Cambiamento climatico in Veneto, la sfida cruciale delle imprese tra sostenibilità ecologica ed economica
Le aziende del territorio sono già all’avanguardia ma la crisi energetica ora rende la transizione ancora più complessa. I casi, i protagonisti ma soprattutto uno zoom sulle professioni del futuro
Fabio Poloni
Sconcerto. Hanno usato questa parola, solo qualche mese fa, i presidenti delle Confindustrie di Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Sconcerto e preoccupazione. Motivo: il “phase out” delle automobili nuove con motore a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035, mentre per i furgoni e i veicoli da trasporto commerciale leggeri entro il 2040.
“L’orizzonte del 2035, per un’industria che deve affrontare una transizione tecnologica senza precedenti, è sostanzialmente inattuabile allo stato odierno. Senza l’indicazione di un’alternativa, o quantomeno l’introduzione di un principio di gradualità, la strada tracciata dall’UE comporterà il blocco degli investimenti nei motori a combustione, oltre alla sostanziale chiusura del mercato con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Solo in Italia si rischia di bruciare oltre 70 mila posti di lavoro entro il 2030”, hanno protestato i presidenti delle Confindustrie del Nord. Quattro cavalieri di un’apocalisse industriale, in questo caso.
Quando si parla di transizione ecologica, quello delle imprese è un ruolo chiave, cruciale. Tutto o quasi passa da lì: quanto impattano con le loro emissioni, quanto riciclano, quanto investono in prodotti green, dalle caldaie agli elettrodomestici. E alle auto, appunto. La necessità di affrontare il cambiamento climatico ha tempi propri, strettissimi: ora. Le imprese stanno facendo tanto, su questo fronte. Ma hanno bisogno di un’agenda diversa. Inevitabilmente? Ne parleremo cercando di dare uno sguardo a casi aziendali, buone pratiche, mercato del lavoro “green”, investimenti dello stesso colore, numeri.
Piovesana: gradualità e occhio anche alla sostenibilità economica e sociale
Maria Cristina Piovesana è stata in questi mesi la vicepresidente di Confindustria nazionale per l’ambiente, la sostenibilità e la cultura. Non potevamo non partire da lei per capire che ruolo stiano giocando le imprese venete e italiane in una partita “in cui siamo coscienti che, come imprese, abbiamo un ruolo fondamentale in questo passaggio epocale”, dice. Le tensioni sulla transizione verso le auto elettriche sono un passaggio emblematico, simbolico, di un conflitto tra necessità non sincronizzate: quelle del Pianeta e quelle delle imprese?
“Quello che noi stiamo chiedendo come Confindustria, ma che credo sia dettato dal buonsenso, è che non sia un “on-off”, cioè dismetto per esempio il motore termico e passo all’elettrico da un momento all’altro, ci dev’essere un accompagnamento – dice Piovesana - Non a caso è stato chiamato ministero della transizione ecologica.
Anche l’Europa sottolinea come non bisogna lasciare indietro nessuno: la sostenibilità non è solamente ambientale, ma anche sociale ed economica. E per fare questo serve un periodo di transizione: nel caso delle auto chiediamo che ci sia il giusto tempo affinché le aziende possano eventualmente modificare quelli che sono i loro assetti produttivi”.
Altro tema cruciale è quello delle fonti energetiche e della decarbonizzazione. “Le decisioni sono già state prese, entro il 2050 l’Europa dichiara di voler abbandonare le fonti fossili – sottolinea l'ex vicepresidente di Confindustria nonché presidente e amministratore delegato di Alf Group (mobili) di Gaiarine, nel 2014 eletta presidente di Unindustria Treviso, prima donna a ricoprire questo incarico tra le confederazioni del Veneto, gestendo la fusione con Confindustria Padova che ha portato alla nascita della nuova associazione Assindustria Venetocentro - Questo mondo però ha bisogno di energia, gli stessi impianti di smaltimento e trattamento ne hanno bisogno. Il tema dell’energia è assolutamente strategico. Come Italia siamo totalmente dipendenti dall’estero, quella che riusciamo a produrre da fonti rinnovabili è estremamente marginale.
Qui si tratta di fare uno studio approfondito e di incentivare quanto prima, nuovamente, le energie rinnovabili e promuovere altri impianti fotovoltaici ed energy communities tra aziende. L’Italia ha fatto tanti anni fa la scelta di rinunciare al nucleare, oggi deve approvvigionarsi di gas da altri Paesi. Anche qui serve una transizione. L’energia elettrica va ancora a carbone in larga parte. Senza essere radicali, serve un piano che sia sostenibile e che traguardi al risultato senza lasciarci privi di energia, sarebbe estremamente deleterio”.

Il no al nucleare andrebbe rivisto, secondo lei, allo stato attuale delle cose?
“Indipendentemente da quella che può essere la mia idea, vedo cosa succede in Italia anche per quanto riguarda impianti diversi e di fatto non pericolosi. Il nostro è un Paese con l’effetto nimby – sottolinea Piovesana citando il “not in my back-yard” - nessuno vuole impianti vicino a casa propria.
Anche quando parliamo di un termovalorizzatore da costruire ex novo o da rinnovare, abbiamo sempre i comitati contro ed è complicato ricevere le autorizzazioni per poter fare. Perciò penso che questa disputa sull’energia nucleare lasci il tempo che trova: mi chiedo, nel momento in cui venisse definita un’area, chi riuscirebbe a ottenere le autorizzazioni”.
Qui, sottolinea ancora Piovesana, “ci colleghiamo a un tema importante: sono convinta che la transizione ecologia la faremo se ci sarà un forte commitment politico, perché oggi parliamo sempre della necessità di semplificazioni, ma volte credo che le semplificazioni siano un alibi: se le cose si vogliono fare, si fanno.
Anche se ci sono i comitati del “no”, la politica dovrebbe essere sufficientemente forte da decidere e da dire, indipendentemente dai voti, che se una cosa va bene per la comunità io la difendo. Non è che sia giusto o sbagliato il nucleare: la Francia ha deciso addirittura di incrementarlo, la Germania ha deciso invece di eliminarlo totalmente. In Italia è impossibile da fare”.

