Ha 17 anni, frequenta il quarto anno del liceo scientifico, suona la chitarra elettrica e acustica, fa surf, ha una bella vita sociale. È un ragazzo come tanti. Ma la sua storia non è come tante, però, perché quando aveva 5 anni e mezzo gli è stata diagnosticata una leucemia linfoide acuta. Una storia che sua madre, Laura Diaco, biologa romana, ci racconta alla vigilia della 22esima Giornata mondiale contro il cancro del 15 febbraio promossa da Childhood Cancer International (tutte le iniziative su www.giornatamondialecancroinfantile.it).
Una diagnosi inattesa
“Frequentava la scuola materna. Una mattina di primavera ci disse di avere dolore alle gambe. Aveva anche un po’ di febbre ma io e mio marito non siamo persone ansiose e pensammo a un po’ di stanchezza accumulata. Il dolore però non passava, e decidemmo di andare al pronto soccorso del Bambino Gesù, abbastanza sicuri di ritornare a casa con la diagnosi di una qualche forma influenzale. In realtà, in ospedale cominciarono immediatamente a emergere cose inconsuete: emocromo strano, ingrossamento di fegato e milza… Insomma, decisero di trattenerci una notte. Il giorno dopo i medici ci dissero che avrebbero fatto un aspirato midollare, e allora cominciai ad aver paura”. Una paura fondata, quella di Laura, perché dopo qualche ora arrivò la diagnosi di tumore.
Un mondo di grandi
Le cure sono durate in tutto un paio d’anni, e nei primi 9 mesi sono state molto intensive. Le chemioterapie erano faticose, la frequenza dell’ospedale serrata, c’era il problema dell’immunodepressione e dei rischi di infezione. Furono mesi di isolamento: “Nostro figlio a soli 5 anni viveva in un mondo di adulti, popolato solo da noi e dai medici. Le cose migliorarono quando passammo a una terapia orale e iscrivemmo nostro figlio alla prima elementare. Per qualche mese venne un’insegnante a casa, poi ci fu l’ingresso in una classe vera. Non fu facilissimo all’inizio, ma le cose andarono bene, fu un’esperienza positiva”. Trascorsi due anni, cominciò la fase del follow up: controlli prima frequenti, per cogliere eventuali segni di ripresa della malattia, e poi distanziati, soprattutto per intercettare i possibili effetti collaterali a lungo termine delle cure. Ora sono passati più di 10 anni, il bambino di Laura per la medicina è un long survivor, o un lungo sopravvivente come si dice in Italia. Sta bene, e forse non ricorda nemmeno la sua malattia.

“Fino agli anni 60-70 il problema del cancro pediatrico era quello di salvare la vita dei pazienti, ma i numeri delle guarigioni ci dicono che oggi, accanto alla ricerca farmacologica che deve tendere a mettere a punto nuovi trattamenti più efficaci e meno tossici, al centro del dibattito e della politica va portata anche la qualità della vita degli ex pazienti”, riflette Diaco che è anche membro del consiglio direttivo di Fiagop, la Federazione italiana associazioni genitori e guariti oncoematologia pediatrica. Che, in collaborazione con Aieop, Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica, ha organizzato per il 15 febbraio il convegno “Un impegno per l’oncologia pediatrica. Diritti e necessità dei pazienti durante e dopo le cure”, proprio in occasione della Giornata mondiale contro i tumori infantili (qui il programma; l’evento sarà trasmesso in diretta streaming su webtv.senato.it e su YouTube).

Quasi 50mila guariti
Il cancro pediatrico si può manifestare in oltre sessanta differenti forme, tra tipi e sottotipi, ed è una malattia rara: ogni anno il numero di diagnosi è circa lo stesso che c’è in un giorno per gli adulti. In Italia, infatti, ogni anno ricevono una diagnosi di malattia oncologica circa 1.500 bambini e 900 adolescenti. Dalle leucemie si guarisce in circa l'80- 90% dei casi, mentre per alcuni tumori solidi e cerebrali i tassi di guarigione non superano il 40%. Si stima che oggi nel nostro paese ci siano oltre 45.000 persone che hanno avuto un tumore da bambini o da adolescenti. Purtroppo,però, i problemi non finiscono con la guarigione. Anche anni dopo la fine delle cure per un tumore pediatrico, a seconda dei trattamenti (farmaci, radiazioni, trapianti di midollo eccetera…) c’è la possibilità che emergano effetti collaterali tardivi. “Sono eventi diversi - e di gravità molto differente naturalmente - che potrebbero riguardare il cuore, lo scheletro, il metabolismo, la crescita, la fertilità. Intercettarli per tempo - sottolinea Diaco - significa intervenire presto con efficacia o prevenirli. Il ‘dopo la malattia’ è molto importante”.

Il convegno e il tempo del dopo
Ecco perché oncologi pediatri, ricercatori, associazioni di famiglie di pazienti ed ex pazienti nel corso del convegno romano Fiagop si rivolgeranno ai parlamentari di tutti gli schieramenti, puntando i riflettori sugli aspetti scientifici dei tumori dei bambini ma anche sugli aspetti psico-sociali delle malattie oncologiche dell’infanzia, per migliorare la qualità della vita dei piccoli pazienti di oggi e degli ex pazienti. Nel corso dell’evento, saranno infatti presentate anche due testimonianze di ex pazienti, quella di Giulia Panizza e di Alfredo Spartà, nell'intervento “Il lungo cammino del dopo: dalla scuola, al mondo del lavoro, alla genitorialità. Criticità e proposte".

Tra i principali interventi necessari per migliorare la vita degli ex pazienti pediatrici ci sono:
1 - Il passaporto del guarito, un documento in formato cartaceo e elettronico, traducibile in lingue diverse che riporta la storia dettagliata di malattia: tipo, caratteristiche cliniche e biologiche del tumore, e tutti i trattamenti ricevuti e anche le raccomandazioni (esami o visite da fare, screening, controlli periodici) per monitorare nel tempo eventuali effetti a distanza delle cure ricevute, e possibilmente prevenirli. Oggi questo documento non è ancora disponibile in tutti centri oncologici pediatrici. Col Passaporto, chi ha avuto un tumore da bambino, ovunque si trovi e sempre, avrà la possibilità di avere personale sanitario informato sulla sua storia clinica. Il passaporto è importante anche nel passaggio dalla pediatria alla medicina degli adulti.
2 - Il diritto all’oblio, per evitare la discriminazione. In Italia - sottolinea infatti la Fiagop - sono state riportate difficoltà nell’inserimento lavorativo, nel rilascio di polizze assicurative, nel riconoscimento di alcuni diritti sociali. È fondamentale una legge sul diritto all’oblio che elimini l’obbligo di dichiarare di aver avuto una patologia oncologica in età pediatrica. L’esperienza di malattia non deve influire sulla vita sociale, lavorativa e personale, e sui diritti del guarito.
3 - L’inserimento del follow up a lungo termine nelle reti oncologiche regionali, in modo che i pazienti siano affidati a un team multispecialistico (oncologi, endocrinologi, ginecologi, psicologi, cardiologi…), e l’implementazione della formazione dei medici del territorio.
