Uccide per la seconda volta un cane che incontra nell'area di socializzazione di un quartiere centrale di Napoli, il Vomero. Un Pit Bull sul quale, misteriosamente, è sceso un velo e se ne parla da 48 ore unicamente sulle chat di chi sa i fatti, ha commesso per due volte - ma sembra anche altre, e ha procurato ferite ad altri cani - l'atto tra i peggiori che un cane possa fare: ucciderne un altro sotto gli occhi del proprietario che ha potuto solo assistere inerme. E' accaduto due volte in un mese in una città, Napoli, dove il pitbull sta diventando la razza prevalente, grazie anche a tanti allevamenti abusivi, molti dei quali nei quartieri a rischio proprio nel centro, che proliferano liberamente. E grazie anche a una moda che vede nei cani dalla muscolatura pronunciata e in molti casi il morso facile, il compagno ideale per sopravvivere "in un mondo difficile".
Dopo l'uccisione del cane che si trovava nella stessa area a loro riservata, quella della centralissima piazza Medaglie d'Oro, al suo arrivo la polizia, chiamata da chi ancora una volta, evidentemente, aveva assistito a una scena orrenda, non ha trovato più nessuno: vittime, predatori, testimoni, altri cani, tutti erano spariti come neve al sole. Accade spesso a Napoli: "Temiamo che il cane venga soppresso", ha dichiarato qualcuno via social commentando l'accaduto.
La legge italiana vieta la soppressione, al massimo consiglia dei percorsi, i quasi inutili patentini per proprietari di cani a rischio predatorio e poco altro. Ma il più delle volte all'aggressore tocca una sorte anche peggiore: la reclusione a vita in un canile dove, vista la scarsa gestibilità, i pitbull vengono completamente abbandonati, regrediscono e in condizioni del genere la morte è una fine auspicabile. Il cane in questione era già stato sottoposto all'attenzione della Asl Napoli 1 Centro, che aveva esaminato il caso comminando sanzioni e prescrivendo percorsi riabilitativi e l'obbligo della museruola. Obbligo che visto l'accaduto evidentemente non è stato rispettato. Ma che cosa devono fare le autorità competenti in casi che vanno ripresentandosi sempre più spesso? Non dovrebbe finire come accadde nell'estate del 2019 sempre a Napoli con il pitbull Rocky, freddato da due colpi di pistola da un agente di polizia che stava eseguendo l'arresto del proprietario, perché il cane - venne raccontato - avanzava minaccioso verso di lui e lo aveva morso a una scarpa. Si può fare qualcosa per evitare situazioni del genere? Abbiamo girato la domanda a una "Escac" che sta per Esperto Cinofilo in Area Comportamentale secondo la norma Uni 11/7/90, la certificazione che obbliga alla formazione e all'aggiornamento costante per distinguere questi specialisti che hanno in mano una materia incandescente dove non ci si può improvvisare, dagli addestratori alla caccia, alla ricerca del tartufo, al salvataggio o da altri istruttori sportivi. Rosaria Vernese, napoletana, da anni ha scelto la strada della superspecializzazione.
"E' un problema soprattutto meridionale - spiega - Indirettamente lo è al nord Italia, perché quasi tutti i Pit Bull adottati nel settentrione provengono dal sud. Qui abbiamo un problema grave di canili affollati di cani di questo tipo che sono obbligati a stare da soli e sono quelli che soffrono di più, per l'energia che hanno superiore alla norma, e per la incapacità di gestire la frustrazione, perché hanno un impulso costante a reagire a tutto ciò che si muove e che li attiva fortemente. Hanno bisogno di mordere, di strappare, e si tratta di stimoli che vanno soddisfatti, ma che non possono esserlo attraverso l'aggressione di altri cani oppure di altre specie, come i gatti: ne muoiono a centinaia, senza che si sappia. Come scuola possiamo raccontare una quantità di episodi di cani che hanno ucciso, ferito cani e persone. E ovviamente la responsabilità non è loro, perciò bisogna lavorare a monte. C'è necessità di una grande riforma: i privati non devono più far accoppiare questi cani, gli allevatori, nelle cui mani sappiamo che sono le caratteristiche genetiche ereditate, devono essere molto più selezionati. Il Pit è un cane non riconosciuto dall'Enci, ma poco importa perché gli Amstaff e i Rottweiler e i Dogo argentino hanno la stessa pericolosità sociale. Nel caso di questo cane che ha ucciso più volte: diventano più attivi e cominciano a reagire in modo più forte a un anno, un anno e mezzo, spesso anche prima del compimento dell'anno, e tutto questo poi causa l'abbandono da parte dei proprietari. E' sempre difficile confrontarsi su questo argomento, si viene fraintesi, scambiati per specisti anche quando si è per definizione lontani dall'equivoco. Ma la soluzione potrebbe intanto essere che chi prende questi cani vada da persone che si occupano di comportamento e non da chi non ha questa specializzazione, è generico o superficiale. Perché il Pit Bull deve sottoporsi a un percorso di socializzazione molto lungo, e dovrebbe farlo vita natural durante".
Rosaria Vernese, istruttore di lungo corso con corsi di specializzazione in tutt'Italia e all'estero, cita esempi di lieto fine: "Abbiamo bellissimi casi di Pit che sono capaci di socializzare, ne abbiamo addirittura alla nostra scuola uno capace di insegnare agli altri, ed è un ex cane aggressivo che aveva manifestazioni frequenti fuori controllo. Si possono fornire competenze sociali a cani come questi, ma non è cosa semplice. Ci sono alcuni individui che hanno un impulso predatorio irrefrenabile e non è esclusa una componente organica".
Come si vede, l'esperta non ha mai parlato di soppressione, una soluzione vissuta come una paura, che si trova solo nella mente di chi non ha idea della gestione di un cane, né facile né difficile. Ma sventolarla come spauracchio serve solo ad allontanare il rimedio a un problema reale che aiuterebbe invece tutti, e prima ancora questi cani, spesso destinati più di altri a tragici destini.
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