Distribuzione dei green jobs per regione
RAPPORTO GREENITALY 2021
I contratti relativi ai green jobs – con attivazione 2020 - rappresentano il 35,7% dei nuovi contratti previsti nell’anno. Andando nello specifico delle figure ricercate dalle aziende per le professioni di green jobs, emerge una domanda per figure professionali più qualificate ed esperte in termini relativi rispetto alle altre figure, che si rispecchia in una domanda di green jobs predominante in aree aziendali ad alto valore aggiunto.
A fine anno gli occupati che svolgono una professione di green job erano pari a 3.141,4 mila unità, di cui 1.060,9 mila unità al Nord-Ovest (33,8% del totale nazionale), 740,4 mila nel Nord-Est (23,6% del totale nazionale), 671,5 mila al Centro (21,4% del totale nazionale) e le restanti 668,6 mila unità nel Mezzogiorno (21,3% del totale nazionale).
La pandemia ha avuto un effetto asimmetrico sui diversi settori e comparti dell’economia: se molti hanno perso quote di reddito ed occupazione nel 2020, per altri c’è stata, invece, crescita o consolidamento. Il settore green rientra tra questi, avendo sostanzialmente confermato nel 2020 le performance del precedente anno sia in termini di investimenti (come visto in precedenza) sia di occupazione.
IL VENETO
Con 41.529 imprese green il Veneto è al terzo posto in Italia per numero assoluto di imprese che hanno investito o investiranno quest’anno in tecnologie e prodotti verdi. Per quanto riguarda le province venete Padova si colloca al primo posto Verona con 11.335 imprese, al secondo posto Vicenza con 9.494 imprese, Venezia con 6.609. Segue a poca distanza Treviso a quota 6.605. Un’ottima performance quella del Veneto, che vede ben tre delle sue provincie nelle prime venti posizioni a livello nazionale per numero di imprese che effettuano eco-investimenti. Ma i primati della regione non si fermano qui: con 113.395 nuovi contratti stipulati a green jobs per il 2020. Non a caso, tra le tante aziende citate nella ricerca, diverse hanno casa proprio in Veneto.
Nella filiera del legno arredo già oggi il 95% del legno viene riciclato per produrre pannelli per l’arredo, con un risparmio nel consumo di CO2 pari a quasi 2 milioni di tonnellate/anno. Anche il complesso mondo dell’edilizia si muove in questa direzione, favorita dagli incentivi statali per l’efficientamento degli edifici. Un percorso che sta avendo effetti benefici anche sull’occupazione del settore cresciuta di oltre 132.000 unità fra il 2019 e il 2021, di cui oltre 90.000 a tempo indeterminato.
Nelle strategie del settore tessile e moda, le soluzioni su cui ci si sta focalizzando sono legate anche all’eliminazione di sostanze tossiche e/o inquinanti dai tessuti, l’Italia è il primo paese al mondo nell’utilizzo della certificazione detox promossa da Greenpeace e all’impiego di materiali di origine naturale o rigenerati da tessuti pre e post consumo.

Graduatoria regionale secondo la numerosità delle imprese che hanno effettuato eco-investimenti nel periodo 2016-2019
Carraro: processo da governare, sennò ci travolge
Tornando al nodo-auto: le Confindustrie di Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte hanno chiesto “quanto prima un piano di politica industriale per la transizione del settore automotive che tenga in considerazione le esigenze delle aziende. Oltre alle risposte ai dubbi appena illustrati, il piano dovrebbe prevedere indicazioni su come colmare il gap delle competenze professionali e dovrà porsi l’obiettivo di frenare le spinte delocalizzatrici che saranno inevitabili nel momento in cui l’impresa valuterà più competitivo produrre in quei Paesi, al di fuori dell’Europa, dove sono già ampiamente utilizzate quelle tecnologie necessarie a rendere sostenibile l’elettrificazione, dove sono presenti le competenze per implementarla, e dove i vincoli burocratici non sono dettati dalle ideologie ma dal mercato. Non è attraverso politiche anti-delocalizzazioni che si attraggono imprese sul territorio italiano e si incentivano le imprese del settore automotive ad investire su una corretta transizione ecologica.
«Non è in discussione la transizione energetica e tecnologica, che le aziende sostengono con convinzione – dichiara Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto - La questione sono i tempi e i modi in cui questa viene implementata e che sono fattori strettamente collegati. Con un piano industriale ben definito nelle sue direttrici di sviluppo si può essere veloci perché sappiamo dove possiamo e dobbiamo andare. Se viene meno questo elemento, il rischio è essere travolti e non governare questo cambiamento epocale.
Il Veneto è tra i territori con maggiore presenza di fornitori di componentistica (l’8,6%) verso i maggiori gruppi automobilistici, in particolare tedeschi. La filiera è estremamente estesa (gomma, plastica, metallo leggero, ecc.) e con un modello di business che va oltre il mero prodotto, ma offre un servizio ad alto valore aggiunto. La trasformazione che è richiesta alle nostre Pmi deve prevedere un adeguato accompagnamento tecnologico, per rafforzare la propria competitività e mantenere intatto l’importante patrimonio di competenze e professionalità create in decenni di storia aziendale».
La strada del Gruppo Zoppas
«Collaboratori, dirigenti, fornitori: tutti siamo impegnati in un programma di riduzione del consumo energetico, in tutte le forme, in tutte le nostre aziende nel mondo». L’obiettivo è ambizioso, ma la galassia Zoppas sta lavorando con un cronoprogramma scandito: la sfida primaria di Zoppas Industries, nelle parole del presidente Gianfranco Zoppas, è diventare carbon neutral, azzerando completamente le proprie emissioni di anidride carbonica entro il 2050 e riducendole in modo estremamente significativo (-30%) già entro il 2025.
Il nostro cerca di essere un viaggio su come le imprese venete raccolgono una sfida che non sta solo negli incontri tra capi di Stato, anzi: affrontare il cambiamento climatico è un’azione che deve partire da tutti, imprese in prima fila. L’obiettivo della carbon neutrality, spiega il gruppo Zoppas, verrà raggiunto grazie a un processo ampio e articolato, iniziato da un’analisi della carbon footprint (“impronta di carbonio”, l’indicatore utilizzato per misurare la quantità di CO2 emessa) proseguito con la valutazione EcoVadis e l’adesione al CDP (Carbon disclosure project). A essere prima ridotte e poi azzerate saranno le emissioni derivanti da fonti di proprietà o controllate direttamente e le emissioni connesse con l’energia acquistata.
