
Sono i morti dell'Età dello Scarto, deceduti nel silenzio e nell'anonimato di residenze dedicate a Santi e Beati o dai nomi rassicuranti, come Villa Fiorita o Casa Serena, che promettono una pace quieta. Sono gli improduttivi, i fuori età, i fuori tempo massimo e i fuori di testa, gli esauriti e gli esausti, coloro che hanno vissuto troppo o che non hanno vissuto affatto, sono gli inseguiti dall'inc-Alzheimer (come diceva di sé il grande scrittore Salvatore Mannuzzu), gli affetti da quella demenza senile che per molti è un rifugio al rimpianto, quelli dell'ipertensione arteriosa, del diabete, dei disturbi cardiovascolari e delle mille patologie che affannano la vecchiaia dell'uomo. In pochi mesi, numerosissimi, sarebbero stati i morti nelle residenze per anziani.
Le procure di mezza Italia hanno avviato indagini ipotizzando reati come epidemia colposa e omicidio colposo. Ma ciò che appare certo - al di là dei risultati delle inchieste - è che decine di migliaia di persone sono state e sono vittime del delitto di abbandono di incapace. Che è sì una fattispecie penale ma, ancor più, una malattia sociale. Una vera patologia dello sviluppo in una società cresciuta in maniera deforme che, mentre umiliava e impoveriva le giovani generazioni, e le loro aspirazioni di lavoro e di reddito, esaltava un'ideologia giovanilista, fondata su un'idea produttivista e salutista di benessere. Una concezione in cui i lenti, gli incerti e gli inermi sono destinati ai margini.
Un ulteriore effetto perverso di questa criminale Politica dell'Abbandono è l'intossicazione che introduce nel dibattito pubblico. La degradazione e la silenziosa scomparsa degli anziani impediscono di affrontare con serietà i dilemmi etici imposti da condizioni eccezionali, quali quelle determinate dalla pandemia. Questioni ineludibili che è possibile riassumere in un quesito cruciale: come risolvere il conflitto tra una domanda molto forte e una disponibilità molto scarsa di risorse essenziali? Concretamente, come scegliere chi far accedere all'uso dei ventilatori polmonari quando il loro numero è ridotto e le richieste sono tante? La selezione avverrà sulla base della speranza di vita del paziente? Sono dilemmi che la filosofia del diritto affronta da tempo - per esempio in relazione al rapporto (com'era mezzo secolo fa) tra domanda e offerta di macchinari per la dialisi o alla lista d'attesa per il trapianto degli organi - ma che l'opinione pubblica fatica a discutere.
In un'intervista pubblicata da Repubblica Jürgen Habermas espone la questione con nitidezza, esaminando una situazione dove "il numero di pazienti ricoverati è superiore a quello delle strutture di cura disponibili nei reparti di terapia intensiva". In base a quale criterio si deciderà? Si potrà "abdicare al principio della parità di trattamento di ogni cittadino, indipendentemente dallo status, dall'origine, dall'età" e si potrà "favorire i giovani rispetto ai più anziani"? La risposta è netta: no. "L'etica medica è in accordo con la Costituzione e segue il principio secondo cui una vita umana non può essere messa in contrapposizione a un'altra". Una soluzione è che il medico in simili circostanze "sia guidato esclusivamente dalle disposizioni sanitarie relative alla maggiore prospettiva di successo del trattamento clinico". Habermas per primo sa che si tratta di una soluzione parziale, ma sa anche che il tema è così drammaticamente essenziale da non poter essere eluso.
Sono "scelte tragiche" da considerare con senso di responsabilità, sapendo che sono più grandi di noi e che non tutte hanno una risposta. Quel che davvero conta è la consapevolezza che, come dice ancora Habermas, le decisioni da prendere possono risultare "immorali", perché incapaci di conciliare il bene fondamentale dell'eguaglianza, con il bene fondamentale della tutela della salute. Una questione immensa che le meschine vicende di speculazione sui corpi abbandonati degli anziani non devono cancellare.