo che, letteralmente, surfava su una folla. La più imprevedibile incarnazione postuma delle dinamiche descritte in “Massa e potere” di Canetti. L’incendio della biblioteca di “Autodafè”. Non si vedeva certo, non ancora, l’azienda che aveva organizzato tutto, in quella piazza Maggiore: la Casaleggio associati, che accompagnava e scortava Grillo con Filippo Pittarello e Marco Canestrari. Ma Grillo parlò molto anche, forse soprattutto, contro Prodi: «Nelle ultime parole prima di andarsene ha detto che la politica deve riavvicinarsi ai cittadini. Se n’è accorto troppo tardi”. E poi: «L’ha detto ai soliti giornali, vergognosi». E giù ironia, davanti alla piazza bolognese, sull’etnia reggiana di Prodi, «di dov’è, di Reggio? Di dove? Soliano? Ma che cazzo ne so, di dov’è!». In realtà, ovviamente, era Scandiano. E ancora: «Italiani!».
C’era già tutto, in quella performance, il veleno contro le persone, le liste, le gogne, un culto totale dei «noi contro loro», riferimenti ambigui all’italianità, sia pure mascherati dietro il paravento della satira, l’utilizzo cinico della rabbia, l’orchestrazione di sentimenti negativi della folla. I decreti Salvini, votati dal M5S, sarebbero stati conseguenza non così stramba. E poi naturalmente c’erano, in quella piazza, tanti bersagli da additare: «Veltroni? Veltroni? Veltroni è il candidato che non esiste di un partito che non esiste». Si riferiva al nascente Pd. Oggi suo grande alleato.
Rivedere tutto questo fa obiettivamente impressione, e pare sideralmente lontano dalle “sardine” che l’altra sera hanno riempito Bologna. Intanto per i contenuti del tutto pacifici, miti, sorridenti, della manifestazione organizzata da quattro ragazzi bolognesi che sono arrivati a convogliare decine di migliaia di persone. Poi per le modalità: curiosamente, la Casaleggio associati – un’azienda di web marketing e raccolta di dati informatici – aveva costruito il primo V-day usando un mezzo molto più tradizionale di Facebook: una analogica raccolta firme, circa 300 mila cittadini per chiedere una legge che facesse uscire dal Parlamento i 25 deputati condannati in via definitiva. I social c’entravano però per una cosa: erano stati i meet up, cellule virtuali ma anche fisiche, a fornire il tessuto connettivo dell’evento. Che poi aveva previsto anche megaschermi e collegamenti (grazie a Telecom) in tante città d’Italia (anche se poi il collegamento non funzionò granché, va detto). Insomma, una piazza di firme, diretta evoluzione di un popolo dei fax, e tanti altri risentimenti. Con l’uso embrionale dei nascenti social, e delle prime dirette online.
Se si pensa a cosa hanno spiegato i ragazzi delle “sardine” adesso, l’evento e la piazza odierni non potrebbero essere più diversi. «È venuto il momento di dimostrare che a Bologna siamo più di loro. Avremo macchine fotografiche, videocamere, cervelli. Testimonieremo tutto. Nessuna bandiera, nessun partito, nessun insulto. Crea la tua sardina e partecipa alla prima rivoluzione ittica della storia. Se non hai tempo per crearti la sardina vieni lo stesso, ne forniremo un migliaio per non lasciare nessuno fuori dal 'banco». Dove specialmente quel proposito, «nessun insulto», ci taglia fuori totalmente dal mondo del M5S e della Lega, dagli universi del populismo tech . La mobilitazione è partita su una pagina Facebook, anche con le modalità dell’evento Facebook, del flash mob, il raduno più istantaneo che si possa immaginare. C’era per la verità un Nemico anche qui, la presenza di un catalizzatore negativo, Matteo Salvini, ma nessuno l’ha offeso, o almeno offese non sono state riportate finora. Anche qui, è vero, mancavano bandiere politiche o di partito: segnale sempre ambivalente, non è affatto detto che le cose siano migliore quando non ci sono segni e appartenenze riconoscibili.