Non solo. Il gruppo Zoppas ha già avviato progetti con partner e fornitori affinché condividano e applichino gli stessi principi di sostenibilità così da intervenire in modo deciso anche sulle emissioni connesse all’attività dell’azienda. «Il mondo sta vivendo una vera e propria rivoluzione sostenibile, e noi vogliamo esserne protagonisti.
La sostenibilità è un imperativo categorico morale per chi fa impresa oggi», dice ancora Gianfranco Zoppas, «Abbiamo coinvolto tutte le nostre risorse, che ringrazio sinceramente, in un ambizioso progetto globale negli oltre 50 Paesi in cui siamo presenti. Azzerare le emissioni di CO2 è un obiettivo indicato chiaramente dall’Unione europea, che punta a essere “carbon neutral” entro il 2050, e noi siamo fermamente determinati a raggiungerlo. Sostenibilità, per noi, significa impegno ambientale, sociale, creativo, di responsabilità ed etica. Il futuro è già iniziato».
Zoppas Industries, gruppo industriale trevigiano che opera in Europa, Americhe e Cina, ha un fatturato aggregato di oltre 800 milioni di euro e 9.100 lavoratori complessivamente impiegati. Il gruppo comprende Irca Spa (Zoppas Industries heating element technologies, azienda leader nel mondo della componentistica e nella gestione del calore) e Sipa Spa, azienda leader nella progettazione e realizzazione di sistemi per la produzione di contenitori in Pet per il food & beverage, farmaceutico, cosmetico.
La filiera del legno
È la sfida più importante dei prossimi anni che il settore del legno arredo italiano, che a Nordest ha il primo polo produttivo del Paese, deve assolutamente vincere. Con un ambizioso obiettivo: «Essere la filiera leader mondiale di riferimento per la sostenibilità». Per contro mancare l’appuntamento «significherà, per le aziende, essere espulse dal mercato».
È il trevigiano Claudio Feltrin, presidente di Federlegno Arredo, a riassumere i contenuti dell’indagine “Legno-arredo italiano nella transizione ecologica” e il decalogo che traccia la road map dei prossimi anni verso la transizione ecologica. Decalogo che parla di «attenzione al ciclo di vita dei prodotti con l’obiettivo di allungarne la durata e quindi la sostenibilità; valorizzazione delle materie prime sostenibili; approccio progettuale esteso al sistema produttivo e all’ecodesign; recupero di materia ed energia».

Claudio Feltrin
Un impegno, spiega Feltrin, che parte «da una consapevolezza crescente sul valore dell’ambiente e delle sue risorse. In Federlegno abbiamo sempre inserito, tra le tematiche più rilevanti e strategiche per le aziende, quelle legate alla sostenibilità. Ora abbiamo realizzato una fotografia del settore dalla quale emerge una filiera che, in economia circolare, è già tra le più avanzate in Europa, fregiandosi di comportamenti virtuosi ma non sempre sistematizzati.
Mappare i percorsi avviati dalle imprese, dalla catena di approvvigionamento ai processi produttivi, dalla progettazione al fine vita dei prodotti, è stato il primo passo per tracciare la road map del settore verso la transizione ecologica e trasformare le sfide ambientali in opportunità di crescita».
L’Europa, spiega Feltrin, “mette a disposizione importanti risorse finalizzate alla riconversione green delle aziende, che andranno a sommarsi a investimenti, altrettanto importanti, da parte delle imprese. Ci attende un percorso né facile né breve, ma indispensabile. E chi tarda rischia di uscire dall’arena competitiva».
Per contro, spiega Feltrin, chi otterrà questa “patente di sostenibilità” beneficerà di un vantaggio competitivo. «Io credo che le aziende più avanzate lo vedranno da subito il vantaggio, determinato anche dalle scelte sempre più attente dei consumatori. Poi ci saranno le aziende che si adeguano e verranno integrate; quelle in ritardo temo saranno fuori tempo massimo».
E poi c’è il decalogo. «Sono i dieci passaggi fondamentali che abbiamo individuato che, nei primi mesi del ’22, diventano piano strategico e operativo. Prevederemo percorsi utili a far sì che le imprese presentino piani di trasformazione che possano accedere ai finanziamenti. Abbiamo l’ambizione di fare della nostra filiera un leader mondiale di riferimento per la sostenibilità». Non siamo però all’anno zero. «Assolutamente no. Abbiamo molte aziende eccellenti, i pannelli che utilizziamo nei mobili per il 93% provengono da legno riciclato. Su queste eccellenze dovremo fare leva».
Una situazione non senza spine: «Il nostro è spesso il Paese dei paradossi, siamo primi in Europa per recupero del legno, ultimi per lo sfruttamento di questo capitale naturale. Importiamo l’80% del legno che lavoriamo, abbiamo perso la filiera della prima lavorazione, tanto che dopo Vaja, abbiamo dovuto chiamare segherie dall’estero. Stiamo lavorando per avere politiche forestali più efficaci».
DALLE NAVI AGLI AEREI, LA SFIDA DEI TRASPORTI
Promuovere e rafforzare la cooperazione sul fronte dell’efficienza energetica tra i porti di Italia, Croazia e Slovenia. A Venezia gli scali dell’Alto Adriatico aderenti all’associazione NAPA-North Adriatic Ports Association (Venezia e Chioggia, Trieste e Monfalcone, Ravenna, Capodistria e Fiume) hanno sottoscritto un accordo alla presenza della commissaria europea ai Trasporti Adina Valean e all’omologo ministro italiano Enrico Giovannini. In linea con gli obiettivi stabiliti dal Green Deal Europeo e dal pacchetto legislativo approvato dalla Commissione Europea “FIT for 55”, l’accordo stabilisce che i porti Napa si impegnino ad una cooperazione transfrontaliera permanente volta a minimizzare gli impatti ambientali delle operazioni portuali nell’area del Nord Adriatico.
