L’Almanacco del 22 agosto mi porta a raccontare una storia davvero incredibile, avvenuta in Italia tanto tempo fa. L’appiglio è un articolo di giornale. Dunque è il 22 agosto 1865 e su un settimanale della Val d’Aosta (Feuille d’Aoste) un articolo sosteneva che “alcuni meccanici inglesi, ai quali il signor Manzetti ha recentemente svelato il suo segreto per trasmettere la parola per mezzo del filo elettrico, si propongono di applicare questa invenzione ai telegrafi privati, l’uso dei quali è molto diffuso in Inghilterra”.
Chi era questo Manzetti e quale fosse il suo segreto fino a poco tempo fa mi era totalmente ignoto. Io sapevo di Antonio Meucci, della sua invenzione di un prototipo di telefono, che non potè brevettare per mancanza di soldi, e quindi la paternità dell’invenzione è tutta di Alexander Graham Bell. Di chi parlava esattamente quel foglio valdostano nell’estate del 1865? Di Innocenzo Manzetti, nato ad Aosta il 17 marzo 1826, dimenticato per quasi due secoli e riscoperto solo recentemente grazie al lavoro di due ricercatori, Mauro Caniggia Nicolotti e Luca Poggianti, che hanno fatto un paio libri e stimolato una mostra e poi un museo online.
Insomma, sarebbe lui l’inventore del telefono e sebbene l’affermazione sembri inverosimile, la storia del Manzetti è bella assai. Insomma, era un geometra di professione che nel tempo libero faceva l’inventore. La prima invenzione fu una specie di robot che suonava il flauto. Su un sito si legge che nell’elenco delle invenzioni c’erano “un curioso velocipede a tre ruote, sistemi di filtraggio dell’acqua, un pantografo estremamente raffinato e preciso, un pappagallo volante, forse il motore a scoppio e un oggetto che tutte le massaie degli ultimi cento anni ricordano, la macchina per la pasta, depositata con brevetto del 1857 e venduta per pochi soldi a una fabbrica inglese che ne trasse grande profitto economico”. Molto romanzesco, ma non finisce qui. Nel 1861 Manzetti pare che riuscì a trasmettere un brano musicale a due chilometri di distanza. E nel 1864 ecco il prototipo del telefono: “Due cornette a forma di imbuto con un diaframma di carta pecora collegate da un filo metallico e una lamina di ferro, oltre a una bobina dalla quale partiva il filo di rame che raggiungeva l?altro apparecchio uguale. Ecco che le onde sonore erano trasformate in onde elettriche per raggiungere l’altro apparecchio e diventare nuovamente onde sonore”.
Il 29 giugno 1865, L’Indipendant, un giornale locale, ne dava notizia così: “Il signor Innocenzo Manzetti, di cui abbiamo avuto più volte occasione di parlare, ci ha informati di un’applicazione assai sorprendente del filo telegrafico. Dei suoni prodotti da un apparecchio alla stazione di partenza, possono riprodursi alla stazione di arrivo; per mezzo di questo strumento si potrà parlare da Aosta a Torino, a Parigi a Londra, ecc. ne abbiamo la certezza, il signor Manzetti riuscirà nella sua impresa e legherà il suo nome alla scoperta più sorprendente del nostro secolo”. In realtà in quello stesso anno un altro italiano, Antonio Meucci, annunciava a New York l’invenzione del telefono (che chiamava telettrofono), ma in una lettera inviata al direttore di un giornale di Genova, Meucci stesso riconobbe il valore dell’invenzione di Manzetti che invece sparisce dalla storia, con la S maiuscola. Perché? Non si sa.
Secondo i due ricercatori quando l’americano Alexander Bell nel 1876 brevetta il telefono, lui si ricorda che anni prima un altro americano con lo stesso nome aveva fatto visita al suo laboratorio: il padre di Alexander Bell. Possibile? Nel 1877 Manzetti morì e 3 anni dopo la moglie cedette tutti i suoi progetti a due stranieri che secondo i due ricercatori erano un banchiere tedesco e il presidente della Bell Telephone Company del Missouri. Una sorta di raggiro internazionale. Che merita approfondimenti e riscontri: l’11 giugno 2002 il Congresso americano ha riconosciuto i meriti di Antonio Meucci nell’invenzione del telefono; potremmo scoprire che un altro italiano aveva dato un contributo altrettanto importante.