Montagna viva: gli Stati generali vedono il futuro
Partecipato incontro a Belluno: l’evento organizzato da Corriere delle Alpi e Nordest Economia disegna gli scenari del domani alla luce dei cambiamenti climatici
Alessia Forzin e Francesco Dal Mas
Il cambiamento climatico deve essere affrontato e governato. Servono coraggio e determinazione per garantire un futuro alla montagna e al turismo, che fa vivere le valli e fa rimanere abitato il territorio.
Servono servizi, perché li chiedono i cittadini e i turisti; è necessario differenziare l’offerta, puntando sulla destagionalizzazione che garantisca flussi tutto l’anno; lo sci rimane il core business, ma non può più essere l’unico asset sul quale puntare.
Spunti di riflessione emersi giovedì 16 febbraio nel convegno “La nuova montagna”, promosso dal Corriere delle Alpi e Nord Est Economia per affrontare la sfida epocale che tutti noi abbiamo davanti: quella del cambiamento climatico, appunto. Che costringe a ripensare modelli di sviluppo non solo per rimanere competitivi sul mercato, ma anche e soprattutto per far sì che le comunità restino a vivere in montagna.
«Una montagna senza presenza umana non ha futuro», ha premesso il presidente della Regione, Luca Zaia, nel videomessaggio di saluto. E per tenere le persone a vivere nelle terre alte ci sono due cose da fare: «Investire in opere contro il dissesto idrogeologico e mantenere i servizi».
Cosa fare le le Terre Alte
«Che cosa vogliamo fare di questi territori a forte vocazione turistica di fronte al cambiamento climatico?».
Eccola, la domanda delle domande, lanciata alla platea (un centinaio le persone presenti in sala a Palazzo Bembo) dal direttore dei quotidiani veneti di Gedi e di Nord Est Economia, Fabrizio Brancoli. «Come ci regoliamo, come ci possiamo adattare al clima che cambia?».
Il tema, ha proseguito la presidente di Confindustria Belluno Dolomiti Lorraine Berton, è fondamentale. «In un decennio il manto nevoso sulle Alpi si è ridotto del 5,6%. Il mondo è in trasformazione, cambiare è una scelta obbligata».
Confindustria è già al lavoro con progetti di ricerca e, in maggio, un seminario su come i cambiamenti climatici impatteranno sulla distribuzione della popolazione in provincia. «Belluno ha tutte le carte in regola per diventare punto di riferimento sull’impatto che i cambiamenti climatici hanno e avranno sul territorio e le comunità che lo abitano».
Il futuro delle imprese del turismo montano
La riflessione è quanto più necessaria perché sul territorio c’è chi fa impresa. E c’è chi viene ad investire anche da fuori: «Siamo fortunati che ci siano queste persone, sarebbe gravissimo che qualcuno si allontanasse dal territorio per alcune dichiarazioni insensate che ho letto in questi giorni, come “La testa è fuori dal territorio”», la stoccata di Berton legata alle uscite sulle crisi aziendali di stringente attualità. «Belluno è nel mondo per il suo turismo, ma anche grazie alla manifattura».
Bisogna puntare sui servizi
Dopo i saluti dell’assessore del Comune di Belluno Paolo Luciani, il convegno è entrato nel vivo con il panel politico-amministrativo. «Viviamo già nel futuro. E queste terre non possono permettersi di rimanere indietro», il messaggio lanciato dal condirettore dei quotidiani veneti di Gedi, Paolo Cagnan, per introdurre gli ospiti.
Guidati dal vicedirettore, Luca Traini, l’assessore regionale Francesco Calzavara, il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin e il presidente di Uncem Marco Bussone, hanno ragionato sul futuro della montagna.
Fondamentale è «dare servizi», ha detto Calzavara, come la connessione internet. Lo è nel post pandemia, che ha aperto la strada allo smart working e, quindi, alla possibilità che alcune fasce di lavoratori decidano di spostarsi a vivere in contesti più piccoli, a contatto con la natura. In montagna, magari.
A favorire il trasferimento, del resto, può essere proprio il cambiamento climatico, ha aggiunto Padrin: «Si fa sempre più fatica a vivere in pianura, per l’innalzamento delle temperature. Ma ovviamente a chi vive nelle terre alte dobbiamo garantire servizi, trovando le risorse necessarie».
L’evento Olimpiadi va sfruttato anche in questo senso, secondo il presidente della provincia di Belluno: «Non dobbiamo pensarlo solo come a 15 giorni di gare», ha aggiunto Padrin. Ma come un evento che porterà infrastrutture. E che si può “sfruttare” anche per migliorare gli impianti di risalita, in tutta la provincia.