Molte sono già le iniziative in corso, come ad esempio quelle co-finanziati dall’Unione Europea, quali i progetti Clean Berth e Susport (Interreg Italia-Slovenia e Italia-Croazia) il progetto Ealing (Connecting Europe Facility), e dalle azioni pilota comuni tra tutti i porti. Rientrano in quest’ultime l’implementazione di misure e interventi per l’efficientamento energetico delle operazioni portuali, l’installazione di impianti per l’utilizzo di fonti energetiche alternative e per il monitoraggio del livello di rumore, della qualità dell'aria e dell'acqua in ambito portuale, nonché studi di pre-investimento per l’elettrificazione delle banchine.
Le navi green a zero emissioni sono la nuova frontiera sulla quale un colosso come Msc, oggi alleato di Fincantieri, è pronto a investire altri due miliardi di euro in Italia. Parliamo di idrogeno ma anche di gas naturale liquefatto (Gnl): sono le navi silenziose del futuro. Msc punta sull’alleanza stretta con Fincantieri con il quale ha appena inaugurato il terminal crociere di Miami. Con Fincantieri Msc da tempo sta studiando soluzioni sul fronte della sostenibilità delle crociere. Ad esempio il colosso cantieristico ha sviluppato con l’Icgeb di Trieste (il Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia) un sistema di sanificazione dell’aria di ultima generazione che è stato installato per la prima volta sulla Msc Seashore.
Il Ceo Piefrancesco Vago ha però rivolto una sorta di chiamata alle armi alle autorità di Bruxelles e al governo italiano affinché si trovino innovazioni tecniche adeguate, sul piano della sostenibilità, se si vogliono raggiungere le emissioni zero. Vago si riferisce alle infrastrutture tecnologiche (come l'elettricità nelle banchine) necessarie a reggere la riconversione energetica sulla quale oggi si naviga ancora a vista: «A parte Fincantieri, con la quale dialoghiamo, in Europa non c’è una società che abbia il know how delle fuel cell», ha detto Vago. Sarebbe come se possedere una Tesla ma senza le centraline dove ricaricarla.
Msc si è anche spinta negli Usa dove ha fatto un accordo con una società hi-tech che studia le tecnologie per fare funzionare i motori a idrogeno. Ma i vertici del gruppo si attendono molto dall’Europa e temono che Bruxelles all'improvviso smetta di finanziare le navi da crociera che producono C02.

Vincenzo Marinese
Anche il Pnrr dà una mano: sono in arrivo per l’Autorità di Sistema Portuale di Venezia 21,7 milioni di euro di finanziamenti per la realizzazione di nove progetti per l’efficientamento energetico e la produzione di energia da fonti rinnovabili negli scali di Venezia e Chioggia. Nel dettaglio, i Porti di Venezia e Chioggia si sono visti assegnare 11,6 milioni di euro per la realizzazione di impianti fotovoltaici presso i terminal Vecon, Terminal Rinfuse Venezia spa e Venezia Terminal Passeggeri, per l’elettrificazione delle banchine Veneto e Sali del Terminal Multiservice a Porto Marghera e per l’installazione di otto colonnine per l’alimentazione di energia elettrica per autovetture.
A queste si aggiungono le risorse riconosciute per gli investimenti dedicati allo sviluppo dell’idrogeno per complessivi 10,1 milioni di euro destinati alla realizzazione di una piccola centrale di produzione e della relativa stazione di rifornimento, all’acquisto di due locotrattori a idrogeno e di un mezzo nautico sempre a idrogeno, e infine la creazione di un punto di produzione di energia elettrica a cella combustibile nell’area Venice Newport Container & Logistics.
Anche Save, società che gestisce gli aeroporti di Venezia, Treviso e Verona, ha un piano sfidante anche per quanto riguarda la sostenibilità. L’asticella è fissata al 2030 quando la società punta a raggiungere l’uso al 100% di energie rinnovabili, risparmiando il 45% dell’energia oggi utilizzata in aeroporto, riducendo del 70% il consumo di acqua potabile e riutilizzando al 100% i rifiuti prodotti. Ma c’è di più, visto che Marchi ha annunciato che Save sta lavorando a un accordo con Snam e Airbus per far arrivare l’idrogeno prodotto a Marghera al Marco Polo. «Sia come vettore energetico sia perché entro il 2030 Airbus prevede di poter far volare i primi aeromobili a idrogeno».

IL LAVORO: LE FIGURE SPECIALIZZATE DELLA TRASFORMAZIONE
«Tra le figure specializzate ricercate, sempre più strategici stanno diventando i ruoli dell’ecodesigner e del packaging designer», spiega Gianfranco Zoppas, presidente di Zoppas Industries. Ma non solo: «Al contempo vogliamo puntare su risorse in grado di supportare la trasformazione in chiave 4.0 delle nostre divisioni. Questo per lo sviluppo di prodotti intelligenti che riducano il consumo sulle applicazioni finali». Così come la ricerca è sempre più orientata alla sostenibilità, così cambiano e si evolvono anche le logiche della produzione. «Oggi nelle aziende meccaniche è profondamente cambiato il modo di lavorare. Controlliamo le catene di produzione, le macchine, la loro manutenzione attraverso nuovi linguaggi e interfacce tra loro interconnessi. Per gestire tutto questo servono anche esperti di robotica, intelligenza artificiale, big data, digitalizzazione».
Le professioni a maggiore sviluppo di competenze green
Fra le professioni con competenze green, che vantano più di 10.000 attivazioni previste nel 202023, sono state individuatele dieci figure professionali più innovative o che hanno subito un processo di rinnovamento tale da poter essere considerate come “nuove” - con l’introduzione di nuove competenze o il sostanziale aggiornamento di quelle esistenti.
