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Estate senz’acqua nei rifugi bellunesi: «Finire la stagione sarà un’impresa»

Vasche, taniche, stretta su wc e docce e posate usa e getta: i gestori si stanno già organizzando per l’emergenza siccità

Francesco Dal Mas
2 minuti di lettura
Si preannuncia un’estate alquanto complicata per i gestori dei rifugi delle Dolomiti 

Rifugi alpini a corto d’acqua? «È un rischio assai concreto. E sarebbe la seconda estate», sospira di preoccupazione Renato Frigo, presidente regionale del Club alpino italiano. Ecco perché da parte dei gestori è già scattata la corsa all’installazione di vasche, quanto meno mobili, «perché quelle interrate», rileva Mario Fiorentini, presidente dell’Associazione veneta dei rifugisti, Agrav, «richiedono almeno un anno di pratiche autorizzative». Speriamo ancora che nevichi. «Ma», riscontra Frigo, «gli ultimi dati Arpav ci prospettano una situazione drammatica».

Eccoli: la sommatoria di neve fresca da ottobre al 15 di marzo, evidenzia un deficit di precipitazione del 40% circa rispetto alla media degli ultimi 30 anni, pari a 140 centimetri a 2000 metri di quota, 110 centimetri a 1600 metri e 50-90 centimetri nei fondovalle delle Dolomiti. La risorsa idrica nivale è scarsa, pari a 110-115 milioni di metri cubi nel bacino del Piave, 60 nel bacino del Cordevole e a 65-74 nel bacino del Brenta. Rispetto alla media 2005-2022, nel bacino guida del Piave, il deficit è del 56% pari a 150 milioni di metri cubi di acqua equivalente. «Anche in quota, dunque, mancherebbe circa metà acqua», sintetizza il presidente del Cai. «E, a questo punto, potremmo installare tutti i serbatoi che vogliamo, ma se nelle prossime settimane non dovesse piovere o nevicare, rischiamo quanto meno di non arrivare a fine stagione».

Sono 38 i rifugi alpini del Cai in Veneto, 54 quelli privati. L’anno scorso il Cai ha promosso un bando, a livello nazionale, con tutte le risorse a disposizione, 300mila euro. Ovviamente è andato esaurito. «È indubbio che quest’anno ci riproverà», anticipa Frigo, «se l’emergenza sarà riconfermata».

È prevedibile, dunque, che la prossima estate sarà un’altra stagione di sacrifici per chi frequenterà i rifugi. «Se mancasse l’acqua è ovvio aspettarsi un periodo più contenuto di apertura. La stagione classica», spiega il presidente Fiorentini, «va dal 20 giugno al 20 settembre. Questa resterà, ma con lo scioglimento anticipato delle nevi e il rialzo delle temperature, c’è la tendenza da parte dei colleghi di anticipare l’attività, in sostanza di destagionalizzare, iniziando anche a maggio e concludendo a ottobre, finanche ai primi di novembre. Ma se l’acqua è poca, la si lascia in riserva per la stagione centrale».

Una volta aperto il rifugio, la risorsa idrica verrà comunque razionalizzata. Un bagno al posto di tre, docce rapidissime, semprechè sia possibile. La poca acqua a disposizione verrà utilizzata per l’alimentazione, non certo per lavare i pavimenti. In difficoltà doppia saranno i rifugi che autoproducono l’energia sfruttando le sorgenti magari vicine; il rischio è di rimanere al buio o di doversi dotare di generatori, a suo tempo allontanati perché troppo rumorosi. In Comelico usufruiscono dell’abbondante disponibilità d’acqua per farsi l’energia domestica il Berti e il Rinfreddo. Dall’altra parte della provincia, il Vazzoler, ai piedi del Civetta, in Agordino. Il Dal Piaz, sulle Vette Feltrine, l’estate scorsa ha dovuto farsi rifornire con piccole autobotti. Piccole perché la pista forestale di accesso non permette il transito di grossi mezzi. Il Città di Fiume, nell’alta Val Fiorentina, è al centro di ampi pascoli: le sorgenti non mancano, ma c’è sempre il rischio che le mucche riservino qualche sorpresa. Ecco, dunque, gli uomini del rifugio scendere a valle, quasi ogni giorno, col pick up per fare il carico di grandi taniche. Il Tissi, da cui si può ammirare Alleghe dall’altro, e il Galassi, da cui si può scrutare l’Antelao dal basso, sono riusciti a farsi interrare per tempo delle cisterne. Nessun problema neppure per il rifugio Carducci, sopra Auronzo, che ha la vasca di raccolta più a valle della struttura e pompa in quota l’acqua. Analoga la situazione del Venezia, ai piedi del Pelmo. L’estate scorsa il Mulaz, ai piedi del Focobon, sopra Falcade, non aveva altro modo che di farsi raggiungere dall’elicottero, in piena siccità, per portare contenitori in plastica già pieni d’acqua. Siamo sul confine col Trentino, dove la Provincia ha fatto mettere a disposizione dei rifugisti dei serbatoi che si gonfiano attraverso l’acqua stessa. Ma non c’è struttura, anche sulle Dolomiti bellunesi, che non provveda a raccogliere la pioggia. Ma, appunto, deve piovere. Il Rifugio Carestiato, sopra il passo Duran, va a pescare con un condotta in una vicina sorgente.

Ci sono rifugi che nella previsione di dover risparmiare, stanno pensando a stoviglie biodegradabili, usa e getta. Proprio per non trovarsi in piena estate nell’impossibilità di lavare i piatti.

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