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Coronavirus, stress e sedentarietà: il lockdown fa alzare la pressione

Coronavirus, stress e sedentarietà: il lockdown fa alzare la pressione
Fra l'altro chi soffre di malattie cardiovascolari rischia anche di sviluppare una forma più grave di Covid
3 minuti di lettura
CHI SOFFRE di ipertensione e più in generale di malattie cardiovascolari potrebbe essere a rischio più elevato di sviluppare Covid-19 in forma più seria. Ma, come un cane che si morde la coda, le norme per il controllo della pandemia potrebbero avere come effetto collaterale un incremento della pressione arteriosa. Il lockdown, o comunque il distanziamento sociale, sono fondamentali per ridurre la diffusione del virus Sars-CoV-2, ma purtroppo potrebbero indurre una serie di reazioni nell’organismo che impattano non solo sulla psiche, ma anche sull’apparato circolatorio. In che modo? Rendendo più probabile la comparsa di ipertensione arteriosa, uno dei principali fattori di rischio per infarto ed ictus.

Lo studio

A segnalarlo, dati alla mano è una ricerca condotta in Argentina dall’équipe di Matìas Fosco dell’Ospedale Universitario della Fondazione Favaloro di Buenos Aires, presentata nel corso del congresso argentino di Cardiologia. Se nel corso del lockdown c’è stato un calo  generalizzato del ricorso agli ospedali per patologie cardiovascolari, ampiamente testimoniato dai dati italiani, l’indagine rivela che in chi è giunto al pronto soccorso la presenza di uno stato ipertensivo è apparsa molto più frequente. “L’accettazione in dipartimento di emergenza nel corso dell’isolamento sociale obbligatorio è risultata associata ad un incremento del 37 per cento di ipertensione, pur tenendo presenti diversi variabili come età, genere, mese, giorno e tempo di consultazione, e anche il fatto che il paziente sia giunto o meno in ambulanza – segnala lo stesso Fosco”.
 

La ricerca ha preso in esame i dati relativi all’ipertensione nei soggetti di età superiore ai 21 anni confrontando quanto avvenuto nei tre mesi di isolamento sociale (dal 20 marzo al 25 giugno di quest’anno) con ciò che si è visto nei primi tre mesi del 2019 e nel periodo immediatamente precedente l’isolamento obbligato del 2020. Sono stati inclusi nello studio 12.241 pazienti, età media 57 anni e per oltre il 45 per cento donne, con quadri molto vari, da dolore toracico a mal di pancia fino a febbre, tosse e difficoltà respiratorie. Prima di tutto, nel periodo di lockdown, si è registrato un netto calo degli accessi al pronto soccorso, che sono risultati il 56,9 per cento risetto agli stessi mesi del 2019 e il 53,9 per cento rispetto ai mesi precedenti l’isolamento forzato. Ma è sul fronte dell’ipertensione, come detto, che si sono registrate le maggiori differenze.

Ipertensione per 1 su 4

Nel periodo di lockdown poco meno di una persona su quattro (23,8 per cento del totale), ha presentato una chiara ipertensione: la percentuale era del 17,5 per cento nello stesso trimestre del 2019 e del 15,4 per cento nei mesi precedenti l’isolamento. Spiegare il fenomeno che sta dietro questa associazione non è semplice, anche se lo stesso Folco segnala alcuni aspetti che potrebbero influire: “ad esempio, l’aumento dello stress in seguito alla pandemia, con limitazione dei rapporti interpersonali e l’inizio dell’esacerbazione di eventuali problemi economici.

Lo stile di vita

Anche i cambiamenti nello stile di vita potrebbero avere un ruolo, con un incremento dell’introito di cibi e di alcol, stili di vita sedentari e aumento di peso”. Attenzione però: a detta degli esperti dell’America Latina possono aver risentito di una maggiore tensione psicologico durante il trasporto in ospedale per le limitazioni negli spostamenti ed in controlli di polizia, oltre che avere timore di contrarre l’infezione da Sars-CoV-2 lasciando la propria abitazione. Inoltre anche una limitata aderenza alle terapie prescritte potrebbe aver influito sul controllo pressorio, visto che alcune persone in trattamento potrebbero aver sospeso le cure sulla scorta di informazioni preliminari su possibili legami peraltro poi completamente smentiti tra alcuni farmaci (ACE-inibitori in primis) ed esiti peggiori in caso di Covid-19.
 

Conta anche lo stress

"Il meccanismo chiave per spiegare la correlazione tra incremento dei valori pressori e isolamento a domicilio dovrebbe essere correlato in primo luogo all’azione dello stress – spiega Marino Scherillo, direttore della Cardiologia presso l’Azienda Ospedaliera San Pio di Benevento. La tensione emotiva cronica è infatti un fattore nocivo per il cuore e per l’apparato cardiovascolare, forse anche ben oltre il rischio legato alla stessa pandemia. In pratica in queste condizioni si può avere un incremento di sostanze che facilitano l’aumento della pressione, come adrenalina e cortisolo: ovviamente questa reazione si può più facilmente accentuare in presenza di problematiche economiche, ad esempio per chi ha un’attività che non può essere portata avanti in periodo di lockdown, e se sono presenti contrasti in famiglia che più facilmente si sviluppano quando la convivenza è obbligata. Infine non bisogna mai dimenticare che la mancanza della vita sociale influisce sul benessere emotivo delle persone, con evidenti ripercussioni anche organiche, nel senso di incremento della produzione delle sostanze sopracitate, che vanno ad interferire con il benessere dell’apparato circolatorio".

Cosa fare

Come comportarsi in chiave di contromisure possibili? “In primo luogo è fondamentale cercare di trovare spazi propri per contrastare lo stress, anche attraverso attività fisiche regolari da svolgersi in casa o quando possibile con passeggiate o sforzi più intensi all’aperto,  ed evitare di lasciarsi andare con l’alimentazione: stress, sedentarietà ed una dieta poco sana, con conseguente incremento del peso sono infatti fattori “trigger” per infarto ed ictus – conclude Scherillo. Per il resto, occorre anche chiamare subito i soccorsi in caso di dolori che possono far pensare ad un infarto o ai primi segni che possono rivelarsi avvisaglie di un ictus cerebrale. Purtroppo nei mesi del primo lockdown si è registrato un netto calo nell’accesso alle Unità Coronariche, con un impatto negativo sulle possibilità di cura e di prevenzione delle complicanze dell’infarto, visto che il tempo della presa in carico è un fattore critico in termini di prognosi. Gli ospedali sono sicuri, non dobbiamo mai dimenticarlo”.