Muratore green. Il mercato delle ristrutturazioni edili, anche grazie agli incentivi di Stato, è diventato uno degli ambiti privilegiati della transizione ecologica ed energetica. Bonus e superbonus energetici, e bonus sismici per riqualificare il patrimonio abitativo sono diventati il nuovo volano di un settore che aveva fortemente rallentato, come quello dell’edilizia. Per sostenere questo nuovo mercato anche professioni tradizionali, come quella del muratore, devono misurarsi con nuove conoscenze e competenze green, sia per la messa in opera, sia per le tecniche costruttive e per i materiali. I professionisti di questo ambito sono quelli che impastano e lavorano la calce, alzano (o demoliscono) muri, si occupano delle stuccature, preparano le strutture per porte e finestre, posano i pavimenti, predispongono le tracce per gli impianti idraulici ed elettrici. Sono, per dirla in breve, quei professionisti che, seguendo e interpretando i disegni e le indicazioni dei progettisti, costruiscono o rigenerano le nostre case o i nostri luoghi di lavoro.
Responsabile vendite a marchio ecologico
La richiesta di prodotti certificati green è un’esigenza crescente. Da un lato sono cresciuti gli obblighi di legge per le pubbliche amministrazioni in fatto di criteri ambientali minimi (CAM) - che tenderanno ad essere sempre più estesi -, dall’altro anche le imprese e i privati hanno una propensione sempre maggiore verso la qualità ambientale del prodotto o del servizio. Ne deriva che l’offerta di prodotti e servizi certificati e con marchi di sostenibilità abbiano bisogno di professionisti adeguati alla loro commercializzazione. Questi tecnici della vendita e della distribuzione assumono, quindi, una nuova declinazione e ampliano le proprie competenze per rispondere a questa esigenza. Loro compito, infatti, è quello della rilevazione e ricerca di “customer satisfaction”, dell’analisi della segmentazione dei mercati clienti, della definizione dei target e delle leve di marketing per le fasi di lancio, posizionamento e sviluppo del prodotto. Devono quindi conoscere a fondo sia le caratteristiche proprie dei prodotti, ma anche le regole che normano le diverse certificazioni di qualità.
Riparatore di macchinari e impianti
Potremmo definire questa la professione principe dell’attuale economia circolare. Pur trattandosi di una professione già ben nota nella classificazione delle professioni, oggi assume un ruolo e un significato del tutto nuovo. Chi si occupa di manutenzione e riparazione realizza la possibilità di allungare il ciclo di vita dei prodotti, sottraendoli a un prematuro accantonamento o dismissione, anche nell’ambito delle industrie più pesanti. Il riparatore di macchinari e impianti lavora insieme al responsabile della manutenzione occupandosi della riparazione e della costruzione di elementi necessari al rispristino della funzionalità delle macchine e degli impianti. Effettua assistenza tecnica, offre assistenza ai clienti quando ci sono problemi di malfunzionamento e si occupa delle riparazioni e della manutenzione post-vendita. Spesso può ricorrere alla manutenzione attraverso l’uso di strumenti informatici -per cui è richiesto un buon livello di preparazione- e dovrà essere capace di risolvere le problematiche non solo sul piano strettamente meccanico.
Installatore di reti elettriche a migliore efficienza
La richiesta di professionalità particolarmente qualificate in tema di efficienza energetica e fonti rinnovabili, anche per impianti di piccola taglia e domestici, comporta un’attenzione e una formazione più profilata su questi aspetti rispetto al passato. L’installatore di reti elettriche si occupa di installare, manutenere e riparare impianti elettrici di immobili adibiti ad uso pubblico o privato. Spesso gli installatori operano con lo scopo di adattare impianti elettrici già esistenti installando linee, interruttori e prese. Questa figura professionale può operare anche come impiantista di cantiere, occupandosi in questo caso di quadri di controllo, prese e canaline con cavi elettrici.
Informatico ambientale
L’informatico ambientale effettua analisi funzionali, redige specifiche, realizza l’architettura del software, è responsabile dell’integrazione dei moduli software, sviluppa software e scrive i codici sulla base delle analisi effettuate a seguito dei progetti forniti. Lo sviluppo di software e applicazioni dedicate all’ambiente richiede professionalità specifiche che - oltre alle tradizionali competenze di settore- devono sviluppare una conoscenza specializzata dei nuovi ambiti, come per esempio il green building. Nel più generale panorama della categoria delle professioni classificate come “analisti e progettisti di software”, vi sono anche il bioinformatico e il geoinformatico. Il primo è ricercato già da tempo nell’ambito della biologia e della genomica; il secondo è ricercato e attivo già da anni - soprattutto nel mercato del lavoro estero – per l’applicazione dell’informatica alle scienze geologiche.
Esperto di marketing ambientale
Se si considera che l’aspetto ambientale è sempre più tra i fattori determinanti nella scelta di acquisto, è evidente come le professioni che garantiscano un percorso di sostenibilità a beni e servizi acquisiscano di anno in anno maggiore importanza. In questo contesto, l’esperto di marketing ambientale è una figura fondamentale nei processi produttivi e di commercializzazione sia di prodotti dichiaratamente sostenibili, sia di quelli - fra i più vari- che vogliono comunque essere in linea con la sensibilità ambientale. Questa figura affianca i diversi professionisti durante le fasi di sviluppo del prodotto, nella definizione delle strategie e degli approcci necessari a ottenere un prodotto che abbia alte prestazioni ambientali – ovvero ridotte emissioni, efficienza nel consumo di energia, materie prime certificate e un ciclo di vita sostenibile. Inoltre, incentiva il ricorso alle certificazioni e ai marchi di comprovata qualità ambientale, e ne verifica la coerenza. Gli esperti di marketing arrivano spesso da percorsi di studio e laurea in economia e marketing, ma una specializzazione nel settore ambientale offre garanzia di conoscenza approfondita delle tendenze e delle esigenze della cosiddetta transizione ecologica.
Ecodesigner
Già nel 2009 l’Unione europea aveva emanato una “direttiva ecodesign” per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia. Tuttavia, l’importanza di questa figura nel nostro Paese ha acquistato maggiore rilevanza negli ultimi anni. L’ecodesigner progetta prodotti e servizi che siano sostenibili e innovativi, avendo come obiettivo finale la riduzione dell’impatto ambientale, sia per quanto riguarda la produzione, sia per l’utilizzo e lo smaltimento finale o, meglio ancora, il riciclo/riuso. Questo professionista deve saper usare i programmi di CAD24 per i quali esistono ormai estensioni dedicate proprio all’ecodesign. L’ecodesigner, inoltre, deve unire alle conoscenze in fatto di design e progettazione quelle in ambito ambientale, con grande attenzione alla chimica dei materiali, ai temi del risparmio energetico e dell’economia circolare. Una laurea in architettura sembrerebbe la strada più promettente per una formazione di qualità, tuttavia è bene completare il proprio percorso formativo con master e corsi professionali specifici. Fantasia, creatività, capacità di lavorare in gruppo e problem solving sono attitudini imprescindibili.
