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Per invecchiare bene monitorare anche l’ansia e l’apatia

Per invecchiare bene monitorare anche l’ansia e l’apatia
Uno studio indica che c’è una relazione tra i due sintomi e danno neurovascolare delle fibre nervose cerebrali
2 minuti di lettura
INVECCHIARE non fa impazzire dalla gioia. Ma farlo bene, conservando il più possibile intatte le proprie funzioni cognitive e comportamentali, piace invece a tutti. Per rallentare un eventuale processo di invecchiamento patologico, è fondamentale intercettarne precocemente i segnali. Tra questi, come indica uno studio realizzato  da un team di ricercatori del laboratorio di Neuropsichiatria della Fondazione Santa Lucia di Roma e  pubblicato sul Journal of Personalized Medicine https://www.mdpi.com/2075-4426/10/4/172/htm, c’è anche l’ansia e l’apatia.
 
Il cervello che invecchia subisce molti cambiamenti strutturali e funzionali. Uno è il deterioramento della sostanza bianca cerebrale (l’insieme delle fibre che connettono le differenti aree grigie del cervello). Deterioramento che è dovuto al danneggiamento della mielina, la proteina che avvolge le fibre e permette la trasmissione dell’impulso nervoso, e a microlesioni cerebrovascolari.  Ecco, secondo lo studio in questione, l’ansia e la perdita di interesse e di piacere per le cose, l’apatia, sono correlate al danno cerebrovascolare e alla riduzione di volume del centro della memoria, l’ippocampo.

 
Lo studio

 "Il nostro lavoro - ha spiegato Gianfranco Spalletta, psichiatra al Santa Lucia e coordinatore della ricerca con Fabrizio Piras - indica che in adulti e anziani neurologicamente sani c’è una relazione tra la comparsa di questi due sintomi neuropsichiatrici e presenza di microlesioni vascolari a carico della sostanza bianca oltre che di atrofia dell’ippocampo. E quindi, che ansia e apatia si possono considerare segni precoci del rischio di sviluppare decadimento cognitivo e demenza”.
 
I ricercatori hanno coinvolto nell’indagine 60 uomini e donne sani tra i 50 e gli 80 anni. Li hanno sottoposti a accurati test neuropsicologici (per valutate memoria, l’attenzione, la concentrazione l’orientamento) e comportamentali (per misurare ansia, depressione, apatia). Con la risonanza magnetica hanno misurato l’entità del danno della sostanza bianca, cioè la quantità di microlesioni cerebrovascolari a carico di questa componete del cervello “microlesioni – tiene a dire lo psichiatra - che a partire da una certa età abbiamo tutti, ma che in alcuni sono di più e indicano una probabilità più alta di andare incontro a decadimento cognitivo”.
 

Il campione è stato poi suddiviso in due gruppi: quelli con un danno al di sotto di una soglia considerata significativa dagli esperti e quelli con danno al di sopra di questa soglia. Al netto di fattori confondenti, quelli che avrebbero potuto influenzare i risultati finali come l’età o il livello di istruzione per esempio, i ricercatori hanno concluso che chi aveva più microlesioni presentava anche sintomi di ansia e apatia.

 
Monitorare ansia e apatia

Questo significa che se un adulto o anziano si sente ansioso e scarsamente interessato al contesto  prima o poi si ammalerà di demenza? No, ma che, come emerge dalla letteratura internazionale e come noi abbiamo confermato su persone sane, significa che anche ansia e apatia vanno monitorate. In presenza di altri segni, come la perdita di memoria o della capacità di orientamento, questi due sintomi neuropsichiatrici indicano che è il caso di approfondire la situazione con uno specialista. E che è opportuno sottoporsi a uno screening, per prevenire un aggravamento del danno cerebrovascolare e ridurre il rischio di invecchiamento patologico. Così come si fa per altre patologie”, ragiona l’esperto.
 

I meccanismi che sottostanno a una compromissione dell’integrità della materia bianca cerebrale possono essere diversi. “Sono moltissimi – conferma lo psichiatra – e vanno dall’ipercolesterolemia, al diabete, alle patologie cardiache e della coagulazione, e anche lo stile di vita. Alcuni di questi sono modificabili e su quelli possiamo intervenire. È modificabile lo stile di vita. L’attività fisica, una alimentazione adeguata, la partecipazione ad attività cognitivamente stimolanti negli anziani sani può ridurre il rischio di sviluppare una forma di demenza, deviando la traiettoria verso un decorso più normale di invecchiamento cognitivo”.
 

L’importanza della neuroriabilitazione

Dopo una accurata diagnosi l’adulto o l’anziano più a rischio di demenza deve essere inserito in un percorso neuroriabilitativo tagliato su di lui – è l’indicazione dell’esperto, “un intervento che oltre, quando ce n’è bisogno all’uso di farmaci (per esempio la cardioaspirina, un antiaggregante piastrinico utilizzato ampiamente nella popolazione anziana) può coinvolgere molte figure professionali: dal neurologo, allo psichiatra, al fisioterapista al logopedista allo psicologo al fisiatra. Ovviamente – ragiona e conclude Spalletta - avere a disposizione diversi professionisti, non vuol dire utilizzarli tutti, ma solo quelli che più fanno al caso del singolo individuo”.