Parola chiave: differenziare l’offerta
Proprio gli impianti sono nel mirino di Marco Bussone, che nei giorni scorsi ha scatenato un certo dibattito nel porre una questione: definrie la quota sotto la quale non vale più la pena investire risorse pubbliche per far sciare gli appassionati. «Dire che in futuro dappertutto avremo la neve per sciare non è possibile», la sua premessa.
«Scegliere oggi su dove investire o meno nell’innevamento artificiale significa guardare al futuro». Un futuro in cui, per Bussone, si deve puntare a migliorare il sistema dell’accoglienza turistica e a «differenziare l’offerta». Senza «dare mancette al territorio», ma con una politica che sappia affrontare i problemi e trovare le risposte che servono.
Anef: la neve resta il fattore trainante
«Oggi dire “Non investiamo più sul sistema neve” sarebbe un suicidio». A vedere ancora tante opportunità nello sci e nell’indotto che garantisce è stata Valeria Ghezzi, presidente nazionale di Anef, che ha aperto il secondo panel, moderato dalla giornalista di Nord Est Economia Roberta Paolini.
Come coniugare sviluppo e sostenibilità? Per Ghezzi si sbaglia approccio: «L’impianto di risalita è un mezzo di trasporto per raggiungere per terre alte. Ed è sostenibile, perché funziona a energia elettrica, nel 90% dei casi rinnovabile. Il tema della sostenibilità è più ideologico che reale». Fatta questa premessa, Ghezzi ha ricordato che «la montagna deve rimanere abitata, e per fare questo servono le infrastrutture. Il vero problema è costruire bene, con criteri che sono ben presenti nei nostri imprenditori». La neve «è ancora un fattore chiave e trainante del turismo e dell’economia dei nostri territori. Certo, non può essere l’unico», ha aggiunto.
Ma è anche vero che «nessun privato investirebbe sull’impiantistica sciistica che avesse anche solo il minimo dubbio che nel 2050 non ci sarà più neve per sciare». Anche Ghezzi ritiene sia importante destagionalizzare e garantire servizi che vanno oltre lo sci, ma più che di «riconversione del prodotto turistico» preferisce il termine «evoluzione». È capitato, in passato, che non nevicasse. «1988, ’89 e ’90: due inverni senza neve e senza impianti di innevamento artificiale», ha ricordato. Allora gli impiantisti capirono che dovevano evolvere, e investirono sui cannoni prima, i laghi da cui pescare l’acqua poi.
Cambiare radicalmente approccio
Diametralmente opposto il pensiero di Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente: «Prima si poteva pensare di risolvere la mancanza di neve usando quella artificiale. Oggi dagli studi scientifici emerge che investire su impianti a bassa quota non conviene». Lazzaro invoca un cambio di passo, un modello di sviluppo diverso con un’offerta diversificata».
Uno sviluppo «che difenda i valori e l’integrità del territorio», quello proposto dalla Fondazione Dolomiti Unesco e dalla sua direttrice Mara Nemela. E che non faccia della montagna «un quartiere della pianura», ha concluso Renato Frigo, presidente del Cai Veneto. «La montagna è cambiata e il cambiamento va governato. Bisogna offrire servizi, saper usare gli spazi in modo corretto senza sovraccaricare alcune zone. Gli impianti di risalita? La montagna è sopravvissuta grazie ad essi, ma occorre individuare un limite oltre il quale non spingersi, perché la montagna non può essere urbanizzata come la pianura».
Osservatorio Jfc: le tendenze del mercato
Nel 2022 il fatturato generato dal comparto sci è cresciuto di 770 milioni rispetto all’anno precedente. Ma questo dato, seppur positivo, non sarà sufficiente per coprire l’aumento spropositato dei costi dell’energia. A scattare la fotografia, numeri alla mano, è stato Massimo Feruzzi di JFC, società che realizza l’Osservatorio sul turismo montano.
Intervistato dal condirettore dei quotidiani veneti di Gedi, Paolo Cagnan, Feruzzi ha illustrato cosa serve alla montagna per attrarre turisti: «La location è la base, è importante, ma può andare bene la prima volta che un turista arriva in una zona. Poi servono altre cose: servizi».
Intesi come connessione digitale, mobilità, offerte diverse dallo sci, la possibilità di fare esperienze nei rifugi, da raggiungere con passeggiate o escursioni con le ciaspe.