Esperto in gestione dell’energia (ingegnere energetico)
L’ingegnere energetico è una figura imprescindibile del nuovo panorama energetico: il suo ruolo può esplicarsi dalla produzione fino al consumo finale dell’energia. Non solo nell’ambito delle fonti rinnovabili, ma soprattutto in quelli dell’efficientamento energetico, l’ingegnere energetico trova impiego nel campo pubblico e industriale, ma anche privato. Progetta e gestisce impianti in modo tale da ridurre i consumi di materie prime e di energia. I settori di applicazione sono quelli industriale, civile, agricolo e dei trasporti. L’iter di studi prevede la laurea e, per avere il titolo di ingegnere, l’iscrizione al relativo albo. Un Ege non deve necessariamente avere una laurea nel settore energetico, tuttavia, è preferibile esserne in possesso e magari essere veri e propri ingegneri energetici, poiché la Norma UNI CEI 11339 prevede un percorso di certificazione delle competenze basato sia sulle conoscenze teoriche possedute che sulle esperienze maturate nel corso degli anni.
Certificatore della qualità ambientale
Qualità sempre più spesso significa sostenibilità: l’Italia è tra i primi Paesi al mondo e in Europa per numero di certificazioni rilasciate da organismi accreditati. La certificazione accreditata dei sistemi di gestione ambientale è sempre più diffusa tra le imprese. Una delle motivazioni, per esempio, è stata l’adozione dei cosiddetti CAM (Criteri ambientali minimi) nei bandi di gara per gli acquisti verdi della pubblica amministrazione. In generale, però, i vantaggi che un’impresa può ottenere da una certificazione ambientale ottenuta sotto accreditamento riguardano diversi aspetti dell’attività aziendale: dalla riduzione dei propri impatti sull’ambiente fino - a detta delle imprese stesse- al miglioramento della reputazione aziendale, dei rapporti con gli stakeholder e del posizionamento competitivo.
Il rapporto Excelsior di Unioncamere
A confermare che le competenze legate a green e digitale sono ormai imprescindibili - tanto per entrare nel mercato del lavoro quanto per accompagnare le imprese nella trasformazione - arrivano le previsioni del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, delineate alla luce dei fabbisogni espressi dalle imprese per il medio termine 2021-2025. Entro il 2025, ci dice l’indagine, 6 lavoratori su 10 dovranno avere competenze green o digitali. Nei prossimi cinque anni, infatti, il mercato del lavoro avrà bisogno di almeno 2,2 milioni di nuovi lavoratori in grado di gestire soluzioni e sviluppare strategie ecosostenibili (il 63% del fabbisogno del quinquennio) e di 2 milioni di lavoratori capaci di utilizzare il digitale (il 57%).
«È una trasformazione guidata soprattutto dalle imprese che esportano in questo momento - commenta Claudio Gagliardi, vicesegretario generale di Unioncamere -, parliamo quindi dei settori della meccanica e della meccatronica. Questo significa, per il digitale, industria 4.0 e quindi internet delle cose: significa interconnessione e anche possibilità di sviluppare l’analisi su tanti dati, i big data. Le previsioni a medio termine, inoltre, mostrano che la domanda di competenze green riguarderà in maniera trasversale tanto le professioni ad elevata specializzazione e tecniche, quanto quelle che richiedono meno qualificazione». La spinta verso la transizione verde farà emergere la necessità di specifiche professioni come, ad esempio, il progettista in edilizia sostenibile, lo specialista in domotica, tecnici e operai specializzati nell’efficientamento energetico nelle costruzioni; il certificatore di prodotti biologici nell’agroalimentare; il progettista meccanico per la mobilità elettrica.
Ma la sostenibilità, come la cultura digitale, non è solo questione di competenze: è anche un modo di pensare e una visione, una forma di educazione prima ancora che di formazione. E ad accompagnare i giovani su questa strada virtuosa non può essere che la scuola. Sono molte le esperienze che incrociano già questi temi, sui quali gli istituti si stanno muovendo da tempo, ispirandovi tante progettualità e formando competenze specifiche.
I CASI AZIENDALI
Replay
Sostenibilità, trasparenza, digitalizzazione sono alcune delle parole chiave del percorso di trasformazione di molte aziende. Tra queste la trevigiana Fashion Box di Asolo, marchio Replay. «Siamo stati tra i primi a occuparci attivamente di sostenibilità nel mondo del denim – dice Matteo Sinigaglia, amministratore delegato di Fashion Box – ci lavoriamo dal 2013, abbiamo iniziato a trattare materiali con fibra organica, ora siamo entrati nel ciclo produttivo, lanciando il prodotto Reused: la fibra viene rigenerata usando gli scarti di produzione».
Scarpa
Scarpa, azienda di Asolo leader nella produzione di calzature da montagna e per le attività outdoor, ha varato un piano di investimenti da 12 milioni di euro destinati allo sviluppo del business, con un particolare focus su sostenibilità, internazionalizzazione e innovazione.
Il piano di investimenti è stato supportato da un finanziamento erogato da UniCredit, con intervento di garanzia parziale di Sace, nell’ambito di «Finanziamento futuro sostenibile».
Per quanto riguarda gli investimenti sulla sostenibilità, il piano varato dall’azienda - spiega una nota - prevede una serie di interventi che consentiranno di raggiungere alcuni target Esg (Environmental, Social and Governance). Tra questi, il rinnovamento e l’ampliamento degli impianti fotovoltaici installati nella sede di Asolo, che attualmente già consentono un risparmio di circa 320 tonnellate di emissioni di CO2 all’anno, e l’acquisto di Garanzie d’Origine da fonti rinnovabili certificate per una quota pari al 100% dell’energia elettrica utilizzata in Italia.