Mattia Santori, ricercatore, uno dei quattro ragazzi che ha lanciato il flashmob su Facebook, spiega che "siamo sommersi di reazioni, volevamo suonare una sveglia collettiva e la sveglia è suonata. Ora dal basso c'è già una risposta libera, il nostro risultato più bello». Gli altri sono Roberto Morotti, ingegnere, Andrea Garreffa, guida turistica, Giulia Trappoloni, fisioterapista. Una risposta libera, senza aziende, senza scalette, senza orchestrazione. Una delle poche politiche che hanno la credibilità per starci dentro in maniera naturale, la bolognese ex eurodeputata Elly Schlein (chissà perché, i bravi sono spesso degli ex, in Italia), la racconta così: «Una piazza spontanea, meravigliosa, spigliata e molto composita, ci si trovavano tutte le età e provenienze. In grado di ribaltare la retorica di Salvini: era lui blindato in un palazzetto cammellato mentre le sardine riempivano una piazza su appello di quattro ragazzi che hanno avuto un’idea geniale. C’erano senz’altro tanti “senza casa”, ma non solo. La cosa più bella è stata vedere le persone ritrovare un senso di comunità, salutarsi agitando le sardine, fermarsi dopo il flash mob a chiacchierare in capannelli. Hanno creato un luogo di socialità senza nemmeno saperlo». Non è stato peraltro il primo caso, solo che i media faticano a mappare le cose: «Questa piazza, e le altre che abbiamo visto nell’ultimo hanno, sono nate spontaneamente al di fuori dei circuiti tradizionali dei partiti, e la dicono lunga su quel che manca oggi all’offerta politica. Come se in tanti fossero schiacciati da un lato dalle contraddizioni dei grandi partiti, dall’altro dalla frammentazione surreale del resto del campo della sinistra ed ecologista. La società mi pare sia più avanti della politica, perché di queste piazze colpisce una composizione molto simile nelle facce, nelle battaglie e nelle speranze, come se ci fosse già nella società una sensibilità che tiene insieme la grande questione climatica e quella sociale, delle diseguaglianze e dei diritti». Il che ovviamente non significa che Salvini sia battuto in Emilia: «Non illudiamoci che quella piazza sia rappresentativa di tutta la regione, si è fatto largo un disagio che non va sottovalutato e che merita ascolto e risposte nuove. Altrettanto rischioso sarebbe dare per scontato che le persone andranno a votare per paura di Salvini: credo ci andranno se convinte che il loro voto possa davvero fare la differenza sul futuro». Insomma: cari partiti, non intestatevi quella piazza.
Adesso tutti ne sono tentati. Il mito “dal basso”, così infausto e tradito nel movimento grillino, torna in una declinazione che fa pensare più ai verdi tedeschi, o alla generazione di AOC, la deputata dem americana Alexandria Ocasio Cortez. Nicola Zingaretti, il segretario del Pd e certamente uomo di un altro tempo, invita a avere «grande umiltà, bisogna mettersi al servizio di quella domanda di futuro della piazza di Bologna». Il fatto è che anche gli eredi della piazza maggiore del Vaffa, per esempio Paola Taverna, la più populista e popolare tra le star grilline, vogliono piantare la loro bandierina: «Chi instilla odio tra la gente se ne farà una ragione. Chi fa l’occhiolino o va a braccetto con i fascisti e i razzisti questa sera a Bologna ha perso… di brutto». Attaccava ovviamente Matteo Salvini, dimenticando quando, in un’altra piazza (del Viminale, a Roma), alla presentazione delle liste nel gennaio 2013, a sorridere e sghignazzare con Beppe Grillo e Simone Di Stefano di Casa Pound, mentre Grillo diceva a Di Stefano «per quello che dici potresti essere uno del Movimento» c’era anche lei, Paola Taverna. E’ questo, in fondo, il fossato che separa le due piazza Maggiore.