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Covid, il vaccino riduce il rischio di morte anche in terapia intensiva

Covid, il vaccino riduce il rischio di morte anche in terapia intensiva
Lo studio del Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (Giviti) e dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs condotto su 1000 pazienti fragili
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Il vaccino contro il Covid è in grado di ridurre significativamente il rischio di morte anche nelle persone che sviluppano infezioni e sono state già vaccinate. A confermarlo uno studio condotto dal Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (Giviti), coordinato dall'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, pubblicato sulla rivista Intensive care medicine, organo ufficiale dell'European society of intensive care.

Lo studio

La ricerca, coordinata dal laboratorio di Clinical data science del Mario Negri, ha arruolato nell'arco di un anno (dal 1° giugno 2021 al 31 giugno 2022) circa 1.000 pazienti provenienti da 27 terapie intensive. Dei 916 pazienti ricoverati in terapia intensiva, 262 erano vaccinati (28,6%). I pazienti vaccinati erano più anziani (71 vs. 63 Anni), ed avevano una maggiore incidenza di comorbidità come ipertensione, diabete, neoplasie ecc. (91,2% Vs. 65,7%) dei pazienti non vaccinati. L'analisi, condotta con i dati raccolti con un avanzato software chiamato prosafe, ha permesso di attribuire a gruppi di pazienti con condizioni similari, in termini di età, presenza di comorbidità, e diverse condizioni cliniche all'ammissione in terapia intensiva, la probabilità di morte e di stimare la riduzione della mortalità grazie alla vaccinazione.


"Ad esempio- spiega Stefano Finazzi, responsabile del laboratorio Clinical data science del Mario Negri- in pazienti Covid ammessi in terapia intensiva con mortalità del 50% il modello utilizzato ha permesso di stimare che la vaccinazione riduce il rischio di morte a circa il 40%".

Secondo Mario Tavola, presidente Giviti, questi dati "mettono in luce la necessità di una strategia di richiamo nella popolazione fragile (anziani con comorbidità) che potrebbe essere a rischio di infezione break-through".