Lo sci tiene, nel 2022, calano gli appassionati di snowboard mentre sono in crescita lo scialpinismo e le discipline outdoor libere, ovvero quelle che non richiedono particolari attrezzature (passeggiate, escursioni con le ciaspe, winter trekking). «Abbiamo registrato un aumento forte di persone che vogliono vivere la montagna in modo lento, anche lontano dalla folla», ha detto Feruzzi. «Allo stesso tempo molti cercano occasioni di socializzazione, preferendo fare il loro periodo di vacanza nei momenti di punta della stagione».
In entrambi i casi si vuole vivere e poter raccontare un’esperienza, e allora è fondamentale investire in quello che i clienti chiedono: aumentare le possibilità di fare esperienze outdoor, diversificare l’offerta, lavorare a servizi dedicati alle famiglie.
«Belluno città pilota sulla sostenibilità delle terre alte»
In vista delle Olimpiadi della sostenibilità, ecco la prima concretizzazione: Belluno capitale degli studi sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Sulle alternative, cioè, di sviluppo – specie turistico – da implementare nel territorio a seguito, per esempio, della siccità, della carenza di neve, del bosco che si alza di quota, delle temperature sempre più alte. E chi si propone in testa a questi studi?
Confindustria Belluno Dolomiti, che, si sa, ha anche il coordinamento dei grandi eventi in preparazione dei Giochi. Il programma lo ha anticipato al nostro convegno la presidente Lorraine Berton. Gli imprenditori hanno piena consapevolezza delle conseguenze del clima che cambia sullo sviluppo economico.
«Confindustria è stata la prima a lanciare, ancora tanti anni fa, l’allarme denatalità. Da tempo poniamo il problema dello spopolamento della montagna. Bene, abbiamo mai approfondito come e quanto i cambiamenti climatici acuiranno questa problematica? Denatalità e desertificazione demografica delle terre alte? Lo faremo noi, con alcune iniziative già programmate».
Quali sono?
«Come Associazione, insieme a Fondazione Enel, abbiamo promosso un progetto pilota a livello nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che è servito per elaborare uno strumento utile alla programmazione e alla gestione del territorio: non posso negare che siamo rimasti stupiti dal fatto che nessun amministratore pubblico, e sottolineo nessuno, si è fatto vivo per capire se e come cogliere questa opportunità».
Ma davanti a quanto succede non si può tirare i remi in barca.
«Certo, noi non lo fare. Sul tema dell’impatto del cambiamento climatico, Confindustria Belluno Dolomiti continuerà a lavorare e vi anticipo due iniziative».
Quali sono?
«A inizio maggio organizzeremo un seminario insieme all’Associazione “Riabitare l’Italia” con l’obiettivo di rispondere a un interrogativo decisivo: se e come i cambiamenti climatici impatteranno sulla distribuzione demografica e come i territori devono prepararsi a questi cambiamenti. Ci sarà un ritorno verso le Terre Alte? Su questo dobbiamo iniziare a riflettere per adottare strategie adeguate».
L’attrattività della montagna dipenderà in futuro proprio dal clima, da come cambierà. Ma un convegno non basta.
«Ecco, infatti, la seconda iniziativa: riguarda l’avvio di attività di ricerca applicata. Se – come appare ormai probabile – riusciremo ad attivare un corso di laurea in informatica con l’Università di Verona, è nostra intenzione promuovere progetti di ricerca con Fondazione Enel e altri partner scientifici. È del tutto evidente che questa attività alimenterebbe e, al contempo, si alimenterebbe attraverso l’ecosistema dell’innovazione che stiamo realizzando e che troverà proprio qui, a Palazzo Bembo, il suo centro nevralgico. Belluno avrebbe così tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento – o “il” punto di riferimento – a livello nazionale ed europeo sull’impatto dei cambiamenti climatici in montagna».
Magari in collaborazione con Venezia che punta a diventare la capitale della sostenibilità…
«E Belluno della sostenibilità delle terre alte. Ma, come ho sollecitato nell’intervento al convegno, chiedo ai rappresentanti delle istituzioni: siete disponibili a lavorare insieme a noi su questo progetto, così come abbiamo fatto su altre recenti iniziative?».
È in qualche misura preoccupata che non ci sia questa disponibilità?
«È impossibile che non ci sia. La do per scontata. Siamo convinti che solo se pubblico e privato lavoreranno insieme, con spirito propositivo e collaborativo, riusciremo a cogliere le opportunità del cambiamento, per il bene delle nostre comunità e del nostro territorio. Abbiamo già dimostrato di saperlo fare».
D’altra parte i cambiamenti climatici chiamano in gioco tutti. Proprio tutti. Il convegno lo ha detto chiaro e tondo.
