La montagna bellunese diventa un rifugio: il clima che cambia porta nuovi abitanti ma servono servizi
Lo studio “Secolo nomade” indica nuove prospettive: «Ma è necessario un ambiente ricettivo e accogliente»
Francesco Dal Mas
«Un grande sconvolgimento è in arrivo. Trasformerà tutti noi e il nostro pianeta. Nei prossimi cinquant’anni, temperature più elevate unite a un’umidità più intensa faranno sì che vaste aree del pianeta saranno inabitabili per 3,5 miliardi di esseri umani...».
Gaia Vince, vincitrice del Royal Society Science Book Prize, il 3 maggio ha pubblicato “Il Secolo Nomade. Come sopravvivere ai cambiamenti climatici”. Dall’autrice inglese Confindustria Belluno Dolomiti si è vista recapitare ieri un messaggio inequivocabile, che aprirà un nuovo dibattito.
«Le montagne sono un rifugio: la natura e le persone si stanno già spostando verso l'alto. Ma possono anche essere una trappola, soprattutto per la natura, perché non c’è nessun posto dove andare se il clima diventa intollerabile nel tempo. Lo scioglimento dei ghiacciai è pericoloso (11 persone sono morte l’anno scorso in un crollo sulla Marmolada) e l’acqua abbondante scompare una volta che il ghiaccio se ne va. Ma le grandi catene montuose nelle zone temperate saranno rifugi abitabili più a lungo».
Sono le due facce della medaglia che il convegno di Confindustria e Riabitare ha presentato a Belluno, con l’intervento di numerosi studiosi.
Temperature in salita
È emerso, ad esempio – come ha riferito la climatologa Sabrina Lucatelli – che nell’arco dei prossimi vent’anni, anche meno, le temperature sulle nostre montagne potrebbero aumentare di 2 gradi, in pianura e lungo il mare di 2,4. Da qui, appunto, il possibile ripopolamento delle terre alte. Ma con rischi davvero pesanti.
Lo sci da ripensare
Li ha evidenziati Vanda Bonardo di Legambiente. Sotto i 3.500 metri spariranno nei prossimi quindici anni tutti i ghiacciai. La neve continuerà ad arrivare alle quote dai 1.800 e 2 mila metri in su, con qualche probabilità a Cortina, in Alto Agordino, forse in Alto Comelico. Si moltiplicheranno gli eventi estremi, tipo Vaia o Emilia Romagna.
Negli ultimi inverni la riserva nivale è diminuita del 60 per cento, ha sempre riferito Bonardo, per cui nei 7 mila km di piste in Italia (una lunghezza maggiore di quella delle autostrade) si è costretti a ricorrere alla neve artificiale; i cannoni sono a disposizione del 90 per cento delle piste. I bacini artificiali destinati all’innevamento sono, in Italia, ormai 150. Decisamente troppi, si è riferito al convegno.
Il problema sta anche nel fatto che gran parte degli sciatori «pretende la pista liscia come il tappeto di un biliardo»; l’esponente di Legambiente ha riferito che questo glielo ha detto Valeria Ghezzi, presidente di Anef. Ma la montagna abitabile esige anche, secondo Bonardo, che l’ambiente degli attuali comprensori sciistici, una volta inattivi, venga restituito alla sua naturalità. Operazione, questa, quasi proibitiva: per gli altissimi costi del risanamento e della rigenerazione.
Il futuro della montagna
Il convegno di Confindustria, però, ha dimostrato che non si può restare ancora alla finestra. Via, dunque, con le comunità energetiche per preparare un ambiente ricettivo, accogliente. Stop – ha detto ancora Lucatelli – al taglio dei servizi. Nel senso che non si possono mettere tetti di popolazione agli ospedali, tanto meno ai punti nascita. E allo stesso modo vanno tolti i vincoli alle scuole.
Avanti tutta con la strategia delle Aree Interne, ormai quattro in provincia. Marco Bussone, presidente dell’Uncem, è intervenuto ieri mattina osservando che al di là di leggi specifiche, come quella sulla montagna, ogni provvedimento parlamentare o governativo dovrebbe contenere qualcosa di specifico per le aree svantaggiate. Perfino il Decreto Lavoro, che invece non mette in conto nessun vantaggio per i giovani che vogliono restare o ritornare sulle terre alte.
Intanto dalla Regione l’assessore all’ambiente Gianpaolo Bottacin ha confermato a Confindustria che anche gli studi commissionati dai suoi uffici danno come risultato un cambiamento radicale del clima e che, di conseguenza, pongono la necessità e l’urgenza di adattamenti ad ogni livello.
Il convegno, però, si è concluso con la constatazione che la politica e le istituzioni hanno brillato per la loro assenza.
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