Paola: "L'ictus mi aveva rubato le parole, ma il canto me le ha restituite"
di Giulia Masoero Regis
Una lezione del coro degli afasici a Genova
L'esperienza del coro degli afasici. Perché è più facile cantare che tornare a parlare. L'iniziativa di Alice Italia
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"RICORDO di aver visto accanto al letto il mio ex marito, il mio figlio piccolo e i miei colleghi. Ho tentato di parlare con un amico molto caro, ma non sono riuscita. Non mi uscivano le parole". Di tante giornate confuse in ospedale, al risveglio dall’ictus, è questo il ricordo più indelebile di Paola. Le è successo a soli 41 anni, mentre attraversava la strada in una mattinata di fine estate, a Genova, la sua città: "Quel giorno avevo il cervello confuso". Oggi Paola di anni ne ha 60 e l’afasia, tra le conseguenze più debilitanti e snervanti dell’ictus, ancora non se n’è andata. Mentre racconta la sua storia ogni tanto cerca parole che non arrivano, fa dei giri, le aspetta, poi le trova. "All’inizio è stata dura: per sei mesi praticamente non ho parlato – ricorda – ho ricominciato a farlo con la logopedista, ma dopo quattro anni il percorso di riabilitazione si è concluso e allora mi sono rivolta a una maestra, con cui ho reimparato a scrivere e leggere. La svolta, però, è arrivata circa cinque anni fa, quando ho incontrato il coro degli afasici". Oggi non parla ancora al meglio, ma canta. "Ed è bellissimo". Paola Aluffo
I cori degli afasici si rivolgono a pazienti post-ictus (ma non solo) che hanno già fatto un percorso riabilitativo con l’obiettivo di migliorare o recuperare le loro capacità di espressione e di comunicazione grazie al canto e alle emozioni suscitate dalla musica. Oltre a Genova, sono organizzati in varie città italiane (come Trieste, Genova, Fossano, Ravenna, Firenze e L’Aquila) da Alice Italia Onlus, l’associazione per la lotta all’ictus cerebrale. "Le persone afasiche hanno difficoltà a parlare, ma riescono quasi tutte a cantare perché musica e linguaggio verbale si localizzano in differenti aree cerebrali", spiega Maurizio Scarpa, musicoterapeuta dell’associazione. "Lavoriamo sulla scansione ritmica e melodica delle parole, utilizzando un battito sulla mano sinistra per attivare sistemi percettivi nel cervello destro. Lavoriamo sulla percezione corporea del paziente e sul suo controllo del diaframma. La canzone viene cantata, poi anche parlata, come in un recitativo, al fine di avvicinarsi sempre più al modo in cui parliamo".
Il canto ha stupito Paola. "Mi ha fatto migliorare, oltre che divertire. Ci vado volentieri, mi piace stare con i compagni, che passo a prendere con la mia macchina perché ho ripreso la patente. C’è molto calore tra di noi e rispetto ai primi tempi, ora nel tragitto siamo tutti in grado di chiacchierare. È incoraggiante: per me il coro è un aiuto, non solo perché migliora il modo in cui parlo, ma anche da un punto di vista psicologico e sociale". L’indebolimento della rete di amicizie o la sua scomparsa. "A un certo punto intorno a me è iniziato il deserto relazionale", ricorda Paola, una conseguenza molto frequente tra i pazienti che hanno avuto un ictus. Così si possono creare situazioni di isolamento, depressione e una realtà come il coro può diventare un appiglio importante. "Due volte l’anno ci esibiamo davanti a un pubblico – continua Paola – nel saggio finale dell’anno scorso abbiamo cantato ‘O sole mio, Meraviglioso, Io che amo solo te. Con le canzoni che sapevo a memoria prima di avere l’ictus ho fatto meno fatica; con le altre, invece, ho dovuto studiare di più. Ma ce l’ho fatta".
Il cervello
La conquista del canto e la riconquista, parziale, del parlato, è possibile grazie alla plasticità del cervello, "che può arrivare a esprimere una funzione, in questo caso quella del linguaggio, utilizzando strutture diverse da quelle danneggiate dall’ictus" spiega Mauro Silvestrini, direttore della clinica neurologica dell’AOU Ospedali Riuniti di Ancona e presidente eletto Italian Stroke Organization. L’afasia è la conseguenza di una lesione delle aree cerebrali dell’emisfero dominante (in genere il sinistro) che hanno a che fare con la produzione e la comprensione dei simboli del linguaggio. Può interessare prevalentemente l’espressione (il caso di Paola) oppure intaccare la comprensione. "Insegnare a cantare – continua l’esperto – può stimolare altre zone del cervello, magari mai utilizzate prima dal paziente e rimaste integre dopo l’attacco dell’ictus, che possono aiutare il paziente anche a riacquistare la comunicazione. La riabilitazione ha un ruolo fondamentale perché è in grado di stimolare la capacità di riorganizzazione funzionale del cervello". Capacità sfruttata al meglio da Paola. "Non mi sono mai arresa, sono tosta", dice ridendo, e che le ha permesso di tornare a svolgere attività quotidiane banali, ma che banali all’inizio non erano. "I primi tempi andavo a fare la spesa, a volte con il bastone, e dicevo vorrei un… E non mi veniva la parola. Allora indicavo e dicevo “quello”. Diventavo tutta rossa in viso per la rabbia".
Le iniziative
“Una vita dopo l’ictus è possibile” è il tema scelto dalla World Stroke Organization e da Alice Italia Onlus per il la Giornata mondiale contro l’ictus del 29 ottobre ed è la morale della storia di Paola, che con la musicoterapia non solo è riuscita a contrastare la sua afasia, ma si è anche riavvicinata al figlio, oggi ventottenne, ai tempi dell’ictus settenne e affidato quasi del tutto alla nonna. "Con mio figlio ho ripreso un dialogo grazie alla musica: a volte ascoltiamo insieme le canzoni su YouTube e ci troviamo. Percepisco una vicinanza che avevamo perso".