«Lo studio è il più recente in materia. Alcuni ricercatori hanno dimostrato che negli ultimi 50 anni le Alpi hanno registrato una riduzione del 5,6% per decennio del manto nevoso: l’attuale durata è così inferiore di 36 giorni rispetto alla media a lungo termine degli ultimi 600 anni. Di fronte a queste evidenze scientifiche dobbiamo prendere atto che viviamo in un mondo in trasformazione e che quindi è il cambiamento non è un’opzione, ma una scelta obbligata. Non solo nel settore turistico, ovviamente. Per questo servono iniziative come questo convegno, perché del tema si parla ancora troppo poco e spesso in modo superficiale e contraddittorio».
Le piccole stazioni hanno un ruolo sociale
«L’adattamento ai cambiamenti climatici non può significare che di brutto il Nevegal debba rinunciare ai propri impianti, il monte Avena ai suoi, Forcella Aurine a quanto di strutture le rimane. Costruire un’alternativa è doveroso, ma richiede tempo».
Lo afferma Lionello Gorza, dopo aver ascoltato gli interventi al convegno sui cambiamenti climatici. «Sono consapevole che di neve, alle nostre quote, ce ne sarà sempre meno», afferma Gorza, presidente del Consorzio Turistico Dolomiti Prealpi, amministratore della Birreria Pedavena, componente della società che gestisce gli impianti sul Nevegal.
«Ma se già domani chiudessimo gli skilift e le seggiovie alle nostre quote condanneremmo queste località alla morte».
Quindi è saggio continuare ad investire? Gorza premette di volerci ragionare con pragmatismo. I grandi investimenti, alle quote di cui si parla, sono improponibili. Vanno invece garantiti i sostegni per continuare l’attività tradizionale fino a che non matureranno le alternative. Anche perché – annota Gorza – il Nevegal, il monte Avena e Forcella Aurine costituiscono, al momento, un presupposto sociale che è irrinunciabile per i grandi Consorzi, primo fra tutti il Dolomiti Superski.
«Anzitutto portiamo in pista persone, famiglie, gruppi che non potrebbero permettersi i costi degli abbonamenti dei grandi hub. Quindi svolgiamo un’indispensabile attività sociale. E attraverso questo approccio consentiamo a chi si appassiona di salire più in quota, di praticare lo sci ai livelli più alti». Il problema è, secondo Gorza, che la politica ha i fari accesi soltanto su Cortina e dintorni. Lamenta, l’operatore, che ad esempio la Regione non abbia concretizzato la promessa del bando per i piccoli poli. Si dice anche preoccupato che le tanto decantate Olimpiadi, come opportunità di crescita per l’intero territorio, concentrino il loro interesse soltanto su Cortina.
«Se i Giochi del 2026 vogliono per davvero promuovere la sostenibilità, perché non ci si aiuta – chiede Gorza – a studiare, definire ed implementare le possibili alternative di pratica turistica?».
In questo senso è davvero grossa, come la definisce, l’aspettativa per quanto potrà fare la Dmo.
«Ancora non intravvedo politiche serie di turismo praticabile che venga incontro, appunto, alle esigenze dell’adattamento climatico. Politiche di sviluppo che coinvolgano, auspicabilmente, l’intera provincia di Belluno, non soltanto segmenti della stessa».
Gorza ha il merito di aver rilanciato la Birreria di Pedavena, che sembrava obsoleta, in esaurimento. Si tratta di un’esperienza straordinaria di riscatto delle terre alte, che potrebbe fungere da modello in altri territori della provincia, dove si pone la necessità di contrastare l’irrilevanza, se non addirittura lo spopolamento.
«Abbiamo fatto di questo impianto un mix di proposte commerciali, sociali, perfino culturali puntando alla popolarità. Attenzione, non una banalizzazione popolare, ma un fatto di popolo, che può essere abitato da tutti nella dignità. Ecco, è vero: situazioni analoghe sono ripetibili in Nevegal, in altri centri. Bisogna però avere occhio. E anche poter contare su un minimo di supporti».
Attenti a non sottovalutare la centralità dello sci
Vivo interesse a capire come la montagna sta cambiando, per quanto tempo ancora si potrà sciare; se la siccità si ripeterà e se le temperature sempre più alte recheranno danno alle terre più alte o se, al contrario richiameranno genti dalle città strette dalla calura.
Il parterre di autorevoli operatori ed amministratori ha registrato, a Palazzo Bembo, presenze ben oltre quelle prevista. Tale era l’attesa, E nessuno si è mosso dal proprio posto prima che si concludessero le due ore di puntuale confronto. Con commenti nient’affatto scontati, alla fine.
