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Terrance Hayes, Il poeta riluttante. "Il mio modello è LeBron James"

Un ritratto di Terrance Hayes, 51 anni, poeta e artista.
Un ritratto di Terrance Hayes, 51 anni, poeta e artista. 
Premiato con il National Book Award, è uno dei professori star alla New York University. E poi artista, padre, amante: «Scrivo di traumi e riscosse. Più profonda è la ferita, più eccitante la guarigione»
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Terrance Hayes è un grande poeta, ma più un grande alla LeBron James che alla Sylvia Plath (“Non granché allegra/ coi nervi a fior di pelle e credeva che le proprie poesie fossero banali”, parole, anzi versi, suoi). Premiato con il National Book Award, è uno dei professori star alla New York University (ma non deve nemmeno salire sulla cattedra come Robin Williams nell’Attimo fuggente, essendo già 1 metro e 99). Scrive poemi duri come pallottole, ma pure esilaranti e teneri, che danno dipendenza – leggete i Sonetti americani per il mio assassino del passato e del futuro appena pubblicati da Tlon – su politica, oppressione razziale e sessuale, relazioni sentimentali. E poi scrive di corpi, compreso il suo da giocatore di basket riluttante, che lo fa finire per suo imbarazzo su People oltreché su New Yorker e Paris Review. E a parte la grandezza letterale e letteraria è talmente un poeta nato da aver fatto «sospettare per anni ai miei genitori working class di Pittsburgh che fossi gay. Perché quale ragazzino nerd e sensibile vuole diventare un poeta?», racconta dalla sua casa newyorkese nel Village. «Vorrei che i miei mi avessero parlato di razzismo oltreché di classe, che era quello che faceva la differenza per mio padre, ma a conti fatti meglio così perché per me essere neri conta quanto essere alti. Aggettivi che ti danno o ti dai».

Disegni di Terrance Hayes. Sonetti americani per il mio assassino del passato e del futuro, edizioni Tlon, è da poco uscito in Italia. Artworks di Terrance Hayes
Disegni di Terrance Hayes. Sonetti americani per il mio assassino del passato e del futuro, edizioni Tlon, è da poco uscito in Italia. Artworks di Terrance Hayes 

Quale aggettivo viene prima?  
«La mascolinità, ma è un sostantivo. Se qualcuno ha un problema con la mia blackness (“la pelle color tramonto / che fa della nerità una pericolosa oscurità” e «ti fa arrestare dalla polizia», ironizza), è un problema suo. Il gender è la cornice, la forma. Da maschio, con figlio 19enne, la mia preoccupazione è più per come si esercita la paternità, perché tutti adorano i propri daddy ma poi ti trovi a esercitare un potere su un corpo che non è il tuo. Ed è più astratto che essere madre, che ti ha generato, mentre chi è quest’altro che ti dice cosa fare?».

Quando ha realizzato di essere maschio? 
«Sono cresciuto circondato da donne, toste. Perfino la mia ex-partner aveva una famiglia matriarcale di tutte sorelle. E mia madre era soprannominata Joe Frazier (il pugile che ha sconfitto Muhammad Ali, ndr).  Il mio patrigno stava nell’Esercito quindi aleggiava quest’idea dell’educazione militare. L’unica per me era evadere nella cameretta, ascoltare musica, disegnare e scrivere. Guardato come uno strano, un artistoide».

Come insegnare ai figli (ne ha due) a stare nelle regole, ma pure aggirarle per cambiare il mondo? 
«Mio figlio sta trascorrendo da me il suo gap-year e dopo anni di college in Dad ora non vuole più studiare. Si sente mancare il mondo sotto i piedi, pensa che sia instabile. E lo è. Se non sei abbastanza forte la tendenza, di media e social, è di risucchiarti nella spazzatura della vita (virus e depressioni connesse). Io gli dico che è una questione di pesantezza e leggerezza, come ai miei studenti parlo di gravità e levità dei versi. Cerchi di afferrare la tua opportunità, come se provassi a vedere se sai volare. Ma la vera forza è concederti di essere aperto, piangere, una vulnerabilità emotiva politica empatica, quello che mi ha fatto crescere in opposizione con l’ideologia della mia famiglia, piegare le loro regole. La metafora sono i limiti di velocità stradale. Come la volta in cui guidavo e la polizia mi fermò e mi disse: “non ti fermo perché vai a 10 miglia l’ora, ma per impedirti di continuare a farlo per 11 miglia e oltre”. Da lì ho pensato: ok farò delle 10 miglia i limiti della mia filosofia».   

Dice che non sa dove guardare la sua partner quando balla... 
«Non un dubbio classico da maschi. Fa parte del disagio che mi fa provare il mio corpo in strada o sul dancefloor, essendo alto più della media. Ma pure Jimi Hendrix si sentiva a disagio con il proprio corpo e si drogava per superare la fobia del palco. Poi mi chiedo: “devo dare retta alla negatività che mi dice che è meglio che balli a casa da solo? Quanto esibizionismo serve senza che scada nel narcisimo? Quanto ci sentiamo a proprio agio con le nostre insicurezze?”. A novembre a Mumbai, a un party a base di musica hindi per il matrimonio di un amico, ho finalmente ballato con mio figlio tutta la notte fregandomene dei commenti».

Chi è il suo modello?
«LeBron James, negli spot in cui incontra il se stesso 17enne. La mia competizione sono io. Scrivo contro il mio ieri. Per vedere se il sonetto di domani sarà meglio. Non sono nel gruppo dei grandi alla Ali, costretti a rimanere re per sempre. Ogni sonetto: un canestro. Ma non voglio che siano valutati. Come non voglio la mia faccia sulla quarta di copertina». 

È anche un artista, riproduce corpi decisamente erotici.
«Per uno che lavora con le parole, il bello del disegnare è staccare per un po’: è come suonare il piano che mi sono comprato da adulto. Prima disegnavo T-shirt. Non mi perdo una Biennale d’arte». 

Il suo stato sentimentale attuale?  
«La mia ex-moglie era tosta: sceneggiatrice Marvel, buddista, studiava meditazione trascendentale. Convivere con me non è facile. Sono ansioso, scorpione, mancino (ci credo), mi svegliavo alle 5. Lei mi diceva: “E chi porta i figli a scuola? Io! E la sera li va prendere? Io!”. Irritante. Me lo ha fatto capire divorziando». 

E con il sesso come va, Mr. Hayes?   
«Ho due libri in uscita, Watch Your Language, e il sequel dei Sonetti. Ho avuto una relazione interessante (con la ex di Rushdie, Padma Lakhsmi, «vi prego non ditelo», ride, ndr), un’italiana mi ha detto che la poesia è l’erotizzazione del sesso. Ho scritto 40 pagine per capire che per conoscere meglio l’erotismo serve la solitudine. Sì: parlo di masturbazione. Ma per il sesso servono gli altri». 

E quel verso dove parla dell’isteria per i corpi maschili neri?  
«Quello è sull’oggettificazione del corpo nero, frutto dell’oppressione politica e pop. Ma ora è dedicato ai miei amici queer che ammiro per la libertà che il mio corpo etero non ha, la capacità del sesso collettivo. Il fine del sesso è essere liberi». 

 Il suo motto? 
«Più profonda è la ferita, più eccitante è la guarigione. La risposta al trauma, che non è vittimismo ma riscossa, la trovo sempre nel metodo LeBron James. È più fico farcela a 38 anni o a 51, a 17 sono buoni tutti».