E’ un nemico silenzioso, che si sviluppa spesso senza creare disturbi particolari. La parete dell’aorta addominale cede, si gonfia, sotto la spinta della pressione e si rompe. Come un sottomarino, agisce “sott’acqua” e poi lancia un siluro che mette a rischio la vita. Allo stesso modo l’aneurisma agisce in silenzio ed è quasi sempre asintomatico. E purtroppo si scopre quando si “rompe” creando una situazione gravissima e gravata da elevata mortalità. Per questo è fondamentale individuare la lesione precocemente e poter intervenire. Ma soprattutto occorre definire che è più a rischio, visto che anche il Dna potrebbe giocare un ruolo nel predisporre allo sviluppo della lesione arteriosa, grazie ad una ricerca che analizza l’habitus genetico in pazienti con aneurisma e persone sane. L’ipotesi viene rilanciata da uno studio dell’Università del Michigan, coordinato da Katherine Gallagher. Gli scienziati, in particolare, hanno concentrato l’attenzione su un gene chiamato JMDJD3, che risulta attivato sia negli animali da esperimento che nei soggetti con aneurisma dell’aorta addominale, facendo pensare ad un suo potenziale ruolo come elemento di rischio. il gene, in pratica agirebbe come promotore dell’infiammazione, anche a carico della parete arteriosa, predisponendo all’insorgenza della lesione. Negli animali, agendo sull’enzima legato al gene in questione, si è riusciti a limitare la formazione dell’aneurisma. Insomma: JMJD3 potrebbe diventare un obiettivo per le cure del futuro, mirate a ridurre il rischio che l’aneurisma dell’aorta addominale si formi e soprattutto si rompa, con tutto ciò che ne consegue e che mette a rischio la stessa vita.
In attesa degli sviluppi di queste ricerche, al momento, ciò che più conta è arrivare presto con la diagnosi. Perché far presto, quando si lotta contro una bomba ad orologeria, è fondamentale per evitare che esploda. Come un ordigno a tempo si comportano gli aneurismi dell’aorta addominale, magari per “esplodere per una puntata di pressione alta. Cogliere per tempo queste alterazioni è oggi possibile: basta una semplice ecografia dell’addome che consente di valutare il diametro dell’arteria e suggerire l’osservazione nel tempo del quadro o l’intervento, che può essere effettuato anche senza il tradizionale bisturi ma con sonde inserite all’interno dell’albero circolatorio. "Secondo le linee guida della European Society for Vascular Surgery (Esvs), 5 cm in diametro è attualmente il limite della gestione osservazionale degli aneurismi aterosclerotici dell’aorta addominale sottorenale - spiega Renato Casana, Responsabile Servizio di Chirurgia Vascolare e Angiologia e Direttore Laboratorio Sperimentale di Ricerche di Chirurgia Vascolare presso l’Istituto Auxologico Italiano Irccs. Questo è quindi il diametro a cui far riferimento per l’indicazione al trattamento chirurgico o endovascolare della lesione aneurismatica. Gli aneurismi dell’aorta addominale di piccole dimensioni (tra 4 e 5 centimetri) trovano indicazione al trattamento in caso di: rapido accrescimento della lesione aneurismatica (maggiore di 5 millimetri l’anno), presenza di blister (cioè di dilatazione a forma di sacca) dell’arteria che aumentano la cedevolezza della parete aortica o aneurismi sintomatici in fase di pre-rottura. Il trattamento endovascolare (mediante impianto di endoprotesi aortica con accesso femorale) rappresenta attualmente la metodica di scelta per l’esclusione dell’aneurisma se vi sono i requisiti clinici ed anatomo-morfologici idonei all’impianto di una endoprotesi”. Il dispositivo viene posizionato, navigando all’interno dell’aneurisma, grazie a un catetere di rilascio che contiene al suo interno la protesi stessa. Poi il catetere viene rimosso al termine dell’intervento. “In alternativa quindi il trattamento chirurgico richiede la sostituzione dell’aneurisma mediante ricostruzione con protesi aortica, in quella che si chiama endoaneurismectomia aortica – conclude Casana".