Sono previsti inoltre investimenti in nuovi macchinari che consentiranno di abbattere il consumo di energia e di migliorare l’efficienza energetica in ambito produttivo.
Diadora
Curioso raccontare cosa sta facendo Diadora sul piano della sostenibilità, tasto sul quale l’azienda di Caerano San Marco insiste molto: le “Mi Basket”, fra le scarpe più iconiche del marchio trevigiano, per la stagione primavera-estate 2022 sono anche realizzate in un materiale alternativo alla pelle, ricavato dalla buccia d’uva. «La sostenibilità per noi dev’essere nel prodotto ma non solo – ha spiegato il presidente Enrico Moretti Polegato – è l’azienda stessa a dover essere sostenibile, dai materiali all’energia passando per le condizioni di lavoro». Un processo passato anche per la certificazione EcoVadis, che colloca Diadora nel top-0,5% delle imprese valutate, e che analizza anche tutta la supply-chain. I dettagli sul metodo di produzione a partire dagli scarti della vinificazione verranno illustrati al lancio ufficiale del prodotto, spiegano a Caerano.
Diesel
L’ultima collezione del marchio di Renzo Rosso, Diesel Library, incarna un nuovo approccio a un concetto di design più genderless, portando la sostenibilità al primo posto nella lavorazione, una fusione della competenza di Diesel in fatto di denim con le innovazioni verso un futuro sostenibile. Ogni pezzo di Diesel Library è realizzato per minimizzare l'impatto, incorporare cotone proveniente da fonti sostenibili e altri materiali e finiture rispettosi dell'ambiente, come anche lavaggi e trattamenti pensati per limitare l'uso di acqua e prodotti chimici. Questi comprendono: pietra pomice alternativa, trattamenti all'Ozono e di nebulizzazione e tinture minerali.
Sirmax
La padovana Sirmax, produttrice di compound di polipropilene, tecnopolimeri, compound da post-consumo e bio-compound per i più vari settori di applicazione, lavora da anni per dare al mercato plastica sostenibile: i suoi prodotti altamente performanti ottenuti da plastica riciclata da post-consumo diventano beni durevoli per i settori dell’automotive e dell’elettrodomestico; i compound bio-degradabili e bio-compostabili aprono nuove frontiere per il packaging, per l’alimentare e per l’agricoltura. Sirmax anticipa il mercato con idee innovative e sostenibili, proponendo al cliente non solo un prodotto, ma un intero processo sostenibile, con nuove tecniche di stampaggio e co-progettazioni. L'azienda è stata citata da Newsweek fra le aziende più innovative e sostenibili d’Italia.
Labelless
Labelless srl, società bellunese di abbigliamento etico e sostenibile e di stampe serigrafiche volte a lanciare un messaggio contro l’etichettamento sociale, la disgregazione e la discriminazione, ha detto no al “Black Friday”, aderendo alla campagna nazionale dei “Green Friday”. «Non c’è iniziativa peggiore dei “venerdì neri”!”», spiega Gabriele Kratter Stabile, uno dei due giovani (21 anni) soci fondatori. «In queste giornate sono prodotte quantità di rifiuti senza precedenti. Così, la nostra azienda, nel rispetto dei valori dell’etica e della sostenibilità ambientale, ha deciso di opporsi, alzando simbolicamente i prezzi dei capi d’abbigliamento in vendita sul nostro shop online».
È una novità che piace quella apportata dalla Labelless, specie tra i giovani che stanno condividendo il duplice messaggio, sociale e ambientale, attraverso l’acquisto di magliette e felpe costituite da cotone biologico, coltivato senza alcuna componente sintetica e prodotti in aziende che rispettano i diritti dei lavoratori. I capi d’abbigliamento provengono dalla Continental Clothing, società britannica con sede in Bangladesh, città simbolo dello sfruttamento lavorativo. «Siamo convinti che la strada sia quella giusta», conclude Kratter. «Le nostre linee d’abbigliamento, con stampe serigrafiche (realizzate in collaborazione con la Beeink di Belluno), stanno andando a ruba e i giovani aderiscono al nostro messaggio. Ora stiamo cominciando un percorso per far conoscere la situazione del settore dell’abbigliamento e sensibilizzare la popolazione alla cultura eco-sostenibile. Vivere e raccontare il nostro viaggio al pubblico sarà un momento significativo e determinante per il futuro della nostra azienda e per sensibilizzare sull’importanza di un comportamento responsabile nelle scelte quotidiane e negli acquisti».
Electrolux
«L’85% delle emissioni di CO2 nel ciclo di vita degli elettrodomestici vengono prodotte con l’utilizzo delle apparecchiature». E dunque se l’obiettivo è ridurre le emissioni, «è necessario sviluppare elettrodomestici con migliori prestazioni ambientali, a più basso consumo di acqua e di energia».
E’ Jonas Samuelson, ceo di Electrolux, a indicare la direttrice verso la quale la multinazionale svedese, con quartier generale per l’Italia a Porcia, 5 stabilimenti produttivi per oltre 5 mila addetti, oltre che a Porcia a Susegana, Solaro, Forlì e Cerreto d’Esi, si sta muovendo.
E per raggiungere il risultato il Gruppo ha deciso di investire 250 milioni di euro, provenienti da un prestito della Bei, la Banca europea per gli investimenti, per sostenere la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione su elettrodomestici più efficienti dal punto di vista energetico.
Luxottica
EssilorLuxottica sta puntando molto sull'autoproduzione di energia pulita, che costituisce una leva importante per raggiungere la carbon neutrality delle sue attività aziendali (emissioni Scope 1 & 2) entro il 2025, obiettivo che l'azienda si è prefissata nella propria roadmap di sostenibilità. In questo contesto, l'investimento più significativo è quello sul fotovoltaico, con impianti attivi nei principali stabilimenti italiani (Agordo, Sedico e Lauriano) e con un piano di sviluppo in altre aree, in Italia e nel mondo, per il 2022.
