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Post-Covid, come tornare ad essere ‘non negativi’

Dopo l’emergenza cosa resta nelle nostre menti e nei cuori? Un saggio appena uscito esplora l'impatto del virus e l'eredità emotiva che ci ha lasciato spiegando come riconoscere i segnali di allarme

3 minuti di lettura
Nell’Italia che si prepara a partire per una manciata di giorni di vacanze post Coronavirus o che, invece, continua a lavorare nonostante il caldo, ci sono sentimenti ed emozioni contrastanti. Accanto a chi si è già lasciato (o crede) tutto alle spalle, c’è chi si sveglia ogni giorno con sensi di colpa, rabbia, ansia, incubi, flashback e, più in generale, pensieri negativi collegati, per esempio, alla morte di un proprio caro o di qualcuno che si conosceva. Perché il Coronavirus ha lasciato una sua eredità emotiva che andrebbe affrontata e ‘letta’ nel suo profondo anche per scoprire se ci ha lasciato qualcosa di buono e se siamo pronti a recuperare la valenza originaria del termine ‘positivi’ che per mesi abbiamo associato solo al risultato dei tamponi. Ci aiutano a farlo la giornalista Maria Emilia Bonaccorso e lo psichiatra Massimo Cozza nel libro dal titolo “Positivi. Ritrovarsi dopo il disagio emotivo da pandemia” (Edizioni Publiedit, pp 160, 10.90 euro) che forniscono alcuni suggerimenti per poter riconoscere i segnali di allarme psicologico e migliorare il nostro benessere. Il libro è nei Bookstore online (compreso il sito della casa editrice) e nelle librerie.

Mascherina: la nostra coperta di Linus

Ad aprire il volume - i cui proventi andranno in beneficenza all’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani - è Piero Chiambretti che nell’introduzione scrive: “Essere positivi per una vita, e poi d’un tratto sperare di essere negativi, è uno dei tanti controsensi di questi mesi di virus che ha cambiato il mondo e quindi la vita di tutti”. Chiambretti ha contratto il virus pensando che fosse un’influenza i primi di marzo mentre lavorava a Milano. Lui si è salvato, mentre la madre Felicita, poetessa, non ce l’ha fatta ed è morta nella giornata mondiale dedicata alla poesia. Un dolore fortissimo che lui, però, vuole preservare. Di quei giorni ricorda tante cose tra cui le misure di sicurezza salva-vita: “La mascherina è diventata la nostra coperta di Linus, ci protegge, ci dà sicurezza, cerchiamo quella sensazione di cui abbiamo continuo bisogno: la rassicurazione contro la precarietà di un presente mai stato così vago”.

Gli anziani ‘senza volto’

Il dolore di Piero Chiambretti è un po’ l’emblema di tanti italiani che in questi mesi hanno perso genitori, nonni o amici, quegli anziani “senza volto” morti da soli. Come il nonno ricoverato in una Rsa di cui il libro riporta la lettera: “Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti….. Prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso”. Una testimonianza che serve a non dimenticare: “Con questo libro - spiega Maria Emilia Bonaccorso - non vogliamo certo invitare a fare una rimozione di quanto è accaduto, ma al contrario il nostro è un percorso che attraversa il dolore e le paure delle ore più buie per analizzare le problematiche psicosociali ed emotive correlate alla pandemia Covid-19, con un occhio al passato ma guardando soprattutto al presente e al futuro”.

I disagi emotivi tenuti in stand-by

Ma per poter voltare pagina bisogna prima guardare in faccia le proprie emozioni e riconoscere i disagi da affrontare che in molti casi stanno emergendo proprio ora che è finita l’emergenza e che rischiano di diventare permanenti specie se si parte da una condizione di fragilità emotiva. “I disturbi del sonno, i repentini cambi di umore, le variazioni dei comportamenti a tavola oppure alcuni disturbi somatici, dal classico mal di testa alla difficoltà di concentrazione, alla tachicardia possono essere dei campanelli d’allarme”, avverte Massimo Cozza, psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma 2. Come se ne esce?  “E’ importante avere un atteggiamento positivo non solo verso se stessi ma anche verso gli altri”, risponde l’esperto. “Può essere di aiuto in primo luogo parlare con le persone delle quali ci fidiamo dei vissuti emotivi, delle ansie e delle preoccupazioni perché la condivisione e l’essere ascoltati sono già un momento di riflessione e di possibile cambiamento dei nostri pensieri e dei nostri comportamenti”. Ma se i disturbi persistono e ci rendono la vita difficile, il passaggio successivo è rivolgersi al proprio medico di famiglia e se necessario agli specialisti.

La sindrome del sopravvissuto

Spesso a generare angoscia c’è il senso di colpa. Per esempio, molti operatori sanitari che hanno visto morire tante persone si chiedono perchè loro si sono salvati. E tra i figli dei tanti anziani morti nelle Rsa il dubbio è se hanno fatto tutto il possibile per salvare i propri cari. Dubbi che possono portare alla cosiddetta sindrome del sopravvissuto, che in termini psicologici si collega al Disturbo Post Traumatico da Stress. “E’ una situazione di sofferenza emotiva dalla quale con il tempo si può uscire evitando di isolarsi, superando la convinzione di essere colpevole, ma reinterpretando gli eventi, arrivando alla conclusione di aver fatto quello che si poteva fare in quella determinata situazione. Bisognerebbe raggiungere la consapevolezza che quello che e? accaduto era fuori dal proprio controllo”, suggerisce Cozza.

Il lato positivo delle file

Come diventare più consapevoli? Sfruttando anche le occasioni che consideriamo ‘perdita di tempo’ e che abbiamo ereditato dal Coronavirus. Come le file al supermercato o l’abitudine di indossare la mascherina e igienizzare le mani. “Ciò che subito abbiamo ritenuto uno svantaggio - riflette la giornalista Bonaccorso - in realtà può essere ribaltato e diventare un grande vantaggio. Stiamo acquistando tempo per noi, per cogliere la ricchezza di ciò che ci circonda, per apprezzare gli attimi della nostra vita quotidiana, prima semplice ed automatica routine. Invece di correre sempre verso il dopo, possiamo finalmente cogliere il valore del presente”.