L’uomo che progetta stazioni sciistiche: «Bisogna alzare la quota degli impianti»
Daniele Costantini teme solo le temperature: «La neve non mancherà e poi c’è la tecnologia a darci una mano». E sulle piste esistenti: «Dovrà essere pensata una riqualificazione-ampliamento dei comprensori sopra i duemila metri»
Stefano Vietina
Si può sciare ancora sulle Dolomiti, nonostante il clima sempre più caldo? «Sì, basta alzare la quota degli impianti». È questa la ricetta di Daniele Costantini, titolare di Ski Resorts Designer. Classe 1956, disegna progetti complessivi di stazioni sciistiche, che riguardano anche investimenti urbanistici e infrastrutturali. Come sta facendo in Cina. E come ha fatto anche in passato, solo per fare qualche esempio, a Torino per le Olimpiadi del 2006; a Ponte di Legno con il collegamento con il Tonale, di cui si è occupato di tutto, dal preliminare all’esecutivo, alla direzione lavori (2005/2007); in Veneto con la pista Blizzard a Falcade, Lavadoi ad Alleghe o il collegamento fra Alleghe e la Val Zoldana: «E ho anche progettato e realizzato la terra armata più alta d’Italia, sullo Zoncolan verso Ravascletto, in Friuli Venezia Giulia».
Qual è la situazione che vi trovate ad affrontare?
«Che ci siano cambiamenti climatici è palese, ma non dobbiamo pensare che in futuro non sia più possibile sciare. La neve non mancherà, perché abbiamo già visto in anni passati che ci sono corsi e ricorsi storici, con scarse precipitazioni un anno e abbondanti nevicate l’anno successivo. E poi la tecnologia ci offre gli strumenti per produrre la neve programmata anche con temperature superiori allo zero termico. Il problema che nel tempo si farà sempre più sentire è invece il lento ma progressivo aumento delle temperature».
Come se ne esce?
«Alzando la quota degli impianti di arroccamento ai 1.300-1.400 metri in aree esposte a nord e 1.600-1.700 metri di quota in aree con esposizione ovest sud-ovest; dovrà inoltre essere pensata una riqualificazione-ampliamento dei comprensori al di sopra dei duemila metri».
E ora su cosa sta lavorando?
«Su un progetto nuovo, ma preferisco non parlarne. Ormai la situazione è tale in Italia che, come parti con un progetto, nasce subito il comitato contro. E dire che ci sono fior di investitori, dagli arabi ai fondi internazionali, pronti a scommettere sulla neve e sullo sci».
Naturale il dibattito in democrazia, no?
«Certo, ma bisognerebbe almeno partire, prima di analizzare un progetto, da un presupposto comune a tutti».
Quale?
«I numeri, anzitutto: l’analisi dei flussi degli ultimi anni chiarisce in maniera esplicita che oltre il 90% dei turisti che fa attività in montagna sceglie lo sci, è sciatore attivo».
Anche in Italia?
«Sì».
E poi?
«Poi un’altra semplice considerazione: la montagna va presidiata, perché senza la presenza dell’uomo i dissesti idrogeologici sarebbero enormi per la mancanza di cura dell’ambiente. E se eliminiamo la pratica dello sci, che alimenta l’economia, rischiamo lo spopolamento. Non si può, allora, pensare di cambiare l’attività in montagna abbandonando lo sci, ovvero il 90% del fatturato, per altre attività che coprono non più del 10% della massa dei turisti».
Gli ambientalisti però replicano, ad esempio: non si può ridurre il Comelico, natura ancora incontaminata, come l’Alto Adige, dove abbondano gli impianti di risalita.
«Mi pare che in Alto Adige si viva bene e che nessuno la consideri una zona depauperata dalla mano dell’uomo, ma semmai conosciuta per le bellezze naturali godibili proprio per la presenza attiva dell’uomo. Poi è chiaro che ogni attività comporta interventi strutturali, ma esistono i sistemi di controllo».
Ad esempio?
«Esistono gli studi di impatto ambientale per valutare la sostenibilità di ogni intervento e pensare a futuri ampliamenti con una filosofia da esperto ambientale quale sono».
Dunque la sua ricetta?
«Evitare no aprioristici; fare nuovi interventi in quota, compresi i collegamenti; stanziare un 15% dell’investimento infrastrutturale per interventi di ripristino e valorizzazione ambientale. Ma non basta: un impianto, se ben gestito, vive e dà reddito anche in estate, se collegato ad attività ricettive e di ristorazione, fun bob (vedi Auronzo), zipline, percorsi naturalistici o didattici».
E se fra 50 anni non nevicherà più?
«Si smontano gli impianti e la natura non ci metterà molto a riconquistare i suoi spazi. Ma la montagna non può essere abbandonata al suo destino, serve la mano (e la testa) dell’uomo».
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