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La rapper Lexie Liu, 24enne nata a Changsha. Foto di He Kai Tuo Yi/Courtesy Miu Miu. 
La rapper Lexie Liu, 24enne nata a Changsha. Foto di He Kai Tuo Yi/Courtesy Miu Miu.  
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Dopo la K-pop, è la volta del C-Pop. E il mondo della moda ingaggia gli idol cinesi

Corea, scansati: c’è una nuova fabbrica di star che scala le classifiche. Così nascono le stelle del C-pop. Una storia di musica e geopolitica

3 minuti di lettura

Pensa che la Cina farà le scarpe al K-pop?». «Lo sta già facendo». È il botta e risposta tra un produttore californiano emigrato in Corea del Sud per cavalcare il business e Fatima Bhutto, a caccia di nuovi re del pop globale. Giorni fa il Financial Times ha titolato: “La Cina a caccia del suo global pop idol” (del critico musicale a sua volta a caccia di nuovi scoop Ludovic Hunter-Tillney). 
La metafora che comunque circola oggi tra discografici ed esperti di soft power è che se finora in cima alla montagna del pop globale ci sono stati proprio i sudcoreani (alla Bts e Blackpink), oggi è pieno di “idol” made in China che quella montagna la stanno scalando. Molti in solitaria, visto che una caratteristica del C-pop (termine umbrella rubato a Wikipedia, che sta per tutto quello che “suona” dalla Cina) è proprio il fatto che dopo il boom delle band affollate da almeno 12 elementi (dove la tragedia è quando i maschi devono fare il militare e svuotano il gruppo) la tendenza gradita dai fan sarebbe il ritorno alla semplicità del singolo. E la verità è che molti C-idol sono quindi fuggiti da gruppi K-pop per riprendersi l’identità cinese. E magari fare propaganda patriottica urlando, come ha fatto Jackson Wang, dal Coachella: “Quello che vi dicono i media occidentali sulla Cina sono stronzate”.

Il più big dei C-idol è proprio Jackson Wang. Nato a Hong Kong (che quando aveva 3 anni è ridiventata Cina), stava con i K-popper GOT7 ma su Teen Vogue aveva annunciato il ritorno a casa. Oggi ha capelli decolorati su carnagione pallido-cool e un suo concerto costa intorno ai 370 euro (con punte di bagarinaggio fino ai 2.490). Lo segue Lay Zhang (che è fuggito dagli Exo, K-band anche loro) ma è nato a Changsha nello Hunan e voleva “giocare” per la sua Cina, come annunciato nell’autobiografia Standing Firm. E come lui la sua concittadina rapper Lexie Liu, una Grimes asiatica. Lei è oggi brand ambassador di Miu Miu e gli altri due di Louis Vuitton e Fendi, perché pure i brand dopo aver ingaggiato tutto il K-pop possibile sono passati ora ai più freschi protagonisti del C-pop. Più classico il 40enne Jay Chou, che si fa fotografare in completo da matrimonio e viene dal Mandopop (dal mandarino), produttore e attore per Michel Gondry e Zhang Yimou, perché la regola di un idol è essere multitasking. Con questa squadra il C-pop ucciderà il K-pop o lo ha già fatto? Il dibattito è divisivo.


«I numeri non sono male», dice Stefano Capolongo, sinologo e critico musicale rockpop per China Files. «Secondo i dati IPSI-International Federation of the Phonographic Industry, il mercato cinese nel 2022 è stato per la prima volta nella top 5 mondiale (nel 2017 era 10°) dopo Usa, Giappone, Uk, Germania e con la Corea del Sud solo settima. Wang ha debuttato da cinese e non più da finto coreano nella classifica Billboard con il suo album da solista, Mirrors, al 15° posto insieme a Ozzy Osbourne. Mentre l’ultimo, Magic Man, è stato numero 1 di iTunes in 39 Paesi e numero 2 della Worldwide iTunes Chart». A questo va aggiunto che per il mercato cinese, quasi interamente digitale, i servizi di streaming come il QQMusic sono in attivo, a differenza delle crisi sistemiche di Spotify. Ma, fuori dai titoloni, Capolongo aggiunge: «Non è tanto vero che la Cina, con il C-Pop, voglia togliere il primato al K-Pop per concorrenza diretta. È una questione di più ampio respiro. Da anni cerca il riconoscimento di una platea globale, usando la musica a livello geopolitico. Ma l’avanzata del C-pop ha seguito un processo inverso rispetto a quanto avvenuto con il K-pop: mentre lì è stata foraggiata la creazione di idoli con l’obiettivo (riuscito) di esportare un prodotto Made in Korea svuotato da ogni caratteristica locale, in Cina l’eventuale creazione di una star risponde sempre al fabbisogno interno, quindi ai gusti della popolazione. Se esiste una montagna la cui sommità era dominata dal K-pop, la Cina sta facendo un giro diverso per arrivare in cima».

Una tesi condivisa tra gli esperti di soft power è che la controffensiva del gigante Cina si può far risalire al 2016, con il boicottaggio (ufficioso ma reale) alla Corea del Sud per il dispiegamento dello scudo americano anti-missile Thaad, per esempio bloccando il K-pop sulle piattaforme cinesi. Ma, chiarisce Lucrezia Goldin, sinologa e curatrice della rubrica WeiboLeaks (storie dal web cinese): «La guerra al K-pop è lo specchietto per le allodole di una campagna totale per ristabilire il dominio del partito-Stato su qualsiasi tipo di ingerenza, star system incluso». Il paradosso cinese è che il partito è invidioso perfino della popolarità delle sue star: «È dal 2017 che ha cominciato a oscurare TiktToker e influencer troppo influenti, basta uno scivolone non in linea e li mettono in pausa di riflessione. Vedi pure l’accanimento sul social Weibo contro Michelle Yeoh, attrice Oscar maleysiana cinese di seconda generazione». Con un controllo simile, non è un caso se quelli che difendono la Cina all’estero sono quelli che non ci vivono più, mantenendo semmai il legame con la madrepatria dalla suite di un Park Hyatt. Una diaspora di lusso. «Se i C-idol sposano idee in linea con quelle del Partito comunista lo fanno per interesse personale e avere accesso al mercato interno. Lì le celebrità negli ultimi anni hanno subito un giro di vite, con la campagna di rettificazione dell’industria dell’entertainment del Paese, criticata per alimentare “abitudini malsane” nei giovani: tra le vittime anche il rapper sino-canadese Kris Wu. Ma sempre più artisti stanno provando a sbancare negli Usa: Lay Zhang ha debuttato al Lollapalooza con il dj inglese Alan Walker». 

Serena Campolo ha una pagina Instagram, @musicaincinese, per far sapere che il C-pop è un incredibile contenitore da non liquidare con un ascolto e non c’è solo Jackson Wang. E spera che riprendano i Survival Show, talent alla X-Factor a caccia di nomi nuovi. «Peccato che l’ultimo sia stato interrotto per lo scandalo dello yogurt: dovevi comprarne un vasetto per votare e i fan ne acquistavano tanti per poi buttarli via. Uno spreco». Con un potere sulle masse simile, chiaro che la Cina voglia puntare solo sul suo C-pop.