Nessun negazionista rispetto ai cambiamenti; semmai l’esigenza di ulteriori riflessioni per maturare scelte che siano davvero sagge. «Magari con ulteriori, auspicabili iniziative», suggerisce Ester Cason Angelini, dell’omonima Fondazione, «che aiutino i giovani a prendere ulteriore consapevolezza della posta in gioco. Perché il futuro della montagna bellunese li deve vedere protagonisti anche negli adattamenti ai cambiamenti climatici, visto che dovranno essere loro a ri-abitare le terre alte».
Per Ennio Vigne, presidente regionale dell’Uncem e del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, non ci sono dubbi: «Non si è trattato del solito convegno, ma di un’opportunità che proprio ci voleva: per approfondire, discutere e programmare il futuro». I cambiamenti climatici sono, a suo avviso, sotto gli occhi di tutti. «Il 2030 è domani, se sbagliamo le scelte in questo momento compromettiamo il nostro futuro».
Dopo la presa d’atto, però, bisogna individuare le risposte. «E non si dica – quasi ammonisce il presidente Vigne – che ci mancano le risorse economiche. La provincia di Belluno non ne ha mai viste tante. E abbiamo una vetrina che tra qualche anno ci metterà al centro del mondo. Non possiamo sbagliare. Dobbiamo abituarci a fare squadra di più, e sulla base degli spunti di questo convegno, che sono stati rilevanti».
Alternative, si diceva. «Il futuro è sicuramente il Parco presente nel territorio, che diventa un volano economico. Un territorio tutelato diventa appetibile per il turista. Dovremo acquisire una mentalità turistica anche nelle zone non vocate».
Andrea De Bernardin, sindaco di Rocca Pietore, vive nel cuore del clima che cambia: ai piedi della Marmolada. «Il ghiacciaio della Marmolada l’ho visto ritirare nel corso degli anni, ci vivo sotto per molti mesi d’estate, è visibile ad occhio nudo che si sta ritirando», testimonia. E proprio lui, in Val Pettorina, ha vissuto in prima persona il disastroso evento di Vaia. «È un’altra dimostrazione dei cambiamenti climatici, così pure le semi-alluvioni che abbiamo avuto dopo Vaia, quindi bisogna prendere atto di tutto questo. Credo però», aggiunge il sindaco, «che la montagna vada vissuta; non possiamo partire tutti dalle quote più alte e venire in Valbelluna. Gli impianti di risalita e le attività collegate, per lo meno quelli esistenti, sono una delle cose essenziali per aiutarci a vivere lassù. Finchè sarà possibile. Quindi se fra 20-30 anni sarà dimostrato che non nevicherà più ne prenderemo atto, verranno rimesse in moto altre attività, ma al momento la zona di Rocca Pietore, che aveva assolutamente bisogno di lavorare, quest’inverno vive grazie allo sci».
Ma in valle già si sta profilando una delle possibili alternative: i Serrai di Sottoguda. «Sono ricercati tantissimo per chi fa il giro della Grande Guerra. Ho tutta l’intenzione di riaprirli entro la fine del mio mandato. Conto che nel 2024 i Serrai siano pronti o in prossimità di esserlo».
«Per fortuna che ci sono questi eventi; per capire», commenta Marco Grigoletto, presidente regionale dell’Anef.
«Da questa sera ne sappiamo tutti un po’ di più, al di là delle analisi frettolose. Dovremmo essere tutti più prudenti, in verità nel valutare sia i cambiamenti climatici sia le trasformazioni nell’arco montano, perché c’è un cambiamento che porterà eventi estremi, come 4 metri di neve, ma anche 0. Quindi si tratta ancora di studiare. Ed è chiaro che la stagione invernale o lo sci non potranno, anzi non dovranno finire domani, perché sono l’unico anello economico che fa funzionare l’economia di tante valli».
Secondo Grigoletto, ci dovranno essere valutazioni fatte in una prospettiva almeno ventennale per cercare soluzioni alternative.
La sintesi la tira Bepi Casagrande, sindaco di Pieve di Cadore, che i temi delle alte quote li conosce, da alpinista, come le sue tasche. «L’incontro del Corriere delle Alpi è stato positivo, un’occasione per riflettere sul futuro della montagna. Avevamo tantissimo bisogno di questa riflessione. Credo che meriti il prendere in considerazione alcuni spunti per la programmazione futura. Mi si permetta di insistere sull’idea di prendere i giovani e domandare loro cosa vogliono per il futuro. È fondamentale. Sentiamoli. Teniamone conto delle soluzioni che prospettano». —
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