Prologo, non breve, a questa rubrica: ho fortemente voluto un Almanacco dell’innovazione; un luogo dove ogni giorno ricordare qualcosa di memorabile, successi ma anche fallimenti, che hanno segnato il viaggio dell’umanità verso il futuro. Conoscere “il futuro del passato” non è soltanto un esercizio di stile o un modo per rendere omaggio a chi ha cambiato il mondo, ma uno strumento importante per capire come avviene l’innovazione, quali sono i fattori che portano al successo e come si superano gli ostacoli che ogni volta inevitabilmente si incontrano. Del resto nel mondo anglosassone la formula “This Day in Tech” è molto nota ed è facile scegliere ogni giorno qualcosa da raccontare. In Italia no. Come se l’innovazione non fosse roba nostra. E forse, viene da pensare, proprio in questo mancanza di memoria collettiva risiedono alcune delle nostre difficoltà a guardare avanti: non sappiamo da dove veniamo, per questo non sappiamo dove andare.
Quando mi è stato affidato l’incarico di creare questa testata, ho iniziato a costruire un almanacco dell’innovazione italiana: ho consultato le - poche - fonti disponibili; contattato chi in questi anni ha catalogato documenti apparentemente irrilevanti; e scritto a decine di persone, chiedendo loro una data da ricordare. Sono a buon punto, a metà strada direi: insomma spesso - non oggi - in questo spazio racconteremo una storia legata all’innovazione italiana. Ma mancano ancora tanti fatti o aneddoti, lo so: se ne siete a conoscenza, segnalatemeli. Vi aspetto su dir@italian.tech
Il 24 maggio 1844, alle 8 e 45 del mattino, il pittore e inventore Samuel Morse mandò il primo messaggio telegrafico della storia: aveva scelto una frase della Bibbia (“Quali cose ha creato Dio”) e quelle parole viaggiarono per la prima volta su delle linee elettriche da Washington a Baltimora. Questo sappiamo, e sappiamo anche che a spingere Morse fu la morte improvvisa della moglie, molti anni prima: lui non c’era e se ci fosse stato il telegrafo avrebbe almeno potuto partecipare al suo funerale, ci ripetiamo da allora. Ma la vera storia è se possibile ancora più bella. L’ha raccontata il giornalista britannico Tom Standage, capo redattore per l'innovazione al settimanale The Economist, in un delizioso, piccolo libro del 1998 da cui poi è anche stato tratto un documentario, “The Victorian Internet”. La tesi fondamentale è che la diffusione del telegrafo fu, nell’800, qualcosa di paragonabile alla diffusione di Internet ai giorni nostri. Cambiò tutto. Persino la cultura e il vocabolario: nacquero nuove parole per esprimere concetti nuovi. Il telegrafo fu, scrive Standage, “la madre di tutte le reti”.
Ma torniamo da Samuel Morse perché la sua vicenda ha dell’incredibile e ci svela alcuni meccanismi fondamentali dell’innovazione. Intanto va detto che era da un pezzo che diversi inventori si affannavano nel trovare un modo per scambiarsi messaggi più velocemente che portati da un messaggero a cavallo. Proprio nell’anno in cui Morse nacque, a Charlestown, in Massachusetts, nel 1791, c’era stata la prima dimostrazione di un telegrafo ottico, una sorta di semaforo che metteva in comunicazione delle torri. Morse aveva un discreto talento per la pittura e si guadagnava da vivere facendo ritratti. Nel 1825, il 7 febbraio, mentre era a Washington per ritrarre il marchese Lafayette, la moglie morì; lui ignaro, il 10 febbraio le scrisse “mi manchi, sto tornando” e così non riuscì ad essere presente al funerale. L’intuizione del telegrafo arriva diversi anni dopo: nel 1832, mentre era su un veliero, in mezzo all’Atlantico, tornando da un viaggio in Europa nel quale si era convinto che ci fosse un mercato nel fare delle copie dei capolavori del museo Louvre, conobbe un passeggero che gli raccontò che l’elettricità poteva essere usata per mandare messaggi istantanei. Morse, che non sapeva nulla delle ricerche (e dei fallimenti) in corso in varie parti del mondo, restò folgorato e si mise a ragionare su come risolvere il pezzo mancante: la creazione di un codice di segnali con cui sostituire le lettere. Fece diversi tentativi prima di arrivare alla famosa intuizione del punto-linea (impulso corto o lungo).
In realtà passarono anni: aveva smesso di fare il pittore ed era stato nominato professore di letteratura e arte alla New York University, aveva un modesto salario e passava il tempo cercando la soluzione del puzzle. Da solo non ce l’avrebbe fatta mai: di fatto, fece una startup. Riuscì a costruire un prototipo di telegrafo facendosi aiutare da un professore di chimica e con il sostegno finanziario di un giovane appassionato (praticamente un venture capital). Morse era entusiasta: era convinto che un giorno Europa e Stati Uniti sarebbero stati connessi istantaneamente e che tutto il mondo un giorno sarebbe stato cablato: “Se un messaggio può viaggiare per dieci miglia senza fermarsi, può arrivare ovunque”, diceva. I problemi però non era finiti. Doveva convincere la politica che questa cosa aveva un senso. Nel 1838 andò a Washington, al Congresso, per chiedere la costruzione di una linea telegrafica fra New York e New Orleans. Ma i parlamentari non lo capirono. Allora andò in Europa in cerca di sostegni, ma anche qui nessuno gli diede retta. I soci di Morse volevano arrendersi, ma lui insistette. Nel dicembre 1842 tornò da solo a Washington, allestì un collegamento tra due stanze, mandò un messaggio, molti dei presenti risero e lo presero in giro ma questa volta qualcuno rimase impressionato. Il congresso approvò il progetto con 89 voti favorevoli, 83 contrari e 70 astenuti. Fu costruita una linea telegrafica per collegare Washington alla vicina Baltimora (meno di 60 chilometri). Nella primavera del 1844 tutto era pronto per la dimostrazione pubblica ma Morse era circondato da scettici: lo consideravano “impracticable or crazy” e la sua invenzione una pazzia (“foolishness”). Il test decisivo fu la trasmissione dei nomi delle persone nominate da una convention a Baltimora: a Washington una piccola folla assisteva curiosa. I nomi con il telegrafo arrivarono 64 minuti prima che con il treno che collegava le due città. Il 24 maggio quindi non ci fu il primo messaggio, ma l’inaugurazione del servizio: dalla Corte Suprema di Washington Morse mandò a Baltimora la famosa frase tratta dalla Bibbia “What Hath God Wrought”, tradotto di solito come “Le cose che ha fatto Dio”, ma a me piace di più “che meraviglia che ha fatto Dio”. I giornali misero in prima pagina la notizia ma per la diffusione del telegrafo ci volle ancora del tempo: dice Standage che all’inizio le persone lo usavano per giocare a scacchi a distanza.
Ma quando Morse morì, il 2 aprile 1872 a New York, il telegrafo aveva cambiato il mondo.