Senza tenere conto degli impegni di quest'anno, già nel periodo 2015-2021 l'azienda ha più che quadruplicato la quantità di energia da fonte rinnovabile autoprodotta. EssilorLuxottica ha insomma un orizzonte ben preciso e sta muovendo tutte le leve necessarie per raggiungerlo. Partendo da un assunto, che campeggia anche nel sito istituzionale: «Questo pianeta appartiene a tutti noi e sta a tutti noi prendercene cura. Insieme, individualmente forti, ma ancor più se uniti. Con una visione ed una mission: aiutare le persone a vedere meglio e vivere meglio».
Rossignol
Tema centrale in fatto di sostenibilità è quello del riciclo e del “fine vita” dei prodotti. «Ci stiamo assumendo la nostra responsabilità di fronte alle immense sfide della conservazione dell’ambiente - dichiara Vincent Wauters, ceo di Rossignol Group, che ha uno stabilimento a Montebelluna - Ci stiamo anche muovendo per costruire delle partnership, attualmente con MTB ma ne arriveranno altre, in relazione alla gestione del fine vita dei prodotti. Questo si inserisce nella nostra ambizione etica di promuovere lo sviluppo sostenibile, l'inclusività e i benefici della montagna per tutti».
Mastrotto
Da quest'anno il 100% dell'energia elettrica acquistata dal Gruppo Mastrotto è certificata da fonti rinnovabili. «In questo modo - spiegano dall’azienda di Arzignano (Vicenza) - otteniamo una riduzione delle emissioni di CO2 di oltre 5.000 tonnellate all'anno, pari al 21% del totale ed all’azione di 250.000 alberi nell’assorbimento di C02». Continua così l'impegno di Gruppo Mastrotto all’insegna della sostenibilità, per la tutela dell’ambiente e il rispetto delle persone, espresso dalla policy aziendale “Sustainability, next level”, che presenta le molte iniziative dedicate a questi temi e i risultati raggiunti. «Il Gruppo già da diversi anni ha infatti deciso di intraprendere, attraverso investimenti pianificati, un percorso per ridurre sempre di più l’impatto ambientale delle produzioni, consapevole che lo sviluppo industriale debba passare attraverso modelli più sostenibili».
A questo si aggiunge il conseguimento della certificazione internazionale Gold Rated Lwg per gli stabilimenti di Arzignano e per quello di Santa Croce sull’Arno. La certificazione, ideata e promossa dal Leather Working Group (Lwg), è finalizzata a individuare in ambito internazionale le best practices nel settore della lavorazione della pelle, con riferimento ai temi del rispetto dell'ambiente . Guidato dalla presidente Chiara Mastrotto, il Gruppo conta 2.000 dipendenti e ha chiuso il 2020 con ricavi per 303,16 milioni di euro, un Ebitda di 49,77 milioni e un utile di 22,11 milioni di euro.
FINANZIAMENTI “VERDI” E SERVIZI ALLE IMPRESE
Anche gli istituti di credito premiano in modo ormai sistematico gli investimenti green. Come nel caso – ma sono davvero tanti – della trevigiana Grafiche Antiga. C’è proprio la sostenibilità al centro del progetto di crescita di Grafiche Antiga finanziato da Intesa Sanpaolo con 2,5 milioni di euro, assistito dalla Garanzia Green di Sace.
L’operazione è finalizzata all’acquisto di una nuova macchina da stampa ecosostenibile. Si tratta dell’ultima nata in casa Koenig & Bauer, azienda tedesca leader nel mondo in questo settore, con un’ottica volta a rendere i prodotti sempre più green. I vantaggi ambientali sono molteplici e consistono in un risparmio del 70% dei liquidi per il lavaggio, forno di essiccazione con risparmio energetico fino al 50%, motore con riduzione consumi energetici del 10%, minore tempo di funzionamento grazie alla maggiore velocità (stampa 20/m copie all’ora con 10 colori, un assoluto “record di velocità” nel settore della stampa a foglio) e un sistema di diagnostica evoluta che richiede un minor numero di minori interventi tecnici.
I servizi
Negli ultimi anni, oltre alla sostenibilità, si è iniziato a parlato di ESG (Environmental, social e governance), i criteri che si utilizzano in ambito economico per analizzare un investimento non solo da punto di vista puramente economico, ma anche aspetti di natura ambientale, sociale e di governance. È sempre più chiaro che la strada della sostenibilità non sia soltanto la scelta giusta da compiere, ma anche quello che un numero crescente di consumatori e di investitori chiede. In particolare, in questo momento storico in cui il Green Deal trasforma la gestione della sostenibilità da volontaria (voluntary) a obbligatoria (mandatory), motivo per cui le aziende si stanno sempre più attrezzando per affrontare questa nuovo sfida.
Per questo Community, il Gruppo leader italiano nella consulenza strategica in tema di reputazione, con sedi a Treviso, Milano e Roma, ha lanciato “PurPle - The Science of Why”, il primo competence hub sugli Esg che supporta le aziende e le organizzazioni nell’elaborazione di progetti di sostenibilità a 360°, grazie ad un network di partner leader nei rispettivi settori: BDO Italia, tra le principali organizzazioni internazionali di consulenza e revisione con un focus sulla realizzazione di piani di sostenibilità integrati, Gianni & Origoni, uno degli studi legali internazionali leader in Italia, Reputation Manager, la società di riferimento in Italia per l’analisi e la costruzione della reputazione online big data driven, Reputation Science, la prima società italiana in grado di gestire in modo scientifico e integrato la reputazione e Serviceplan Group, il più grande e diversificato network indipendente di comunicazione in Europa.
L’innovativa iniziativa nasce come “one stop shop”, uno sportello unico in grado di offrire una consulenza integrata: dall’identificazione di rischi e opportunità legati alla sostenibilità, passando per la progettazione e lo sviluppo di politiche e piani operativi di sostenibilità, fino all’ideazione e realizzazione di piani di comunicazione integrati. In particolare, la nuova realtà fornirà servizi multidisciplinari come la progettazione di piani di assessment, la definizione di strategie ESG compliant, la redazione di bilanci di sostenibilità e piani di comunicazione, e ancora accountability, stakeholder engagement, consulenza legale, governance, sviluppo di piani di welfare aziendale, campagne creative e attività di ingegneria reputazionale.
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